L’Iran è al nono posto nella lista – elaborata dall’ONG Open Doors – dei paesi in cui è più pericoloso essere cristiani: l’apertura di chiese è proibita e la conversione dall’islam – religione di Stato – è punibile con la morte per gli uomini, e con l’ergastolo per le donne. Solo nel 2015 più di 100 cristiani sono stati arrestati, imprigionati o sono stati vittime di tortura. Dunque, l’Iran non è un paese per i cristiani. Eppure, è in questo Stato che il cristianesimo sta crescendo in maniera sorprendente. Sarebbero un milione gli iraniani cristiani, anche se avere cifre certe non è semplice, data proprio la repressione cui sono vittime coloro i quali vivono apertamente la propria fede. Dal 1981 almeno 120mila persone sarebbero state giustiziate per le personali convinzioni politiche o religiose. In questo contesto giunge al Comitato esecutivo della Comunione mondiale di chiese riformate il drammatico appello da parte dei vertici della Chiesa evangelica in Iran che riprendiamo di seguito (www.riforma.it).
«Noi, membri del Comitato fondatore del Sinodo della Chiesa evangelica dell’Iran in Diaspora (Secid), ci rivolgiamo a voi con umiltà, dolore profondo e lacrime in cerca del vostro sostegno. Possa questa richiesta trovare un posto profondo nei vostri cuori e muovervi alla preghiera e all’azione.
L’oppressione costante e la discriminazione contro la Chiesa presbiteriana dell’Iran non sono un fenomeno nuovo. Conosciamo bene la persecuzione e le sfide che pone. Avere un luogo comune di culto nelle nostre chiese ci ha permesso di sopportare quattro decenni di ingiustizia, condividendo un terreno comune fatto di preghiera, condividendo i nostri lamenti e ricevendo la parola e la guarigione di Dio insieme. Ora i nostri luoghi di culto dove ci siamo incontrati per incoraggiarci l’un l’altro vengono spazzati via.
Negli ultimi otto anni, persecuzioni e insulti alla nostra fede e alla nostra presenza si sono costantemente intensificati, tuttavia poter contare su edifici ecclesiastici, dove potevamo portare le nostre pene davanti al Signore, è stata fonte di speranza e ottimismo. Lo scorso giovedì (9 maggio 2019) ha segnato una giornata molto buia nella storia del cristianesimo in Iran.
Un gruppo numeroso (stimato in 50 persone) di agenti governativi ha invaso la proprietà della Chiesa presbiteriana assira a Tabriz. L’azione è parsa ben pianificata. Mentre un gruppo ha sostituito le serrature di tutte le porte, alcuni hanno intimato al custode di lasciare la proprietà, mentre un altro gruppo ha installato strumenti di monitoraggio all’interno e intorno alla proprietà e, allo stesso tempo, un ultimo gruppo ha scalato il tetto. Questi hanno distrutto la croce della nostra chiesa. La croce per noi è un simbolo sacro della nostra fede. Vedendo la croce non più al suo posto, molti dei nostri anziani membri di chiesa hanno sentito che la loro speranza era svanita. Guardare le foto della chiesa prima e dopo l’invasione fa venire le lacrime agli occhi di tutti coloro che vi hanno pregato nel tempo.
Ciò che il regime islamico dell’Iran ha fatto, ci ricorda i recenti attacchi terroristici in Nuova Zelanda e Sri Lanka. Ci ricorda anche cosa ha fatto il gruppo fondamentalista Isis alle chiese in Iraq e cosa ha fatto Al Qaeda a Bamiyan, in Afghanistan. La confisca e la distruzione dei luoghi di culto, la rimozione dei simboli di fede non sono un atto di poco conto. Agenti di polizia hanno violato il nostro sacro luogo di culto. Ci sentiamo più soli che mai! È ovvio che questo non è che l’inizio. Il loro prossimo obiettivo potrebbe essere la nostra chiesa presbiteriana di San Pietro e il centro sinodale di Teheran. Nessuna di queste cose sta accadendo per caso. Stanno cercando l’annientamento totale.
La minaccia contro la presenza di un gruppo pacifico di cristiani che vivono in Iran da 2000 anni è diventata più seria che mai. Nel corso dei decenni, avete sostenuto il Sinodo della Chiesa Evangelica dell’Iran in vari modi. Ora, ancora una volta, veniamo da voi in cerca delle vostre preghiere e di azioni immediate. Speriamo che possiate prendere in considerazione l’idea di utilizzare qualsiasi mezzo per difendere per conto un vostro partner storico».