Enrico Mattei è stato un grande imprenditore. Nominato liquidatore dell’AGIP nel 1945, invece di seguire le istruzioni del Governo riorganizzò l’azienda fondando nel 1953 l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), di cui l’AGIP divenne la struttura portante. Sotto la guida di Mattei, ENI diventò una multinazionale del petrolio, protagonista del miracolo economico postbellico, e Mattei divenne l’uomo più influente d’Italia, titolare di un potere sottratto di fatto al controllo politico.
Tramite un «suo» giornale, Il Giorno, e le estese inserzioni pubblicitarie, Mattei condizionava buona parte della stampa italiana e, narrano le cronache (E. Scalfari, G. Turani, Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, Feltrinelli, Milano, 1974), coi profitti del metano comprava il favore dei parlamentari, anche se nessuno ha mai messo in discussione la sua personale onestà.
A chi gli chiese se ENI finanziasse i partiti, Mattei candidamente rispose che usava i partiti allo stesso modo di come usava i taxi: «salgo, pago la corsa, scendo». Mattei fece anche approvare dal Parlamento una legge con la quale l’ENI diventava di fatto un «organismo» autorizzato a disporre delle concessioni in Italia e provvisto di carta bianca per le concessioni all’estero. Una legge davvero su misura per l’ENI, o più correttamente, per Mattei.
Il monito inascoltato
Il nostro paese deve a Mattei, al suo modo di operare (Piano Mattei) e ai suoi successori in ENI la grande disponibilità di energia che ha sostenuto lo sviluppo economico per molti decenni. Oggi il problema energia ha tutto un altro volto.
Sappiamo che l’uso dei combustibili fossili genera inquinamento e, ancor peggio, il cambiamento climatico, definito dalla Conferenza di Parigi del 2015 «il problema più importante per l’umanità». Nella stessa Conferenza, le 195 nazioni partecipanti raggiunsero un accordo di principio sulla necessità di porre fino all’uso dei combustibili fossili entro il 2050.
Purtroppo, a questo accordo si sono opposte e si stanno ancora opponendo, in vari modi, le compagnie petrolifere, nel frattempo diventate giganti economici privati o a partecipazione statale, come ENI.
Ancor oggi, a dispetto di molte dichiarazioni e marginali attività nelle energie rinnovabili, queste compagnie, ENI in testa, operano con grande impegno non solo nella produzione, ma anche nella ricerca di ulteriori giacimenti, nonostante gli ammonimenti degli scienziati e persino del segretario dell’ONU Guterrez:
«Il tempo stringe, le emissioni di gas a effetto serra continuano ad aumentare, la temperatura globale continua a salire e il nostro pianeta si sta avvicinando rapidamente a dei punti di non ritorno che renderanno la catastrofe climatica irreversibile. Stiamo procedendo con il piede sull’acceleratore verso la catastrofe».
La transizione urgente e necessaria
Gli accordi del governo e di ENI con nazioni africane per ottenere gas al fine di far fronte alla diminuzione delle forniture dalla Russia sono stati definiti dalla presidente Meloni «Nuovo Piano Mattei». Però, non solo manca oggi una persona di grandi capacità come Mattei, ma, soprattutto, è profondamente cambiato lo scenario energetico in campo mondiale.
Se vogliamo controllare il cambiamento climatico, è necessario e urgente portare a termine la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. Come sostengono gli scienziati e come ha detto anche il segretario dell’ONU Guterrez, investire nei fossili, oggi, è una follia economica e morale.
Certo, non è colpa di questo Governo se lo sviluppo delle energie rinnovabili, che ci avrebbe permesso di raggiungere l’indipendenza energetica, è andato e va avanti troppo lentamente. Il Governo, però, deve capire che risolvere il problema energetico con un «Nuovo Piano Mattei» guidato dal’ENI di Descalzi (quindi, «Piano Descalzi») è assurdo, perché oggi non dobbiamo incrementare, ma ridurre drasticamente l’uso dei combustibili fossili e sviluppare le energie rinnovabili, campo in cui ENI, a dispetto di quello che vuol far credere, non gioca certo un ruolo principale.
Un errore a caro prezzo
ENI negli ultimi anni, tramite abbondanti campagne pubblicitarie ha spinto il greenwashing fino al punto di cambiare, da nero a verde, il colore del famoso cane a sei zampe, ma di fatto si è concentrata sulla ricerca e estrazione di combustibili fossili e si è persino interessata alla fusione nucleare, pur di distrarre l’opinione pubblica dalla necessità di passare alle energie rinnovabili.
Purtroppo, gli avvenimenti di queste ultime settimane mostrano che né il Governo né ENI si stanno rendendo conto di ciò che stanno facendo. Così, per usare la metafora del taxi inventata da Mattei, in questi ultimi anni abbiamo visto Descalzi salire, in successione, sui taxi guidati da Renzi, Gentiloni, Conte, Di Maio, Draghi e ora Meloni; con la differenza che nell’era di Mattei la meta era lo sviluppo dei combustibili fossili per avere più energia, mentre oggi per varie ragioni si dovrebbe procedere in senso opposto e giungere a una meta diversa: l’abbandono dei combustibili fossili e lo sviluppo delle energie rinnovabili.
Questo errore di percorso, continuare cioè verso i combustibili fossili, lo pagheremo a caro prezzo noi, legandoci a nuove dipendenze e, ancor più, i paesi africani che il nostro governo tenta di coinvolgere: perché investire nelle tecnologie dei combustibili fossili (ad esempio, metanodotti e CCS ) che sono destinati ad uscire di scena entro 10-20 anni, rallenta o impedisce alle nazioni africane, che hanno sole in abbondanza, di giungere con le energie rinnovabili alla loro indipendenza energetica.
- Dal sito di Energia per l’Italia (www.energiaperlitalia.it), 11 febbraio 2023.