Prepotenti con le vittime e arrendevoli con i prepotenti?

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Come si è giustamente osservato, ora dalla Commissione vaticana che si occupa degli abusi sui minori si sono dimessi entrambi quei membri che avevano una caratteristica saliente: erano stati vittime di ciò che la Commissione vuole combattere. Da ciò non dedurrei mai che non si vogliano ascoltare le vittime. No. Il problema è piuttosto che il linguaggio curiale non riesce ad ascoltarle e non è capace di comprenderle. Una prova piuttosto considerevole di questa difficoltà ci è offerta da una risposta che il prefetto card. Müller ha dato ieri al Corriere della sera, alle domande di Gian Guido Vecchi. Ecco il testo:

Collins ha citato due episodi: un «cambiamento di procedura» nella cura delle vittime e una «richiesta di collaborazione», entrambi «rifiutati» dall’ex Sant’Uffizio. Le risulta?
«Non so di questi presunti episodi. La Commissione ha solo inoltrato una richiesta formale chiedendoci di scrivere lettere alle vittime per mostrare la vicinanza della Chiesa alla loro sofferenza. Ma quest’atto della cura pastorale è un compito dei vescovi nelle loro Chiese particolari e dei superiori generali degli istituti religiosi, che sono più vicini. Se c’e una decisione del papa o la consegna di un compito specifico, non ci sono resistenze. La Congregazione ha il compito di fare un processo canonico. Il contatto personale con le vittime è bene sia svolto dai pastori del luogo. E quando arriva una lettera, chiediamo sempre al vescovo che sia lui ad avere cura pastorale della vittima, chiarendole che la Congregazione farà tutto il possibile per fare giustizia. È un malinteso che questo dicastero, a Roma, possa occuparsi di tutte le diocesi e ordini religiosi nel mondo. Non si rispetterebbe il principio legittimo dell’autonomia delle diocesi e della sussidiarietà».

Ciò che appare con molta chiarezza è che da questa parole emerge una sorta di “sordità” alle ragioni delle vittime, le quali sono interessate non semplicemente alla “istruzione corretta di un fascicolo”, ma anzitutto alla considerazione e al riconoscimento della loro condizione di vittime. In particolare mi pare che si possano osservare queste tre cose importanti:

a) la richiesta di “comunicazione diretta” tra Congregazione e vittime non è anzitutto la domanda di “violazione di una competenza locale”, ma la possibilità di istituire un contatto adeguato a comunicare la violenza, con un soggetto “terzo”. Non c’è bisogno di molte spiegazioni per capire che se in una diocesi avvengono casi delicati come questi, lasciare alla diocesi stessa ogni competenza di rapporto con la vittima renda molto difficile la posizione anzitutto della vittima stessa. La “sponda romana” non è qui “violazione di autonomia della diocesi”, ma possibilità per la vittima di comunicare con maggiore serenità la violazione del corpo. Occorre assumere un’ottica non solo istituzionale, ma personale, che nelle parole del prefetto è purtroppo assente.

b) altrettanto fragile mi pare l’obiezione generale, sul fatto che la Congregazione non possa occuparsi di tutte le diocesi. Si pensi soltanto all’esempio della liturgia. In caso di questioni che riguardano “l’uso del rito antico”, la Congregazione, attraverso la Commissione “Ecclesia Dei”, scavalca ogni competenza episcopale. Come è possibile che questo sia ritenuto una problematica “più urgente” rispetto ai casi di violenza su minori? Perché mai si dovrebbe dare diretta risposta centrale alla domanda di un avvocato di Boston che desideri la messa in vetus ordo sottocasa, e negarla invece alla ragazza di Brasilia di cui un ministro ordinato abbia abusato?

c) infine, ma bisognerebbe dire anzitutto, la risposta mette in dubbio la stessa esistenza delle difficoltà che hanno portato Marie Collins alle dimissioni. Il prefetto infatti come prima cosa dice: «Non so di questi presunti episodi». Il corpo violato di una vittima dovrebbe essere anzitutto considerato attendibile. Il sospetto sulle parole della Collins rischia di avvalorare unidea – semplicistica e distorta – circa una indifferenza più complessiva della Chiesa verso le vittime. Le parole del Card. Müller, che hanno la giusta intenzione di escludere un cliché, sono formulate in uno stile tale e con tali priorità che rischiano solo di confermare ciò che vorrebbero escludere. Una Chiesa che voglia imparare a considerare il punto di vista delle vittime ha bisogno urgente non solo di altre procedure, ma di un altro stile con cui rispondere alle domande. E siamo tutti, proprio tutti, impegnati a imparare questo stile rispettoso e non burocratico, pieno di umanità e di compassione.

Pubblicato il 6 marzo 2017 nel blog: Come se non.

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