Subsahara: le cifre della fame

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Secondo le stime degli organismi delle Nazioni Unite, oggi, nel mondo, sono quasi 800 milioni le persone che soffrono la fame o che sono sottoalimentate. Se è vero che due terzi di quella cifra appartiene all’Asia (1 persona su 9), è anche vero che è l’Africa subsahariana la regione a più alto tasso di persone che patiscono la fame (1 su 4). Mentre la causa di morte del 45% dei bambini al di sotto dei 5 anni è la malnutrizione.

Secondo la FAO, hanno urgente bisogno di aiuti alimentari 37 Paesi del mondo. Di questi 37, ben 28 sono posizionati nell’Africa subsahariana.

I numeri della tragedia in corso

Ed è proprio a questa preoccupante emergenza che La Croix (8 marzo 2017) dedica una particolare attenzione. Sono quattro i Paesi presi in esame: il Sud Sudan, il nord-est della Nigeria, la Somalia e lo Yemen.

Il 20 febbraio scorso l’ONU ha dichiarato lo stato di carestia per il Sud Sudan. Si calcola che circa 100.000 persone rischiano di morire. Cifra che può raggiungere il milione nei prossimi mesi in assenza di aiuti. Un organismo delle Nazioni Unite fa notare, realisticamente, che «quando viene ufficialmente dichiarato lo stato di carestia, vuol dire che le persone hanno già cominciato a morire di fame».

Ma non è solo la natura – vedi la ricorrente siccità – a causare queste emergenze umanitarie. Ancora più spesso sono i conflitti politici e militari la causa di tanta sofferenza. Prendiamo il Sud Sudan. Il presidente Salva Kiir è di etnia dinka, mentre il suo vice è di etnia nuer. Essi hanno ingaggiato una lotta senza esclusione di colpi per il potere e per lo sfruttamento delle risorse petrolifere. A soffrire di questa situazione sono quasi 5 milioni di sudanesi del Sud (il 42% dell’intera popolazione).

In Somalia la minaccia della fame incombe su oltre 6 milioni di persone, la maggior parte dislocate in zone rurali. Ma anche qui è presente una guerriglia condotta dai “chebabs” (letteralmente “i giovani”), musulmani di ispirazione fondamentalista, i cui attacchi terroristici arrivano fino al cuore della capitale, Mogadiscio accusata di essere filo-saudita e filo-occidentale.

In Nigeria, in particolare nel suo nord-est, soffrono di penuria alimentare circa 5 milioni di abitanti. L’esercito regolare non riesce a sconfiggere le bande islamiste di Boko Haram. Se le forze di sicurezza hanno sotto controllo la situazione delle città. non altrettanto si può dire della campagna e della foresta, rifugio privilegiato dei terroristi.

Un paese non africano che desta molta preoccupazione per quanto riguarda l’alimentazione è lo Yemen, dove a soffrire sono oltre 7 milioni di persone. Anche qui è in atto un sanguinoso conflitto tra coloro che appoggiano il presidente deposto e i sostenitori del suo predecessore. Il tutto aggravato dall’intervento militare dell’Arabia saudita in appoggio ai primi e dell’Iran a sostegno dei secondi. Un rapporto dell’ONU (23 febbraio) denuncia che «entrambe le parti in conflitto hanno ostacolato in tutti i modi la distribuzione di aiuti umanitari».

In questi Paesi c’è anche da costatare, oltre alla fame e alla guerriglia interna, l’assenza dello Stato e un’economia (comprese le attività agricole e commerciali) praticamente inesistente. In più, anche gli aiuti umanitari incontrano ostacoli di ogni genere.

Secondo l’UNICEF, nei quattro Paesi presi in esame, circa un milione e mezzo di bambini rischia di morire di fame.

La fatica degli aiuti umanitari

Che fare per aiutare queste popolazioni così provate? Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha chiesto dalla Somalia, dove si trovava per visitare un campo profughi, una mobilitazione «massiccia», perché «abbiamo l’obbligo morale di fare tutto il possibile per aiutare queste persone».

Le agenzie dell’ONU e le Ong premono per l’apertura di corridoi umanitari. Ma anche qui le difficoltà non mancano. L’assenza di infrastrutture, la dispersione di queste popolazioni e l’inaffidabilità delle parti in conflitto sono le cause principali. In riferimento all’ultimo ostacolo, Alexandre Giraud di Solidarités International costata che «per aprire corridoi umanitari occorre l’autorizzazione dei gruppi armati», i cui metodi «sono di una violenza estrema». Lo stesso funzionario, esperto di cose africane, ha dichiarato che, sul piano umanitario, nessuna trattativa è possibile con Boko Haram.

A capire il dramma del Sud Sudan ci aiuta anche la testimonianza di un responsabile del Programma alimentare mondiale, G. Fominyen. Gli abitanti della regione del Leer – racconta – hanno trascorso sei mesi rifugiandosi in acquitrini e zone paludose per sfuggire al conflitto in corso, nutrendosi di piante d’acqua.

Lascia sgomenti la costatazione di Carolin Boyd, funzionaria dell’ONU in Sudan: «Da tre anni a questa parte è in aumento l’insicurezza alimentare. Ogni anno noi diciamo che non si può ulteriormente peggiorare. Invece…». E, a riprova di quanto affermato, racconta che in due anni la base dei rifornimenti alimentari di cui lei è responsabile è stata completamente distrutta due volte.

Alla pari di tanti conflitti presenti nel mondo ma dimenticati o lasciati in penombra dalla politica e dalle agenzie di informazione, anche la fame rischia di diventare una tragedia dimenticata.

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