La Turchia si mostra riluttante a fare i conti con questo oscuro episodio del suo passato. Ma la storia non può dimenticare uno dei più efferati eccidi come il genocidio degli armeni.
Qualche anno fa papa Francesco richiamò l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sul primo genocidio del XIX secolo, perpetrato oltre un secolo fa contro l’inerme popolo armeno. Le sue parole scatenarono la reazione isterica della Turchia, la quale a tutt’oggi non vuol saperne di fare i conti con le pagine oscure del suo passato, legato strettamente alle vicende dell’Impero Ottomano.
Il Grande Male o Metz Yeghérn – come lo definiscono gli armeni nella loro lingua – è il primo dei tragici genocidi che si sono succeduti nel secolo scorso: un milione e mezzo, forse due milioni di persone (ma la cifra esatta neanche gli storici più attendibili riescono a definirla) sono la drammatica testimonianza del punto a cui può giungere la malvagità umana ed esprimono l’ottusità di un potere, che ha annientato intere popolazioni e schiacciato impunemente persone del tutto ignare e innocenti.
La storia
L’Armenia, all’interno dell’Impero Ottomano che si reggeva dal punto di vista amministrativo sui “Millet” (comunità etnico-religiose i cui capi responsabili rispondevano direttamente al sultano), era considerata tra le componenti più fedeli alla Sublime Porta di Costantinopoli e questo rende ancora più difficile comprendere la ferocia con cui turchi, curdi e circassi si accanirono contro la comunità armena.
Per capire cosa stava alla base di questo odio, bisogna risalire indietro negli anni, quando, nel 1877, dopo una guerra tra la Russia zarista e l’Impero Ottomano, il territorio storico dell’Armenia venne diviso tra queste due potenze. Data la sconfitta dell’Impero Ottomano, nel trattato di pace fu inserita una clausola che affidava alla Russia la tutela della minoranza armena in gran parte cristiana ortodossa (anche se, di fatto, la Chiesa armena è una Chiesa cosiddetta pre-calcedonese in quanto riconosce solo i primi tre concili ecumenici: Nicea, Costantinopoli ed Efeso).
Bisogna inoltre tener conto che, alla fine dell’ottocento, l’Impero Ottomano era definito da tutte le cancellerie europee il “Grande malato”, in quanto la vastità del territorio e l’eterogeneità dei popoli in esso racchiusi, potevano diventare da un momento all’altro una polveriera, nel caso fosse venuta a mancare la funzione unificante degli Osman, ovvero la dinastia al potere ininterrottamente dal 1453 a Costantinopoli.
Gioverà ricordare che gli ottomani (definizione italiana degli “osmani selgiuchidi”) unitamente agli Asburgo, da quattro secoli erano protagonisti fondamentali sulla scena europea e la loro potenza si era spinta sino ad insidiare l’imperiale Vienna per ben due volte, senza per altro riuscirvi.
I timori e le paure delle nazioni europee trovarono puntuale conferma quando le classi dirigenti delle varie nazionalità, formatesi in gran parte a Londra, Parigi e Berlino – quindi sul modello europeo – accesero il fuoco del nazionalismo, mettendo in discussione l’impalcatura stessa dell’Impero Ottomano; per cui, di fronte ad una popolazione storica, cementata sin dagli albori dalla fede cristiana, illuminata da una cultura vivacissima che trovava nella poesia e nella letteratura uno straordinario veicolo di coesione nazionale, il sultano prima e il movimento dei Giovani Turchi poi, cercarono in ogni modo di espellere, e successivamente cancellare, ogni traccia della nazione armena.
Lo sterminio
Il progetto di sterminio ebbe inizio verso il 1913, quando alcuni ufficiali dell’esercito ottomano, appartenenti al movimento nazionalista dei Giovani Turchi, decisero che la Turchia che stava per nascere dal dissolvimento dell’Impero Ottomano, avrebbe avuto come caratteristica quella di non includere al suo interno nessun altro popolo, etnìa o religione diversa dalla dominante.
Una nazione come l’Armenia, situata su una linea di confine che si era rimodellata più volte lungo i secoli, veniva così a trovarsi come motivo d’intralcio ad un simile progetto.
La soluzione individuata fu lo sterminio programmato con freddo calcolo da gente senza scrupoli. Le sconfitte subite delle armate turche alimentarono un sentimento diffuso contro coloro che risultavano vittoriosi e per tanto cominciarono gli atti ostili contro la comunità armena al fine di eliminare un gruppo che si riteneva potesse essere una testa di ponte del nemico all’interno della Turchia.
Iniziarono così i massacri in tutte le città dell’Armenia e in altre città dell’Impero Ottomano. Oltre agli eccidi, venne attuato un piano di deportazione al fine di “liberare” interi territori dalla presenza armena.
Si succedettero quindi eventi di una tale brutalità che tutte le legazioni diplomatiche europee riferirono ai rispettivi governi, i quali, per altro, restarono indifferenti di fronte all’immane tragedia che si stava consumando.
Il 24 aprile 1915, giorno che, da allora, simboleggia il ricordo del genocidio, fu dato ordine dal governo turco di arrestare dirigenti politici, capi religiosi e civili, intellettuali e uomini d’affari armeni, che vennero giustiziati nei giorni seguenti. Successivamente, gli armeni furono allontanati dalle loro terre e abitazioni costretti ad avviarsi verso il deserto siriano. In questo esodo forzato, migliaia di donne, vecchi e bambini morirono di fame e di stenti.
Qualche anno dopo…
Il genocidio del popolo armeno si consumò implacabile. I pochi sopravvissuti si dispersero in varie parti del mondo e l’Armenia venne ridotta dal punto di vista geografico ad una piccola nazione, inglobata successivamente nell’Unione Sovietica. Tutti i luoghi cari alla coscienza collettiva armena furono invece assorbiti dal nascente stato turco tra il silenzio impassibile di gran parte dell’opinione pubblica internazionale e delle Cancellerie europee. Il popolo armeno fu ridotto a una piccola comparsa sulla scena mondiale.
Il genocidio perpetrato dai Giovani Turchi fece scuola. Narrano i biografi di Hitler che, pianificando lo sterminio degli ebrei, egli si sia lasciato scappare una frase illuminante: «Del genocidio degli armeni, chi ne parla più ormai!». Non erano passati neanche vent’anni e già si programmava un altro sterminio: l’Olocausto del popolo ebraico.
Fare memoria oggi di quei tragici avvenimenti, come coraggiosamente ha fatto papa Francesco, a fronte di una Turchia che tenta con ogni mezzo di presentarsi come laica e tollerante al fine di avvalorare il suo ingresso in Europa, dev’essere un imperativo morale per tutte quelle coscienze libere che non vogliono accettare passivamente l’acquiescente oblio dei potenti, ma credono possibile la costruzione di una nuova Europa, a condizione che i drammi del passato non siano dimenticati e i morti innocenti siano un monito illuminante per le nuove generazioni.