La pacifica dimostrazione di domenica a Hong Kong forse potrebbe aprire a uno scenario di soluzione diverso per le proteste, mentre fino a ieri tutto sembrava intrappolato nella dura alternativa tra opposizione violenta dei dimostranti e repressione sanguinosa delle autorità.
IERI infatti hanno sfilato 1,7 milioni di persone senza atti di aggressione da parte di frange dei manifestanti e quindi anche senza interventi antisommossa della polizia. Ciò arrivava dopo che ormai le proteste si svolgevano in maniera pacifica da tre giorni e l’aeroporto, bloccato per tre giorni dai manifestanti, era stato sgomberato.
Ciò da fiducia a Pechino che la situazione a Hong Kong possa essere riportata alla normalità in maniera graduale, senza interventi militari. Tale intervento potrebbe fare poi esplodere anche i tanti problemi che la Cina ha oggi ed esasperare le contraddizioni con gli Stati Uniti, con cui è in corso una dura trattativa commerciale.
Si fa largo quindi la prospettiva di una specie di “soluzione Qiao Shi” per le proteste. Nel 1989, nel corso delle proteste di Tiananmen, Qiao Shi, secondo le voci dell’epoca, proponeva una soluzione mediana tra chi si schierava con i dimostranti, come l’allora segretario del PC Zhao Ziyang, e chi invece voleva una repressione dura con l’intervento dell’esercito, come l’allora premier Li Peng.
Qiao avrebbe voluto lasciare sfogare la protesta e poi sgomberare la piazza, accogliendo unilateralmente alcune richieste degli studenti. In effetti, la sera del 3 giugno, quando le truppe mossero su Tiananmen, la piazza era praticamente abbandonata dagli studenti. Non c’erano i minimi servizi igienici e il caldo cominciava a essere implacabile. Forse solo dopo qualche giorno, sarebbero bastati pochi agenti per riprendere la situazione in mano.
Ciò però avrebbe dato un’importante vittoria politica a Qiao, battendo i duri del partito. L’intervento militare cambiò molte cose.
La stessa logica sembrava in gioco nelle settimane scorse a Hong Kong, con duri scontri tra i manifestanti e parte delle autorità in cerca di uno scontro sanguinoso che avrebbe dato inizio alla rivoluzione (secondo i manifestanti) o avrebbe imposto una linea di scontro muscolare a tutto tondo (secondo i duri a Pechino).
Naturalmente questo oggi è solo uno spiraglio; non esclude che manifestanti violenti e “duri” a Pechino non tornino oggettivamente ad allearsi riportando la tensione in stato di ebollizione.
Qui forse occorrerebbe anche uno sforzo di analisi e visione politica da parte dei manifestanti che hanno presentato i cinque punti di richieste. Tali richieste non possono essere una cosa da prendere o lasciare; possono essere un’idea per una trattativa politica.
Pechino dovrebbe anche cercare interlocutori politici tra i leader dei dimostranti e legittimarli dando loro una credibilità.
Negli anni ’70 in Italia, quando frange estremiste spingevano per la radicalizzazione delle proteste, la DC allora al potere cercò e trovò interlocutori nel PCI per isolare gli elementi più violenti e accogliere una parte delle richieste della piazza. La situazione non si risolse in un giorno, ma evitò dissesti politici drammatici, che pure allora sarebbero stati possibili.
Inoltre, con il recente piano di aiuti per i ceti più deboli a Hong Kong, Pechino appare rendersi conto che ci sono due problemi sociali drammatici ad alimentare la protesta. Essi vanno risolti, al di là delle richieste di maggiore democrazia nel territorio. I problemi sono lo strapotere di un gruppo di ultraricchi, che blocca le possibilità di avanzamento sociale della classe media. In pratica non c’è più la possibilità di ascensore sociale, che esisteva invece fino a una decina di anni fa.
Inoltre c’è una polarizzazione della società con persone che guadagnano nominalmente a livelli occidentali ma hanno un tenore di vita sempre più basso, visti i costi al rialzo del territorio. Questi problemi non ci sono nelle richieste dei dimostranti ma sono una questione sempre più scottante per il territorio.
The peaceful demonstration on Sunday in Hong Kong could perhaps open up to a scenario of a different solution to the protests, while until yesterday everything seemed trapped in the harsh alternative between the violent opposition of protesters and bloody repression by the authorities.
Yesterday, in fact, 1.7 million people marched without acts of aggression by fringes of protesters and therefore without police rioting. This came after the protests had now been held peacefully for three days and the airport, blocked by protesters for three days, had been evacuated.
This gives Beijing confidence that the situation in Hong Kong can be restored gradually to normal, without military intervention. This intervention could also cause the many problems that China has today to explode and exacerbate the contradictions with the United States, with which a tough commercial negotiation is underway.
The prospect of a kind of “Qiao Shi solution” for the protests is therefore made wide. In 1989, during the Tiananmen protests, Qiao Shi, according to rumors at the time, proposed a median solution between those who lined up with demonstrators, such as the then PC secretary Zhao Ziyang, and those who wanted a harsh repression with army intervention, such as then-premier Li Peng.
Qiao would have liked to let the protest give vent and then clear the square, unilaterally accepting some of the students’ requests. In fact, on the evening of June 3, when the troops moved to Tiananmen, the square was practically abandoned by the students. There was not the slightest toilet and the heat began to be relentless. Perhaps only after a few days, a few agents would have been enough to resume the situation in hand.
But this would have given Qiao an important political victory, beating the tough ones of the party.
The military intervention changed many things.
The same logic seemed at stake in recent weeks in Hong Kong, with fierce clashes between protesters and part of the authorities in search of a bloody confrontation that would have started the revolution (according to the protesters) or would have imposed a line of muscular confrontation to everything round (according to the tough in Beijing).
Of course this is only a chink today; it does not exclude that violent and “hard” demonstrators in Beijing do not objectively return to ally bringing the tension back to a boiling state.
Here perhaps an effort of analysis and political vision by the protesters, who presented the five points of requests, would also be needed. Such requests cannot be something to take or leave, they can be an idea for a political negotiation.
Beijing should also seek political interlocutors among protest leaders and legitimize them by giving them credibility.
In the 1970s in Italy, when extremist fringes pushed for the radicalization of the protests, the DC then in power sought and found interlocutors in the PCI to isolate the most violent elements and accept a part of the demands of the square. The situation was not resolved in one day, but avoided dramatic political upheavals, which even then would have been possible.
Moreover, with the recent aid plan for the weaker classes in Hong Kong, Beijing appears to realize that there are two dramatic social problems that fuel the protest. They must be resolved, beyond the demands of greater democracy in the territory. The problems are the overwhelming power of a group of super-rich, which blocks the possibilities of social advancement of the middle class. In practice there is no longer the possibility of a social lift, which existed up until a decade ago. Furthermore, there is a polarization of society with people who earn nominally at Western levels but have an increasingly lower standard of living, given the rising costs of the territory. These problems are not in the demands of the demonstrators but are an increasingly burning issue for the territory.