Non capisco come possa un uomo, un gruppo di uomini, non so se consapevolmente o per errore, decidere o causare di dare fuoco, morte, alla nostra isola, alla sua vegetazione, alle sue piante, alle sue case, alla sua bellezza.
Non intendo ora però mettermi in ascolto di letture e diagnosi socio-economiche che mi spieghino le ragioni ingiuste plausibili di un tale atto scellerato e violento. Piuttosto preferisco ascoltare il grido silenzioso e ferito che proviene dalla mia terra ferita, dal mio vulcano disorientato e spento seppur vivo e fecondo, dal mio mare bloccato ed impotente, dagli ulivi che pensavano di doversi proteggere solo dal vento, dalle viti che conoscevano solo il rischio delle pioggia fuori stagione, dai capperi abituati a radicarsi e mettete radici fra le fessure delle rocce, dagli scogli inermi ed impotenti che non possono bruciare ma non possono proteggere, dagli arbusti di erbe che sprigionano profumi intensi che riempiono l’aria ma non tolgono il respiro.
La mia terra, ferita gravemente, con un mormorio di voce, ieri notte mi pare mi abbia chiesto: «Cosa hai visto stanotte intorno al perimetro di fuoco?». Accanto e carico del suo dolore di isola abusata e violentata le ho risposto: «Ho visto una luce forte di fuoco che non permette di vedere nel buio della notte, ho visto una luce che non rischiara e non cede il passo all’alba, ho visto una prepotente forza che ferisce la mitezza lunare, ho seguito un perimetro che non offre orizzonti né panorami, ho visto le tenebre travestirsi in menzogne di luce, ho visto animali fuggire per salvarsi, ho visto allo stesso modo persone lasciare tutto e scappare fra i campi per mettersi in salvo, ho visto sentieri dei terreni diventare strade di soccorso.
Ho visto sguardi impauriti e feriti. Ho visto altri uomini correre dal mare e dai sentieri per dare soccorso, ho visto uomini e donne rivestirsi di acqua per spegnere il fuoco e difendere la vita. Ho visto la lotta con l’ingiustizia, la rabbia per la violenza, il silenzio dell’impotenza, la speranza legata al vento e alla pioggia. Ho sentito che tra l’isola e me esiste un legame che è vita. Quando il fuoco ha tolto il respiro alle persone e la vita alle piante ho ricordato che siamo legati molto più di quello che alcune volte ricordiamo. Ho sentito la fatica di un respiro ferito».
Può essere ferito il respiro? È successo stanotte a Pantelleria. Allora anch’io, con tutta la mia isola, ho visto diventare il mio respiro singhiozzo e pianto. Il pianto domanda l’acqua che spenga il fuoco che dà morte. Il pianto è stata la mia preghiera e il mio legame di respiro con Pantelleria.
Don Vito Impellizzeri, presbitero della diocesi di Mazara del Vallo, è direttore dell’ISSR di Palermo e docente della Facoltà Teologica della stessa città. È originario di Pantelleria.