Il fuoco
Purtroppo questo luglio, oltre al terribile caldo con la conseguente spossatezza e il gaudio del governo che, in pompa magna, camminava verso uscita da 8 anni di “memorandum”, dal controllo economico europeo e non solo, nei giorni 23 e 24, ha colpito anche con la cappa micidiale del fuoco. Le vittime accertate sono 96 ma negli ospedali vi sono ancora alcuni in condizioni critiche. Penso di non aver niente da aggiungere alle informazioni già fornite dai mass-media. Dopo i due primi giorni di sorpresa, di stupore e di lutto, adesso sono in corso accuse e contro accuse tra governanti e opposizione.
Certo, il primo ministro, Alexis Tsipras, in una conferenza stampa, fatta in ritardo, ha dichiarato che «assume integralmente e in tutto la responsabilità politica». Inutile dire che non ha spiegato che cosa ciò significhi e comporti in pratica.
Da notare che la nostra sinistra ama tale espressione in cui dice tutto e niente, e la usa ogni qualvolta, messa alle strette, deve dire qualcosa di “serio”. Il miglior commento a tale espressione l’ha fatto, con una vignetta, il sommo vignettista greco Arkas. Sullo sfondo si vede Roma che brucia, mentre in primo piano figura Nerone con la sua arpa che, indeciso, chiede: «Datemi qualcosa che faccia rima con responsabilità politica».
Il metropolita Ambrogio di Eghio
Come se tutto ciò non bastasse, mentre la tragedia era ancora in pieno sviluppo, il metropolita Ambrogio di Eghio, località vicina a Patrasso, un ultraconservatore fanatico, in data 23/24 luglio, alle ore 01.00 dopo mezzanotte (come egli stesso annota), ha pubblicato nel suo sito un lunghissimo testo che esordisce così: «Il senza Dio, primo ministro, Alexis Tsipras… attira su di noi la maledizione di Dio. La Grecia viene distrutta da piogge torrenziali e dal fuoco!».
Dopo avere delirato, con un lunghissimo testo, enumerando tutte le calamità naturali accadute ultimamente in Grecia, con tanto di rimandi biblici che, secondo lui, sostengono la sua tesi, conclude con il seguente appello: «Vergogna, signor Tsipras, distruttore della Grecia! Vergogna! Grazie a te, la Grecia viene distrutta! Grazie a te, la Grecia fa ribrezzo a Dio. Grazie a te, Dio ci ha abbandonati. Miei fratelli, cristiani greco-ortodossi, è ora il tempo di ritornare sul sentiero del nostro Cristo e di ridiventare veri cristiani e greci. Amen!».
Il metropolita Anthimos di Alessadrupolis
In posizione completamente opposta è il metropolita Anthimos di Alessadrupolis, nella Grecia del Nord, vicinissima al confine con la Turchia. Sul sito della sua metropolia, ha postato un suo articolo intitolato: «È ora di finirla, santo di Kalabrita! (È questo il titolo ufficiale del metropolita Ambrosio. I metropoliti tra di loro si chiamano “santo” seguito dal nome della loro diocesi, ma così li chiama anche la gente semplice). Oggi Dio piange con il popolo. Piange per un grande disastro, che ha portato alla perdita di dozzine di nostri fratelli. Dio non è contro di noi, Dio non punisce – non sa come punire, non conosce la punizione –; sta accanto alle sue creature, frutti del suo amore. Soffre con loro, versa lacrime insieme a loro, si immedesima in loro, sale in croce, insieme a loro ancora…».
E, in conclusione: «Oggi, quando l’uomo è “più piegato a causa del suo dolore”, oggi, quando la miglior ragione è il silenzio e la preghiera, Lei ha scelto di mostrare una caricatura della Chiesa che non ha nulla a che fare con Cristo. Ha scelto l’attacco e l’attribuzione di intenzioni. Ha scelto la via della divisione e la diffusione della paura. Lei ha parlato di un Dio arrabbiato che punisce gli uomini a causa dell’“ateismo” dei detentori del potere ma non a causa dell’ipocrisia dei suoi funzionari (= della Chiesa)…».
E aggiunge: «Venerabile, mi dispiace, mi dispiace, ma l’ateo, il primo ministro, ha parlato con più umanità e gentilezza evangelica a coloro che hanno sofferto il fuoco di quanto abbia fatto Lei… La fede ortodossa in assenza dell’uomo o a spese dell’uomo non esiste, non ha motivo di esistere. Quindi basta, santo di Kalabrita!…».
I politici del governo, in un primo momento cercavano di convincere la gente che tutti avevano fatto il loro dovere e che tutto era colpa del “generale maltempo” e degli abusi edilizi nella cittadina di Mati. In seguito, però, quando piccoli e grandi scheletri hanno cominciato a uscire dagli armadi, offuscando sempre di più l’agire del governo e, insieme, mettendo in forse i festeggiamenti trionfali per l’uscita dal regime dei “memorandum” per il controllo economico dello Stato da parte della Troica, si è cominciato a perdere il senno, tanto che il ministro della Pubblica sanità ha dichiarato che «i morti offuscano il lavoro governativo».
Il soccorso spontaneo della gente è stato talmente miracoloso che, ad un certo punto, i sindaci locali hanno non solo ringraziato la gente ma anche fatto un appello per fermare le offerte di cibo che erano state raccolte in sovrabbondanza. Pure la Chiesa cattolica greca è arrivata in soccorso con la sua “Caritas”; di certo, anche le altre Chiese – l’ortodossa per prima – con le loro organizzazioni caritative.
Il background politico-religioso balcanico
Senza dimenticare le macerie ancora fumiganti, prima di andare oltre, poniamo una premessa d’obbligo. Il Sud-Est europeo abbraccia la penisola balcanica, una regione che è sempre stata un calderone di popoli, di culture, nazioni, religioni…, e dove quasi tutto è ancora fluido.
Nei cinque secoli di dominio in questa regione, l’impero ottomano prima e il comunismo poi – eccetto che in Grecia – hanno lasciato il segno nella mentalità dei popoli ivi residenti. La diffidenza timorosa nei confronti dello Stato e di ogni altro potere costituito è dovuta al fatto che chi detiene un potere, piccolo o grande, lo esercita con arroganza, senza dimenticare la corruzione. Le ideologie imperanti sono il nazionalismo e l’ortodossia con uno sfondo di nostalgia per un paradiso non meglio determinato. Il cattolicesimo è sentito di casa solo in Croazia, mentre in qualunque altra parte è visto, a dir poco, con sospetto.
Il nazionalismo, di solito, è l’ultima spiaggia di quelli che non sanno più che pesci pigliare per essere o avere qualcosa sotto il cielo. Dove ha messo piede questa interpretazione della realtà, i risultati sono ben conosciuti. Questa ideologia di solito viene accompagnata dal complesso della nazione eletta che, proprio perché tale, si sente da tutti perseguitata.
L’Ortodossia. Nei paesi dove vive, la Chiesa ortodossa si considera non solo parte integrante della cultura locale, ma anche protettrice, conservatrice e promotrice degli ideali della nazione stessa. Quindi, si sente obbligata a difendere gli ideali nazionali – di nascita e di fede cristiana – da ogni attacco esterno e interno, incombente o presunto.
Questa mentalità risale alla “svolta costantiniana” della Chiesa, che ha fatto entrare i vescovi nei palazzi del potere. Essa è stata consolidata da Teodosio, quando il cristianesimo è divenuto religione dello Stato. Da allora Chiesa e Stato – (“Stato”, divenuto in seguito “Nazione”) – hanno comuni interessi da difendere e comuni nemici dai quali difendersi. Mentalità che ha lasciato il segno non solo in Oriente ma anche in Occidente, sia nelle relazioni Chiesa-Stato, sia nella gestione del potere.
In questo contesto generale, però, costituisce una piccola variante l’Ortodossia abbracciata dalla nazione greca, che si considera erede di tanti splendori ellenici e cristiani, divenuta una nazione eletta da tutti invidiata… L’ortodossia greca si sente in qualche modo non solo “mater et magistra” ma vero e proprio modello di ortodossia.
Il palcoscenico estivo
Sullo sfondo di questa sceneggiatura, passiamo ora ad esporre gli eventi che si presentano sul palcoscenico estivo.
Sul palcoscenico passa, come in filigrana, la prospettiva di una “uscita pulita”, come proclama il governo, dal programma di controllo economico europeo “memorandum”.
Il governo è formato dal partito SYRISA, che si reputava di sinistra radicale e che adesso ama presentarsi come socialdemocrazia progressista, in alleanza con il partito “Greci Indipendenti”, che si caratterizza come la destra patriottica, il cui programma ha due punti di forza: cancellare i “memorandum” economici e non firmare mai un accordo con la FYROM, dal momento che questa pretende di usare, come suo nome ufficiale, quello di “Macedonia”, che invece, di diritto, spetta ad una regione dello Stato greco. Legato a questi due problemi si rinnova, di tanto in tanto, la polemica sulla separazione fra Stato e Chiesa.
E, “dulcis in fundo”, quasi “sacro spionaggio”, si sono coinvolti Chiesa greca, Monte Athos e Russia, con l’obiettivo – sembra – di far fallire l’accordo fra Grecia e FYROM sul nome “Macedonia” di quest’ultima, come anche di aumentare il prestigio e l’influenza del Patriarcato russo nei Balcani a scapito del Patriarcato ecumenico e non solo. Il sogno della terza Roma torna e ritorna presso i russi.
La Chiesa? In tutto questo dibattito è sempre presente.
FYROM, cioè “Nord Macedonia”
Partiamo dalla firma dell’accordo tra il nostro primo ministro e il suo corrispettivo della FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia), il 17 giugno 2018. In esso si conviene che il nome ufficiale “erga omnes” della fu FYROM, d’ora in poi, sarebbe stato “Nord Macedonia”.
Con lo stesso accordo:
a) Si riconosce la nazionalità macedone. Però qui si deve notare che una porzione della popolazione di quello Stato, il 30%, si riconosce di nazionalità albanese e vi è anche un 10% di nazionalità serba. Altri poi si considerano o rom o bulgari.
b) Si riconosce, inoltre, l’esistenza di una lingua macedone, che molti specialisti considerano piuttosto un idioma slavo-bulgaro scritto in alfabeto cirillico.
c) Tale accordo verrà sancito, in un modo adeguato e in tempo opportuno, in conformità con gli strumenti che i governi dei due paesi hanno a loro disposizione.
La Chiesa ortodossa greca, per bocca del suo primate, in un primo momento aveva dichiarato che questa è una faccenda dello Stato e che la Chiesa non deve immischiarsi. Molti metropoliti, ma anche molti altri personaggi di rilievo, tanto nella cosa pubblica e nella politica quanto nell’ambiente culturale… – specialmente quelli del nord ma non solo – hanno accusato il primate di essere filogovernativo: è un “segreto… pubblico” che il primo ministro e il primate siano legati da amicizia personale. Altri non hanno esitato ad accusarlo di uno scambio di favori. Tutti i metropoliti hanno sostenuto e hanno capeggiato le proteste, le manifestazioni e le dimostrazioni pubbliche, come marce…, chiedendo che, nel nuovo nome ufficiale della FYROM, non venga inserito la parola “Macedonia”.
Il primate, davanti a questa ondata di proteste, ha cambiato rotta e, insieme col Sacro Sinodo della Chiesa ortodossa greca, ufficialmente si è pronunziato contro l’eventualità che, nel nuovo nome della FYROM, ci sia come componente la denominazione “Macedonia”.
La Chiesa greca, inoltre, si avvale anche di una motivazione canonica. In effetti, nella FYROM esiste una Chiesa ortodossa indipendente, a partire dall’ottobre del 1958, quando tre diocesi nel Sud dell’attuale regione di FYROM, da sole, si sono proclamate indipendenti ma mantenendo la comunione con la Chiesa-madre, il Patriarcato ortodosso serbo.
Nel 1967 tale Chiesa si è autoproclamata autocefala, con a capo il suo primate, l’arcivescovo, col titolo di Ocride e di Macedonia. Immediatamente il Patriarcato serbo ha dichiarato scismatici il primate e i vescovi, ma non i loro fedeli.
Nel 2005, dopo un lungo ma infruttuoso dialogo tra le parti, il Patriarcato ortodosso serbo ha confermato lo stato di scisma di questa Chiesa e ha ripristinato per conto suo l’arcivescovado dell’Ocride nel territorio della FYROM.
Il 30 maggio 2018, il Patriarcato ecumenico, in un comunicato ufficiale, ha dichiarato di aver preso in considerazione la petizione della Chiesa scismatica di Scopie che, sostenuta anche da una relativa lettera del primo ministro di FYROM, Zaef, chiedeva al Patriarca ecumenico di prendere l’iniziativa di fare rientrare, nei “vota canonica” della relativa Chiesa, il nome dell’arcivescovado di Ocride.
IL Patriarcato ecumenico ha assicurato che farà tutto il dovuto nella linea dell’ordine canonico e dei relativi poteri e privilegi del Patriarcato ecumenico.
Per il momento siamo ancora qui: ad un gesto di buona volontà per risolvere il problema del nome. Questo da parte della Chiesa. Ma il primo ministro Zaef, sin dall’inizio, dal giorno della firma dell’accordo, ha parlato riferendosi alla FYROM come “Macedonia” e al suo popolo come “macedoni”, lasciando cadere in santa pace il prefisso “Nord”.
In Grecia, la firma ha prodotto un vastissimo scontento. Secondo alcune stime, più del 55% è contrario, con cifre molto più elevate nelle regioni del Nord.
Il governo, per frenare lo scontento e sostenere la sua azione, è ricorso a vari espedienti e diversivi. Ma la carta pesante, che ha buttato sul tavolo, è la separazione fra Chiesa e Stato. Però, per non urtare le varie suscettibilità, parla della «determinazione dei differenti ruoli di Stato e Chiesa». Infatti, i socialisti, quando sono alle strette, si ricordano che devono liberare lo Stato dalla Chiesa e la Chiesa dallo Stato e aprire alla società nuovi orizzonti. Ricordiamoci, per es., di Zapatero, con tutte le sue riforme per la cosiddetta apertura e democratizzazione della società. Certo è che Macron – che socialista forse non è –, messo alle strette, ultimamente, ha intrapreso una strada diversa. Oltre a difendere la laicità dello stato francese, ha cominciato a riscoprire la cattolicità dell’animo francese.
L’“uscita pulita” dall’epoca dei “memorandum”
Altro grande tema è quello dell’uscita ufficiale dello Stato greco dai “memorandum”, imposti dall’Europa, con una “uscita pulita”, come trionfalmente dichiara il governo.
Un governo che, quale partito della sinistra radicale – come si compiaceva di autodefinirsi, quando era al 4% dei consensi ed era all’opposizione – dichiarava che, se fosse stato eletto, con una legge di un solo articolo, avrebbe stracciato i due “memorandum” già firmati e avrebbe fatto danzare agli europei, a coloro che avrebbero prestato i capitali e alle banche strozzine, il “pentozali”, una danza cretese, al suono dei nostri tamburi e tamburelli.
Il “dopodiché” è storia conosciuta. Un referendum con il risultato “sì” è stato interpretato come un “no” ed è stato sottoscritto un terzo “memorandum”, molto più pesante dei primi due. E, in seguito, i nostri, nelle trattative da loro condotte, malgrado le fantasie dell’aspirante mago Varufachis, in seguito, schiacciati dal sistema si sono dimostrati semplicemente degli “yesmen”! E, per alleggerire le impressioni, hanno cambiato i nomi sino ad allora usati: i “memorandum” si chiameranno “accordi” e la troica “istituzioni”.
Aspettando l’“Eurogroup” di agosto per licenziarsi, senza buona uscita, siamo entrati nell’epoca della propaganda per presentare gli accordi come un trionfo e, insieme, per far promesse ai meno abbienti e non solo concessioni, in modo da lucrare qualche voto, perché il partito ha preso il viale della discesa.
Hanno fatto venire Pierre Moscovici, capo dei socialisti europei, membro della Commissione e candidato alla presidenza della Commissione, per convincere la gente della bontà dell’azione governativa attuale. Egli opera come se fosse un rappresentante commerciale di qualche ditta, in modo così sfacciato che l’ opposizione lo ha rimproverato e lo ha esortato ad essere più attento, nelle sue pubbliche dichiarazioni, a rispettare i sacrifici – sacrifici che non erano tutti necessari – nei quali è già stato trascinato il popolo greco, a causa anche degli accordi sottoscritti dal governo per i tempi futuri. Infatti, da noi è diffusa la convinzione che la Grecia sia stata usata come cavia per esperimentare possibili progetti economici, e che ora la si usi per portare voti nelle elezioni europee a qualche interessato.
Parlare di “uscita pulita” è, quantomeno, uno strano modo di esprimersi, quando si pensa che siamo “entrati” nel tunnel della crisi economica con un debito pari al 110% del Pil e ne “usciamo” con il 180%. In termini economici, abbiamo subìto un 25% di svalutazione interna. La tassazione è alle stelle, con il risultato che l’evasione fiscale continua a persistere, se non ad aumentare, perché gli interessati, anche se volessero, sono nell’impossibilita di pagare.
Inoltre, in termini di qualità di vita, la Grecia è scaduta in modo inesorabile e senza ritorno, per cui chi poteva partire per lidi più promettenti se n’è andato. La maggioranza di questi sono laureati che non vedono prospettive positive all’orizzonte in patria. I miei genitori sono partiti per la Germania nel 1960 e, adesso, i loro nipoti hanno lo stesso destino.
Quegli stessi che accusavano i passati governi di ridurre i greci a semplici inservienti per turisti, ci sono quasi riusciti a conseguire questo risultato! La classe media, molto socialisticamente, è quasi scomparsa. L’iniziativa privata è all’osso. Molte imprese del Nord, e non solo, si trasferiscono oltre le frontiere dove trovano condizioni migliori per operare. L’impoverimento della gente si tocca con mano. Il servizio statistico nazionale stima che il 40% della popolazione attiva viene toccato dalla povertà…
Con l’accordo dell’Eurogroup previsto per il 20 agosto, si prevede la fine dello strato di controllo da parte dell’Europa. L’opposizione, però, vi vede un quasi quarto “memorandum”. In effetti, ci saranno controlli ogni tre mesi da commissioni esaminatrici che verranno ad Atene per verificare se e come sono rispettati gli accordi presi, facendo un esposto breve e ogni sei mesi uno più dettagliato. Ogni semestre l’Eurogroup approverà il pagamento di una rata di 600 milioni, se sarà soddisfatto dai risultati raggiunti. Se si considererà che i risultati raggiunti non sono soddisfacenti, la rata non sarà versata ma saranno indicate nuove misure.
Lo scontento della gente è altissimo.
E il governo, per invertire e frenare lo scontento e sostenere la propria azione, deve ricorrere a vari diversivi ed espedienti. Una carta pesante che ha calato sul tavolo è la separazione tra Chiesa e Stato.
E qui, “lupus in fabula”, il settimanale Ateniese Proto Thema, in data 13 maggio 18, riporta un documento, con il num. 6135 del 2 maggio 2018, dove si approva la spesa di 1.458,53 euro per pagare le spese della giornalista francese Marie Dancer (vi si pubblica anche la foto!), che lavora a La Croix, per farla venire in Grecia allo scopo di «far risaltare» – come dice il testo – «l’immagine della Grecia alla fine del “memorandum” e l’uscita del paese dalla crisi». Si aggiunge che la reporter, «effettuerà una serie di interviste con esponenti governativi e altri responsabili, seguendo le disposizioni concordate con il nostro servizio».
Certamente questi servizi non saranno scritti per convincere i lettori francesi! Ma saranno ripresi dai mezzi di comunicazione favorevoli al partito di SYRIZA e dalla TV nazionale, ovviamente filogovernativa, come dimostrazione dei progressi fatti ad opera del nostro saggio e capace governo. Si vede che un’infarinatura cattolica esiste sempre, malgrado la Chiesa cattolica locale stenti a vivere dignitosamente, a causa delle pesanti tassazioni. Il clero ortodosso, in tutti i suoi ranghi, è stipendiato dallo Stato. I suoi membri sono impiegati statali, così come le strutture ecclesiastiche sono finanziate dallo Stato.
Cosa dicono “gli altri”
In questi giorni il Guardian afferma che il 21 agosto siamo agli «ultimi echi del dramma di salvataggio della Grecia, ma le difficoltà non sono ancora finite». E precisa: «In un’economia che si è ridotta del 26%, il quinto della forza lavoro – 2/5 dei giovani – è in disoccupazione e circa 500.000 sono fuggiti all’estero, principalmente negli Stati membri più ricchi dell’Europa settentrionale». Il governo greco ha firmato una serie di obiettivi molto ambiziosi. La Grecia si è impegnata a produrre un avanzo primario del 3,5% del PIL entro il 2022 – un obiettivo raggiunto da alcuni paesi dopo il ’70 – e un avanzo del 2,2% entro il 2060.
Da parte sua, il capo dell’Osservatorio greco presso la London School of Economic, Kevin Federstooun, definisce le misure in questione «purgatorio perpetuo». «Nessun altro governo in Europa avrebbe scelto quella via. La Grecia è stata salvata nella logica di evitare l’uscita Armaghedon dalla zona euro, ma il modo con cui è stata salvata è sproporzionato. Il modo con il quale è stata salvata dalla crisi ha ottenuto il risultato opposto a quello dell’uscita dalla crisi». «Rispetto ad altri paesi vicini, la Grecia è dietro. In nessun settore c’è un recupero di reddito attraverso una crescita superiore alla media. La politica di salvataggio ha lasciato una grande cicatrice indelebile», conclude il Berd Luke AFZ.
È del 21 agosto la vignetta nel Guardian per celebrare la fine dell’epoca dei “memorandum”: la Grecia… un scheletro che festeggia per la fine dell’epoca dei “memorandum” e, sullo sfondo, terra bruciata e figure di gente stremata.
E ancora il Guardian: I “memorandum” per la Grecia erano un colossale fallimento, «una campagnia pubblicitaria» il preteso success story.
Bloomberg: I “memorandum” hanno salvato le banche e hanno sovraccaricato il popolo.
Handelsblatt: Dopo 8 anni di “terapia intensiva” l’ammalato è ancora molto più grave.
Allgemeine Zeitung: La Grecia libera, però sempre dipendente dai miliardi di Bruxelles.
Frankfurter Rundschau: «Viene un esplosione di povertà».
SudZ: La Grecia rimane un stato controllato dall’esterno.
Tageszeitung: Arrivano nuovi duri decurtamenti.
Politico: Il giorno dopo i “memorandum” vedrà la Grecia perdente e povera.
Sonora è stata la risposta del direttore del Financial Times, Lionel Barber, al tweet di ieri del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, in occasione dell’uscita della Grecia dal “memorandum”: «La Grecia non potrà mai ripagare la montagna di debiti. L’esodo è solo un’àncora/antidoto temporaneo per coprire l’indebitamento irresponsabile da parte delle banche europee. La Grecia potrebbe essere stata corrotta fino al midollo (come ha detto l’ex primo ministro Giorgio, figlio Andreas Papandreou), i greci però non meritano questo trattamento. Questo spiega, in parte, perché l’Unione Europea è così impopolare». Così rispose il giornalista inglese al commento del signor Tusk: «Ce l’avete fatta!! Congratulazioni alla Grecia e al suo popolo per la fine del programma di assistenza finanziaria. Con enormi sforzi e solidarietà europea hai vinto il domani».
L’amato e stimato Moscovici alcuni giorni fa aveva dichiarato che, se non si fossero effettuate le elezioni del 2015, tutto sarebbe stato risolto più presto e meglio.
L’ex primo ministro d’Italia Gentiloni in un tweet scrive:
«La Grecia esce dal programma di sostegno gestito dalla Troika e riguadagna la sua autonomia dopo otto anni. Le difficoltà non mancheranno ma nel frattempo Alexis Tsipras ha salvato il suo paese con riforme e senso di responsabilità. Mi sto togliendo il cappello».
Il signor Tsipras, per dare l’annunzio solenne della fine dell’epoca dei “memorandum” è andato a Itaca dandosi il ruolo di Ulisse che conclude le sue peripezie e mette ordine nella sua casa.
Dichiaro che, disgraziatamente, invece di cercare e di coltivare un po’ di consenso, in vista di un futuro migliore per tutti, non ha fatto che indicare dei colpevoli e si è presentato come un primo ministro che declina ogni responsabilità e come un partito con un vantaggio morale su tutti.