
Siriani festeggiano la caduta del regime di Assad a Istanbul, Turchia, 8 dicembre 2024 (AP Photo/Emrah Gurel)
C’è un’esigenza alla base delle aspettative per l’anno nuovo per tutti i siriani e i libanesi: cambiare il modo di vedere sé stessi e il mondo. Questa esigenza si coglie particolarmente urgente per i cristiani, in diminuzione costante in Libano, ormai soltanto 250mila in Siria, il frutto avvelenato della protezione offerta e accettata dal regime degli Assad. La realtà nel vicino Iraq non è dissimile. Ma ora i cristiani hanno una possibilità preziosa; la loro urgenza, elaborare un modo nuovo di vedere sé stessi e il mondo, è ora l’urgenza di tutti i loro compatrioti.
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Il primo cambiamento è proprio nei rapporti bilaterali: per i libanesi la Siria non è più il nemico che ha da sempre negato la loro esistenza e questo può essere il punto di partenza per un nuovo modo di essere dei cristiani libanesi. Stabilire nuove relazioni con Damasco dovrebbe essere una loro priorità.
È finito il tempo dell’inimicizia necessaria e un’apertura di credito dei politici cristiani al nuovo vicino, dai contorni almeno ambigui, sarebbe utile a entrambi: a lui che oggi è bisognoso di legittimità, e ai politici cristiani libanesi che avvicinerebbero a sé un leader che può pesare nella ricerca di stabilità del Libano.
È quello che ha saputo fare il leader druso Walid Joumblatt, andando subito a Damasco. In questa occasione il nuovo leader siriano ha fatto un discorso molto importante: dal vertice di un Paese governato mettendo in urto le comunità religiose dall‘astuto terrorismo di Stato del regime assadista, al-Sharaa ha ricevuto il druso Jumblatt per dire davanti a tanti microfoni che vedendo lui piange suo padre, tanti anni fa leader dei progressisti libanesi Kamal Joumblatt, ucciso dal regime siriano, ma piange anche Rafiq Hariri, l’ex premier sunnita libanese che ha ricostruito Beirut e che è stato ucciso anche lui dal regime siriano.
Ma poi ha osato dire che vedendo lui piange anche il cristiano Bashir Gemayel, che appena eletto presidente del Libano fu analogamente assassinato dal regime siriano. Dunque il messaggio è ai suoi sunniti, la comunità a cui appartiene, ma anche ai drusi e ai cristiani: il vecchio regime proteggeva solo se stesso. Potente e trascurato è stato soprattutto il passaggio sul falangista Bashir Gemayel, per la narrativa ufficiale musulmana da decenni identificato con il male assoluto. Dunque, almeno nelle parole, è stato evidente anche il messaggio di diplomazia a tutto il Libano e non solo: con me finisce l’epoca del colonialismo siriano, comincia il tempo della reciprocità.
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Credibile? Si vedrà. Poco? Certamente no. È stato un discorso comunque da prendere sul serio, per condizionare il nuovo uomo forte di Damasco, legarlo a quanto ha detto. Questo è un nuovo di pensare perché non mantiene legati alle paure, alle feroci dispute passate, ma soprattutto non propone un discorso settario, non chiede protezioni, ma offre una visione.

Ahmed al-Sharaa, leader della nuova Siria, alla Moschea degli Ommayadi a Damasco (AP Photo/Omar Albam)
I cristiani libanesi che vanno a Damasco, come ha fatto il leader del gruppo «Madonna della Montagna» Fares Souaid, propongono una visione regionale e non settaria, non chiedono protezioni ma offrono un contributo da cittadini di Stati da trasformare.
È quello che ha detto in modo chiarissimo e totalmente nuovo l’arcivescovo maronita di Damasco: «Non dobbiamo ragionare in termini di comunità, ma da cittadini». Il vecchio è passato, il nuovo richiede ai cristiani di contribuire a farlo nascere pluralista, riguardoso delle diversità.
Lo ha detto con parole chiare dalla Siria anche il priore della comunità monastica di Mar Musa, Jihad Youssef, per il quale «è necessario costruire un concetto civile di cittadinanza che non sia contro la religione, ma che basandosi sulla fede rispetti la religione e garantisca i diritti delle minoranze religiose, etniche e linguistiche».
Alla Siria che cerca di avviare un meccanismo inclusivo per scrivere la sua nuova Costituzione è questo, non la protezione, ciò che serve, senza alleanza tra minoranze ostili alla più numerosa comunità di fede. Questa è stata la trappola che ha peggiorato tutti, mettendo i maggioritari sunniti in balia degli estremismi revanchisti e le minoranze al guinzaglio di regimi impresentabili.
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Il discorso dunque non è più libanese, siriano, iracheno, ma comune a tre Stati che devono trovare il modo di essere amici nella comune complessità. Il patriarca caldeo Louis Sako lo ha detto con parole molto simili a quelle dei suoi due correligionari siriani: nel suo messaggio natalizio infatti ha parlato espressamente della necessità di costruire uno Stato fondato sulla «cittadinanza», che sappia garantire l’uguaglianza di tutti gli iracheni, rifiutando il settarismo e la vendetta.
I cristiani libanesi, essendo i più numerosi, invece di dividersi nella corsa a chi diventerà il nuovo Presidente della Repubblica, per patto nazionale un cristiano maronita, potrebbero promuovere questa visione intessendo relazioni di nuova amicizia con gli Stati vicini e di partenariato con i poco rassicuranti nuovi leader di Siria e Iraq: dargli credito per spingerli all’apertura, al cambiamento.
Papa Francesco ai tempi del Covid ha detto che da una crisi si esce migliori o peggiori, mai uguali. Questa è la realtà di Libano, Siria, Iraq. Il mondo cambia, le sfide sono enormi come i problemi e le paure, ma ci sono le condizioni per proporre una visione coraggiosa per affrontare e governare il flusso degli eventi e cogliere le potenzialità che la crisi offre.
Il patriarca Sako ha saputo rilanciare tale visione riproponendo il progetto di estendere ai leader religiosi della comunità sciita irachena la firma del Documento sulla fratellanza umana che è già stato firmato da Papa Francesco e dall’Imam della principale università teologica sunnita, Ahmed al Tayyeb. Sarebbe un progresso enorme, perché gli sciiti che cominciano a ribellarsi, soprattutto in Libano, all’egemonia teocratica di Hezbollah, che li ha ridotti sul lastrico con la violenza, non possono essere lasciati fuori da un processo inclusivo e rifondativo dei loro Stati.
L’illusione della protezione da parte dei regimi ha tolto ogni proposta statuale ai cristiani di questa parte in rovina del mondo arabo. Ora loro possono davvero essere il lievito della rinascita: se vorranno e oseranno una visione nuova di sé e del mondo.
Il 2025 potrebbe rappresentare un’opportunità unica per i cristiani del Medio Oriente, un’occasione storica che risponde alla necessità di ripensare se stessi e il loro ruolo nel contesto sociale, politico e religioso che li circonda. In paesi come la Siria, il Libano e l’Iraq, dove la presenza cristiana è in costante declino, emerge ora una nuova possibilità di costruire una società più inclusiva e pluralista, a partire dalle sfide storiche e dalle difficoltà vissute dalle minoranze.
In Libano, dove i cristiani sono stati tradizionalmente separati dalle fazioni politiche maggioritarie, si apre ora una prospettiva di cambiamento, in cui l’inimicizia storica con la Siria potrebbe essere superata a favore di un dialogo che riconosca la reciproca legittimità. La visita del leader druso Walid Joumblatt a Damasco, seguita dalle dichiarazioni di apertura del nuovo regime siriano, suggerisce che un riavvicinamento tra le diverse comunità potrebbe favorire una nuova visione, non più settaria, ma orientata alla costruzione di uno Stato pluralista.
Lo stesso spirito di apertura viene proposto da numerosi leader cristiani, come l’arcivescovo maronita di Damasco e il priore della comunità monastica di Mar Musa, che sottolineano l’importanza di un concetto di cittadinanza che non sia in contrasto con la fede, ma che rispetti i diritti delle minoranze. Questi leader invitano i cristiani a non cercare protezione, ma a impegnarsi nella costruzione di una società più equa, in cui tutte le minoranze possano essere rispettate.
L’esempio del patriarca caldeo Louis Sako, che ha parlato della necessità di un “Stato di cittadinanza” in Iraq, riflette un concetto di unità regionale che va oltre le frontiere nazionali e che può essere applicato anche alla Siria e al Libano. È fondamentale che i cristiani libanesi, invece di dividersi su questioni politiche interne, promuovano un dialogo con i loro vicini siriani e iracheni, aprendo la strada a una nuova era di collaborazione e di stabilità.
Questa sfida richiede coraggio e una visione chiara del futuro, come suggerito anche da Papa Francesco, che ha indicato nella crisi un’opportunità per diventare migliori, non uguali. I cristiani, se sapranno cogliere questa opportunità, possono davvero essere il “lievito” della rinascita di una regione che, nonostante le difficoltà, può trovare una nuova speranza nella solidarietà e nella costruzione di una società inclusiva.