Venerdì 17 maggio 2024: l’Italia è intrappolata nella morsa di un dipolo climatico, piogge estreme, grandine, tornado, altri morti e allagamenti nelle regioni del Nord, al tempo stesso tremenda siccità in Sicilia, dove non piove seriamente da mesi, e i raccolti vanno in malora già in primavera.
Tutto questo a un anno esatto dalla devastante alluvione della Romagna (cf. sito ARPAE) seguita sei mesi dopo da quella di Campi Bisenzio in Toscana (cf. sito Regione Toscana) e infilata in una serie ormai lunghissima e ripetitiva di altri eventi estremi.
Ma non è solo l’Italia: da undici mesi, ovvero dal giugno immediatamente successivo al disastro in Romagna, il pianeta intero corre verso un caldo mai visto prima, documentato inesorabilmente dagli aridi dati forniti da Copernicus, il «servizio climatico europeo», una novità necessaria in questa situazione nuova (cf. sito Euronews).
In effetti il nuovo clima terrestre fa sempre più schifo, e peggiora visibilmente, da anni, non da oggi. Noi climatologi siamo stufi di ripeterlo, si deve correre ai ripari prima che sia troppo tardi il mondo industrializzato deve mollare i consumi di energia fossile, non andare a cercarne altra in giro per il mondo, come fanno ENI e Governi italiani vari col «piano Mattei» (cf. sito FOCSIV).
Con tutta la stima per Mattei − altra epoca, altre priorità − oggi abbiamo da fare cose del tutto diverse, cioè utilizzare appieno il potenziale di vento, pioggia e sole del nostro paese per passare al 100% di corrente pulita, emissioni zero, zero dipendenza dall’estero, zero inquinamento dell’aria e dell’acqua.
Si può fare, come dimostrano i successi innegabili di altri stati che stanno prendendo il cambiamento sul serio, come la Spagna, il Portogallo, la Danimarca, la Germania, o la California. E se lo fanno gli altri, perché noi in Italia invece chiediamo le moratorie alle rinnovabili e lasciamo accese le centrali a carbone come succede in Sardegna?!
Se il clima è cambiato devono cambiare anche le città e le campagne, il paese deve fare in gran fretta una cura di adattamento del suo territorio, le città non possono più essere distese di asfalto e cemento, devono diventare capaci di proteggerci dal caldo estremo, e assorbire le piogge estreme (cf. sito Adriadapt). In particolare gli alberi che nelle città già ci sono vanno lasciati in piedi, e casomai ne vanno aggiunti molti altri.
Anche in campagna c’è tutta una vecchia e inadatta cultura da cambiare , l’agronomia non può essere quella degli anni Settanta: ara, concima, semina, raccogli. A curare la terra e le città devono starci dei nuovi sapienti che abbiano già compreso come si affrontano le sfide del nuovo clima (cf. sito Reteclima).
La mentalità predatoria del boom economico deve cedere il passo a quella della cura, per dirla alla Battiato: «Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono, ed io avrò cura di te». Il cambiamento deve riguardare tutti, amministratori, cittadini, politici, industriali, artigiani, insegnanti e persino i musicisti, come hanno ben compreso gli amici che da anni mi accompagnano suonando mentre faccio conferenze sulla nostra sempre più calda atmosfera. Speriamo serva.
Vittorio Marletto, già responsabile delle attività di ricerca e sviluppo in agrometeorologia e telerilevamento, e successivamente dell’Osservatorio clima, presso il Servizio IdroMeteoClima di Arpa Emilia-Romagna (Bologna), è attualmente membro del gruppo scientifico Energia per l’Italia fondato da Vincenzo Balzani. Per contatti: vitt58@gmail.com; skype: marletto58