È scomparsa lo scorso 10 agosto a Bologna Raffaella Simili, storica della scienza e professoressa emerita dell’Alma Mater (qui la notizia sul sito UniBO Magazine). Con i suoi studi pionieristici è stata una delle voci più importanti e significative della storia della scienza italiana. La ricordiamo con la lettera appello scritta in vista della celebrazione del 150esimo dell’Unità d’Italia, rimasta del tutto attuale (Scienza in rete, 12 dicembre 2011).
Nel 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, l’occasione per ricordare il ruolo degli scienziati nella laboriosa riunificazione non può essere meramente celebrativa: come in ogni paese sviluppato, anche in Italia la conoscenza esperta e profonda della realtà naturale e dei suoi linguaggi è divenuta, e deve continuare ad essere, il motore più importante della crescita. Un motore che va di pari passo con la democrazia, perché tutti condividano la consapevolezza che esso è il più significativo investimento che convenga a una comunità nazionale evoluta.
La cultura che unisce
Molto prima che avvenisse l’unificazione politica del nostro Paese, e al di là di una unità linguistica coltivata nei secoli, gli scienziati italiani avevano realizzato una unità di interessi culturali sin dal 1782, quando Lorgna chiamò «Società italiana» la futura Accademia dei XL, per ribadire che «non era d’alcun paese, ma di tutta l’Italia».
Essa fu poi rafforzata dal convegno di Pisa del 1839, un convegno così limpidamente «nazionale» da essere oggetto di preoccupazione per i governanti locali: gli austriaci nel Lombardo Veneto, la gerarchia ecclesiastica nell’Italia centrale e a Roma, i Borboni nel Regno delle Due Sicilie. La scelta di Pisa fu dovuta alla lungimiranza del Granduca Leopoldo II di Toscana, ma anche alla genuina e appassionata dedizione di Carlo Luciano Bonaparte, che aveva ravvisato nella riunione dei naturalisti tedeschi a Friburgo di Brisgovia il modello per far compiere un salto in avanti alla collaborazione tra gli scienziati italiani, che trovavano il coraggio di superare i confini ristretti degli staterelli esistenti.
Nonostante i timori dei governi locali, l’occasione si ripeté negli anni in tutta la penisola, a Torino (1840) come a Napoli (1845), e fu ripresa in quel convegno di Parma che nel 1907, a Italia ormai unificata, generò il progetto di un centro nazionale della scienza in Italia proposto da Vito Volterra e poi attuato nel 1923 con la nascita del CNR. L’ombra e l’immagine di Galileo Galilei, creatore del pensiero scientifico contemporaneo, ha accompagnato questa unificazione tutta speciale, spingendola sino a far pensare che la comunità scientifica non abbia confini e, come forza dell’umanità, possa riunire tutte le intelligenze del mondo.
Lo stato delle scienze in Italia
È indubbio che la scienza abbia fatto passi enormi nella conoscenza della realtà; ma dobbiamo chiederci se la comunità nazionale italiana, cui non sono mancati gli ingegni e i successi in anni anche più difficili degli attuali, continui con la dovuta energia a fare lo sforzo che quegli sviluppi richiedono.
E qui, qualche dubbio è più che lecito. Le scienze a scuola, lì dove si formano le giovani menti, sono assai emarginate e pedagogicamente appesantite. Le vicende storiche della scienza sono sostanzialmente assenti dall’insegnamento, sia della stessa scienza che ancor più della storia, proprio in quella fase di formazione dei giovani in cui ne sarebbe più importante la valorizzazione culturale. I giovani non vengono avviati a condividere nello studio della scienza quell’entusiasmo che pure molti di noi hanno provato in passato nel piacere di risolvere razionalmente i problemi della realtà.
La ricerca scientifica infine, anziché essere considerata il più auspicabile degli investimenti, è ritenuta solo una spesa, sia nel settore pubblico che in quello privato. Lo spazio dedicato alla scienza nell’informazione mediatica è minimo e di scarsa incisività. L’opinione pubblica è distratta da cronache di qualità culturale troppo spesso deplorevole, che alimentano nei singoli individui un illusorio desiderio di apparire più che di essere.
E c’è chi accusa la comunità scientifica di «scientismo», di «freddezza», di «astrusità», persino di essere portatrice di pericoli; quando non si avanza addirittura il sospetto che si voglia far progredire la scienza non per il bene dell’umanità, ma al solo scopo di difendere posizioni volgarmente accademiche.
Non sprecare gli ingegni
Vogliamo, compatti e in nome di una comunità senza confini e differenze, che questo stato di cose finisca e che il Paese rivolga la sua attenzione agli ingegni che stanno cercando una collocazione che sentono come a loro dovuta. Per questo, sottoscriviamo questa celebrazione trasformandola in appello, sperando che chi ne ha il potere l’accolga e la faccia sua. Primo fra tutti il Presidente della Repubblica. Da noi, riuniti in un così coinvolgente ricordo, l’impegno a fare tutto ciò che potremo per uscire dall’assuefazione e dalla rassegnazione.