Il comizio appassionato di Matteo Salvini, sabato, in piazza Duomo, a Milano, da un lato ha confermato alcune linee del suo stile e del suo progetto politico, dall’altro le ha evidenziate, facendo cadere alcuni equivoci.
La caduta dei miraggi
Per quanto riguarda le politiche migratorie, in questo raduno, dove si sono raccolti i movimenti sovranisti d’Europa, è stato definitivamente chiaro a tutti che la giustificazione con cui il nostro ministro degli Interni aveva attirato il consenso di molti italiani alla sua politica di intransigente chiusura dei porti era solo un gioco illusionistico, ormai disinvoltamente smentito dallo stesso interessato.
A lungo Salvini aveva sostenuto che il suo obiettivo era costringere gli altri Paesi europei a prendersi le proprie responsabilità nell’accoglienza dei migranti e a non lasciare sola l’Italia. Sabato scorso, a Milano, è stata finalmente detta la verità (peraltro già anticipata nella visita del vice-premier, in Ungheria, al muro anti-profughi di Orban): ciò a cui la Lega e gli altri sovranisti mirano non è una più equa distribuzione nell’apertura agli stranieri, ma una rigorosa chiusura dell’Europa ad ogni forma di accoglienza.
Da ora in poi il ragionamento di chi appoggiava questa politica, pur non condividendone i toni sprezzanti, perché intercettava un elemento di verità – l’egoismo degli altri Stati e la loro ipocrisia nel condannare l’Italia –, dovrà essere accantonato.
Come dovrà essere liquidata l’altra falsa giustificazione, la distinzione tra profughi politici e “migranti economici”: i porti resteranno chiusi per tutti. Perciò ci si dovrà assumere la responsabilità di scegliere tra un’Europa aperta verso il mondo esterno (anche se più attenta a conciliare accoglienza ed integrazione) e un’Europa ermeticamente chiusa in se stessa. Meglio: un’Europa di Stati esclusivamente dediti a perseguire i propri interessi nazionali.
La preghiera di Salvini
Ma non è stato questo che ha richiamato l’attenzione dei mezzi di comunicazione.
Ciò che ha colpito tutti è lo stile comunicativo del leader della Lega che, per sostenere le sue tesi, dopo aver baciato un rosario che aveva in mano, si è lanciato in un’appassionata preghiera: «Ci affidiamo ai sei patroni di questa Europa, a San Benedetto da Norcia, a Santa Brigida di Svezia, a Santa Caterina da Siena, ai Santi Cirillo e Metodio, a Santa Teresa Benedetta della Croce. Ci affidiamo a loro, affidiamo loro il destino, il futuro, la pace e la prosperità del nostro popolo».
E che poi, agitando il rosario, ha concluso: «Io personalmente affido l’Italia, la mia e la vostra vita, al Cuore immacolato di Maria, che son sicuro ci porterà alla vittoria».
Eloquente il secco commento del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin: «Io credo che la politica partitica divida, Dio invece è di tutti», ha dichiarato il capo della diplomazia vaticana. «Invocare Dio per se stessi è sempre molto pericoloso».
In realtà è stato molto significativo anche il contesto di questa preghiera. Nel suo discorso Salvini ha citato con grandi elogi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, per la loro difesa delle radici cristiane dell’Europa, mentre a papa Francesco – il cui solo nome ha suscitato nella folla dei presenti una salve di fischi – ha riservato solo un accenno polemico, quando ha rivendicato di aver dato “risposte con i fatti, non con le parole” al problema dell’immigrazione: «Lo dico anche a Papa Francesco, che oggi ha detto “Bisogna ridurre i morti nel Mediterraneo”. Il governo sta azzerando i morti nel Mediterraneo, con orgoglio e spirito cristiano».
L’ora di scegliere tra Lega e Chiesa
Come in tutta la storia della Lega, fin dalle sue origini, siamo davanti a una pretesa religiosa che punta su simboli e forme devozionali tradizionali per accreditarsi come cristiana, ma allo stesso tempo si contrappone a viso aperto alla Chiesa istituzionale nella visione della vita sociale e nell’interpretazione stessa del Vangelo.
Anche in questo caso, i precedenti riferimenti sarcastici del leader della Lega ai «vescovoni», secondo lui ormai screditati agli occhi del popolo cristiano, ci avevano preparato a questo esito, sottolineato dai fischi della piazza all’indirizzo del pontefice.
E così ha interpretato il discorso di Salvini il quotidiano dei vescovi, «Avvenire», in un corsivo non firmato (quindi espressione del Direttore), che ha definito Salvini «alfiere di un cattolicesimo tutto suo, distante dal magistero del Papa e della Chiesa».
Anche su questo fronte, più religioso che politico, ci troviamo dunque alla resa dei conti in una partita in cui per troppo tempo i miraggi avevano sostituito la realtà. I cattolici che credevano di vedere nella Lega un baluardo al servizio dei valori cristiani ora sono chiamati a decidere se a rappresentarli è papa Francesco o Salvini. Una scelta, peraltro, che si collega a quella tra i modelli di Europa di cui i due sono, rispettivamente sostenitori.
Una contraddizione storica
Solo che il richiamo di Salvini alle radici cristiane dell’Europa contrasta, dal punto di vista storico, col suo progetto politico, perché l’Europa nacque nel medio evo proprio dall’apertura della precedente civiltà romana agli influssi di popoli e di culture che venivano dal di fuori dell’impero e che il cristianesimo non respinse, anzi accolse e assimilò, dando luogo a quel fecondo meticciato che ha plasmato la civiltà occidentale.
Una contraddizione religiosa
Così come suona contraddittorio, dal punto di vista religioso, l’uso delle parole più tradizionali della tradizione cattolica – la consacrazione alla Madonna, l’invocazione ai santi – in un discorso che, in aperta rottura con questa tradizione, pretende di anteporre l’autorità di un leader politico a quella del papa e dei vescovi. Quella di Salvini, a questo punto, non è più la fede cattolica. Ma allora in nome di che cosa presentarsi come suo “gran sacerdote”?
Una contraddizione politica
Anche dal punto di vista della laicità della politica siamo davanti a una chiara incoerenza. Da un lato ci si appella al realismo machiavellico del “prima gli italiani”, al di là di ogni “buonismo” di matrice religiosa, dall’altro ci si impadronisce dei simboli religiosi, in una pseudo-liturgia, facendone la bandiera del proprio partito, come nelle società sacrali di un remoto passato.
Mi dispiace per Salvini
È questa rozza commistione di sacro e profano, che non rispetta né l’uno né l’altro, l’elemento forse più inquietante di questa vicenda. Per quanto ne so – e lo dico da siciliano –, il solo soggetto che a mia conoscenza ha fatto uso in modo così disinvolto del linguaggio e dei simboli della fede per affermare il proprio potere è la mafia. Mi dispiace per Salvini, ma è un fatto.
Di fronte a questo, molti sinceri credenti – e, non lo nego, tra questi anch’io – hanno provato un moto di disgusto. Ci sono molte prese di posizione, sullo scenario politico, che non condivido e che combatto con tutte le mie forze, perché sono sbagliate, anche gravemente. Ma questa orgia di religiosità – tanto più evidentemente strumentale quanto più grossolanamente esibita – è spregevole. Mi dispiace – lo dico sinceramente – per Salvini.