La chiusura di fatto della rotta mediterranea sposta l’onda di profughi e migranti che cercano di raggiungere l’Europa su quella spagnola, da un lato, e su quella dei balcani, dall’altro. La rotta balcanica presenta nuove emergenze di carattere umanitario e di civiltà per il nostro continente, che non possono essere demandate unicamente agli interventi delle associazioni caritative e sociali. Vi è un dovere civile e politico a cui l’Europa non può ulteriormente sottrarsi. SettimanaNews aveva già informato sulla situazione precaria della rotta balcanica nel tratto che attraversa la Bosnia ed Erzegovina; ora ci sembra importante tornare sull’argomento con questo contributo di Daniele Bombardi (Caritas Italiana) e Silvia Maraone (IPSIA, ONG Acli), che ringraziamo per la loro collaborazione.
La situazione generale relativamente alla Balkan route vede anche per il 2019 un costante afflusso di persone dal sud (Grecia) che arriva in Bosnia sia attraverso la Macedonia e la Serbia, che attraverso l’Albania e il Montenegro. In particolare la chiusura della rotta centrale del Mediterraneo (così come già accaduto nel 2018) vede aumentare la pressione lungo le rotte orientali e occidentali (Balcani e Spagna).
Come previsto con l’arrivo della bella stagione il flusso di persone che entra illegalmente in Bosnia è aumentato (7.127 persone si sono registrate come richiedenti asilo all’ingresso in Bosnia, alla data del 15 Maggio 2019 – dati IOM) rendendo ancora più complicata la gestione dei migranti che soprattutto si dirigono verso la Bosnia occidentale, verso le cittadine di Bihać e Velika Kladuša, al confine con la Croazia.
La popolazione locale e i politici della regione nel corso dell’inverno e dei primi mesi del 2019 hanno osteggiato sempre di più la presenza delle oltre 5.000 persone che vivono o all’interno dei 4 campi che sono stati allestiti da IOM per l’accoglienza dei migranti. Il cantone di Una Sana ha messo in essere misure di sicurezza straordinarie (controlli sui bus e sui treni che vengono da Sarajevo e dalle regioni della Bosnia orientale, da dove fanno scendere i migranti, seppure in possesso del foglio di richiedenti asilo che ottengono dalla Polizia quando vanno a registrarsi).
Questa misura non è però una soluzione, ma un ulteriore aumento delle pratiche illegali messe in essere dai trafficanti che per soldi trasportano le persone in auto verso Bihać e un ulteriore aggravamento delle condizioni di vita in cui i migranti sono costretti a vivere. Chi non ha soldi per pagare il trasporto privato, deve andare a piedi nei boschi e nelle strade secondarie, con il rischio di essere catturato dalla polizia e rimandato indietro verso Sarajevo.
Nel frattempo i campi sono ben oltre il massimo della loro capacità e devono ridurre il numero delle persone, per non superare la capienza massima degli stessi, concordata da IOM con il governo cantonale. Il risultato di questa operazione è che molte persone nei mesi di maggio e giugno sono state costrette a dormire fuori dai campi profughi ufficiali, dando nuovamente vita agli accampamenti informali.
Nel giugno la polizia cantonale e municipale, su indicazione del comune di Bihać e del governo del cantone di Una Sana, ha deciso di “ripulire” le strade e ha dato vita a vaste operazioni di ricerca e deportazione dei migranti che vivevano o negli squat, o nei campi informali o in appartamenti privati (in alcune case sono state trovate più di cento persone che vivevano in condizioni di totale degrado pagando profumatamente chi si è approfittato di questa situazione per mesi).
Per fare questo il comune ha allestito fuori dal centro abitato, in uno spiazzo in mezzo a un bosco, un punto di raccolta per le persone in eccesso, che non sono benvenute in città. Questo luogo si chiama Vučijak dal nome della località ed è una tendopoli senza acqua corrente, docce, gabinetti, cucine, elettricità in cui sono controllate a vista circa 500 persone (single men ma anche minori non accompagnati) che non possono ufficialmente lasciare questo luogo (cosa che avviene comunque di notte, eludendo i controlli).
In questo spazio la croce rossa di Bihać che già fornisce i pasti a circa 2000 persone nei campi, si sta occupando di portare del cibo due volte al giorno. Una volta un pasto caldo e una volta pane e formaggio o scatolette. IOM Bosnia e le Nazioni Unite, così come altre realtà autorevoli hanno redarguito le autorità locali sul fatto che questo luogo non rispetta i criteri minimi per l’accoglienza e invitando il governo locale a prendere delle contromisure per garantire la dignità e il rispetto degli esseri umani costretti a vivere in questo campo.
Contestualmente, le frontiere dell’UE di Slovenia e Croazia vanno sempre più chiudendosi con maggiori controlli, respingimenti e push-back (nella maggior parte dei casi violenti, con comprovati casi di violazione dei diritti umani dei richiedenti asilo) e con l’intensificarsi delle missioni che FRONTEX ha in corso sui confini balcanici.
L’assenza del governo in Bosnia (ancora in fase di definizione dopo le elezioni di ottobre 2018), l’aumento delle tensioni tra la popolazione sul tema migranti, il flusso di arrivi e partenze in aumento, le violenze che le persone subiscono sia sui confini che nei campi stessi in Bosnia, non fanno che creare un clima negativo nel quale è difficile operare, ma che a maggior ragione vede necessario l’intervento di organizzazioni qualificate in grado di mostrare non solo competenze tecniche, ma soprattutto umanità e rispetto nei confronti di persone umiliate e deprivate di tutto.