La marginalità delle tribù di Zabulon e di Neftali poste in un territorio di confine, a contatto con altri popoli, in una zona completamente decentrata da dove si svolge la vita politica e religiosa di Israele, può rappresentare la marginalità di tante comunità monastiche poste in zone isolate, sui monti. Infatti anche noi, come comunità collocata su un monte, siamo posti in una sorta di marginalità.
A volte sembra anche che ci prenda l’ansia di uscire da essa, di fuggirla, per porci là dove c’è il vortice, desideriamo essere nel giro buono, ma in realtà è qui che noi siamo cercati, incontrati da persone che pure vivono una marginalità. Cristiani e non cristiani in ricerca, persone che hanno bisogno di fare tappa lungo il loro cammino per riposarsi, per abbeverarsi, per cercare una conversatio che sia condivisione, rapporti umani e intimità spirituale.
Per questo occorre stare presso i torrenti in cui scorre acqua viva, e non stagnante, dove sia possibile un guado, dove, con l’acqua di sorgente, si possa costruire una fontana ai cui lati i sedili accolgano viandanti.
Il vangelo di Matteo (4,12-23) ci parla proprio di una zona di confine, in prossimità alla terra abitata dai “pagani”. Proprio lì può giungere una grande luce. In questa terra contaminata ancora immersa nelle tenebre può rifulgere la luce. Le tenebre possono lasciare il posto a una luce nuova. «Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse».
Gesù, dopo il battesimo al Giordano, torna in Galilea, ma non nel suo paese di Nazareth, si trasferisce a Cafarnao. È ora lui la grande luce che sorge e inizia a illuminare da questi territori di confine, proprio nel dare avvio alla sua predicazione.
Da anni le chiese si svuotano e i preti si scoraggiano. In realtà, le chiese che si svuotano sono una provocazione e un’opportunità. Ci provocano a un esame di coscienza sul nostro impegno, sul nostro lavoro, personale e comunitario. Ci offrono l’opportunità di una verifica, di cercare di comprendere cosa siamo diventati e dove sono andati. Perché la gente c’è, altrove; la gente cerca, altrove. La sua felicità interiore, il suo benessere spirituale. Il Vangelo ha finito di offrirli?
Accorgerci di ciò che è successo. Tutto quanto sta capitando leggiamolo come una grande provocazione a fare meglio, a fare diversamente, a fare in altro modo, a percorrere nuove strade.
Sempre ci è dato di essere discepoli del Signore e di annunciare il Vangelo. Ma stiamo portando il Vangelo ai nostri fratelli e alle nostre sorelle? Agli uomini e alle donne del nostro tempo, o lo portiamo a quelli di altri tempi?
Il Vangelo ci conduce a luoghi di confine, liminari. Sappiamo spingerci là, dove c’è gente che non entra nelle nostre chiese, ma ugualmente vive una ricerca nel travaglio della vita?
«Abbandonate le reti lo seguirono». Abbandonare tutti i legami, le convenzioni, che ci impediscono di essere liberi nel Signore, di essere autentici nel seguirlo.
Cosa ci impedisce di essere felici? Occorre il coraggio di tirar fuori tutta l’umanità che c’è dentro di noi e intorno a noi. Sentirci con e nel popolo di Dio.
Roberto Fornaciari osb cam,
Monastero di Camaldoli, email: fornaciari.cam@gmail.com
Il monachesimo liminare
Un altro P. Roberto di altri tempi ha avuto a Camaldoli un ruolo nella mia vocazione ai margini dello stesso monachesimo. Il cercatore di Dio lo è, monaco o non monaco, sempre più a disagio dentro una chiesa in cui non si cerca, non si dialoga, no ci sono spazi aperti….l’autore dice “Sentirci con e nel popolo di Dio”, ma quanti monaci saprebbero vivere in certe nostre parrocchie dove l’umanità non si sa cosa sia per il prevalere di dottrina e devozione? Ci fosse un sano scambio che aiuti parrocchie e conventi ad essere più umani! Dove succede funziona…..