18 anni!
Mi immagino che molti ragazzi e ragazze nati nel 2000 si preparino alla festa del loro diciottesimo compleanno durante questo 2018. I nati del 1999 hanno appena finito i loro festeggiamenti.
Auguro che per tutti sia una festa: la festa di essere vivi, la festa di essere giovani, la festa della responsabilità. Anche se non per tutti la vita è stata facile in questi 18 anni, anche se molti hanno già attraversato dure prove per motivi di salute, per relazioni tempestose con i genitori o nelle esperienze affettive, per problemi economici o di inserimento negli ambienti della scuola o dei coetanei, tuttavia la grazia della vita rimane un dono inestimabile. La festa per i 18 anni è quindi anzitutto occasione di gratitudine.
La festa forse meno pensata e apprezzata è quella della responsabilità: della responsabilità, infatti, si tende a mettere in evidenza il peso, il rischio, i fastidi. Per questo si preferisce «scaricare le responsabilità»: pretendere libertà, aspettarsi i servizi che gli altri sono chiamati a rendere, ma evitare di assumersi le responsabilità e di esercitarle.
Però festeggiare così i 18 anni è come restare bambini: certo si è diventati grandi, ma in realtà si è rimasti nella condizione di essere accuditi, assistiti, accontentati. Allora la festa non è più davvero tale, ma è un divertimento che assorda, intontisce, stanca.
Diventare adulti e cominciare ad esercitare le responsabilità è invece motivo di festa perché dà la fierezza di essere utili, di contribuire al bene degli altri, di mettere mano all’impresa di rendere migliore il mondo. A 18 anni si può prendere la patente e incominciare a guidare: la libertà si allarga alla possibilità di viaggiare, di visitare persone e Paesi, di dare un passaggio agli amici e ai nonni. È una grande responsabilità che richiede attenzione, vigilanza, sobrietà, prudenza. Quanto bene può fare chi guida bene! Ma anche quanto male a sé e agli altri, se lo fa con imprudenza e incompetenza!
A 18 anni si diventa pienamente responsabili dei propri atti a livello civile e penale: la libertà si confronta con la legge come garanzia del bene comune, del rispetto dei diritti di tutti. È il segno che l’appartenenza alla comunità non è solo il diritto di ricevere prestazioni, ma anche il dovere di rispettare le regole e di partecipare con le proprie risorse e con il proprio comportamento alla convivenza dei cittadini.
Vorrei però mettere l’accento su tre aspetti della «maggiore età» che meritano di essere particolarmente raccomandati ai 18enni e a tutti i maggiorenni.
A 18 anni si sperimenta, io credo, una specie di contraddizione tra il fatto di «avere tutti i diritti e doveri» di un adulto, e l’impressione di «non poter fare niente». Un 18enne nel nostro Paese è considerato «troppo giovane», e le possibilità effettive di avere un vita propria, un’abitazione propria, un’attività propria, un’autonomia reale sono molto ridotte: per lo più il giovane dipende ancora in tutto dalla sua famiglia.
Mi sembra opportuno reagire a questa percezione di impotenza e mi piacerebbe seminare nei 18enni la persuasione di essere presenza attiva, significativa, preziosa per la società e la Chiesa di oggi. Per questo è necessario scuotersi dalla comoda condizione del dipendere che induce ad aspettarsi tutto dagli altri: occorre piuttosto introdursi nella fierezza e nella bellezza del partecipare. Sei parte della società e la tua partecipazione ne decide la qualità; sei parte della comunità cristiana e la tua partecipazione ne determina il valore. Se tu manchi viene a mancare un patrimonio, e se tu non partecipi ti riduci ad essere un peso solitario.
Per esprimere questa partecipazione attiva e costruttiva mi permetto di ribadire un criterio che sembra quantitativo ma che in realtà è «spirituale»: si tratta della legge delle decime. È una legge che non impone una tassa, ma suggerisce di vivere l’appartenenza alla società e alla comunità con un contributo significativo. La legge delle decime consiglia di considerare quello di cui ciascuno dispone realmente come se avesse una «destinazione comune»: cioè il tempo che ho non è solo per me, ma per la condivisione: Perciò, tanto per fare un esempio: ogni dieci ore dedicate allo studio, un’ora potrebbe essere dedicata a chi fa fatica a studiare; ogni dieci ore dedicate allo sport, un’ora potrebbe essere dedicata a chi non può fare sport. Lo stesso vale per i soldi, i libri, la musica eccetera.
A 18 anni si acquisisce il diritto-dovere di votare per esprimere le proprie scelte in campo politico e amministrativo. Scegliere le persone e le forze politiche che devono governare la nazione ed esercitare responsabilità amministrative in regione o in città è un’espressione di quella responsabilità per il bene comune che rende cittadini a pieno titolo. Nel nostro tempo «la politica» è spesso circondata da una valutazione così negativa e da pregiudizi così radicati che si può essere scoraggiati dall’intraprendere ogni impegno e ogni iniziativa in questo campo.
Ma ora è necessario che le cose cambino, perché la politica è l’esercizio della responsabilità per il bene comune e per il futuro del Paese; e chi può avviare un cambiamento se non uomini e donne che si fanno avanti e hanno dentro la voglia di mettere mano all’impresa di aggiustare il mondo?
Mi torna in mente il discorso di Pericle agli ateniesi in un momento drammatico della guerra del Peloponneso: «Amiamo il bello, ma con semplicità, e ci dedichiamo al sapere, ma senza debolezza; adoperiamo la ricchezza più per la possibilità di agire che essa offre, che per sciocco vanto di discorsi, e la povertà non è vergognosa ad ammettersi per nessuno, mentre lo è assai più il non darsi da fare per liberarsene. Riuniamo in noi la cura degli affari pubblici insieme a quella degli affari privati, e se anche ci dedichiamo ad altre attività, pure non manca in noi la conoscenza degli interessi pubblici. Siamo i soli, infatti, a considerare non già ozioso, ma inutile chi non se ne interessa».[1]
Per questo rivolgo un appello ai 18enni e a tutti i giovani: io credo che voi potete informarvi, potete pensare, potete discutere, potete farvi un’idea di quale direzione prendere e di cosa fare del vostro voto, il vostro primo voto! Un segnale di un’epoca nuova. Non cambierà tutto in una tornata elettorale; ma certo con l’astensionismo non si cambia niente!
Voi potete pretendere che vi siano chiariti i programmi, le intenzioni dei candidati che si presentano, le procedure di verifica di cui i cittadini dispongono; voi potete mettervi insieme per far valere le priorità che vi stanno a cuore e per individuare le persone e le forze politiche che se ne fanno carico. Forse qualcuno di voi può anche farsi avanti per rappresentare gli altri nelle liste per le elezioni amministrative e diventare voce che tiene vive le istanze dei giovani là dove si affrontano le questioni rilevanti per la città.
Io ho fiducia che questa vostra generazione può reagire all’inerzia, allo scoraggiamento e all’individualismo, e dare un segnale a tutti gli adulti e alla classe politica e amministrativa di un rinascere del desiderio di partecipare, di contribuire al bene comune, di cercare vie per dare forma al «buon vicinato» che rende desiderabile vivere gli uni accanto agli altri e appartenere alla comunità.
I 18 anni sono il tempo opportuno per guardare al futuro personale. L’avvicinarsi della conclusione di un ciclo scolastico pone la questione sul dopo: che cosa farò finite le superiori? La domanda sul futuro rischia di essere affrontata come la scelta di un prodotto al supermercato: tra le tante offerte, quale sarà la più conveniente?
Invito invece a riconoscere che nessuno deve sentirsi solo quando si trova di fronte alle decisioni fondamentali. Riconoscere che la vita è dono di Dio e che Dio desidera la nostra gioia induce a sentirlo alleato e a dialogare con lui perché la vita si riveli nella sua verità, come vocazione alla gioia e come responsabilità di far fruttare i talenti ricevuti.
Compiere 18 anni deve quindi essere l’occasione per liberarsi da un’immagine infantile di Dio, della preghiera, della vita, per leggere nel Vangelo la rivelazione della verità di Dio e della sua volontà, e per prendere la Parola di Dio come «lampada per i passi» da compiere.
In questo cammino nessuno deve sentirsi solo, né pensare che si è tanto più liberi quanto più si è soli: perciò il gruppo degli amici, l’inserimento in un contesto comunitario, la testimonianza degli adulti, il riferimento personale a una guida saggia (un prete, una suora, un uomo o una donna di Dio) sono l’accompagnamento necessario per guardare al futuro con fiducia, per imparare ad avere stima di sé e per scrivere la propria vita adulta e la preparazione alle scelte definitive con fantasia e realismo, con libertà e responsabilità.
Vorrei che per tutti il compimento dei 18 anni fosse una festa: nessuno si lasci convincere da quelli che dicono che non c’è niente da festeggiare! La festa che propongo, la festa alla quale invito è quella che celebra la bellezza della vita e che si assume la responsabilità di rendere bella questa stessa vita, per sé e per gli altri.
La politica e la vocazione sono le sfide più audaci e le occasioni più preziose: buon compleanno, 18enni!
Milano, settimana dell’educazione, gennaio 2018.
Mario Delpini,
arcivescovo
[1] Cf. Tucidide, La guerra del Peloponneso, Rizzoli, Milano 1985, vol. I, libro II, pp. 325-333.
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