Il 24 febbraio 2022, il presidente russo Putin ordinava − non provocato − l’aggressione militare dell’Ucraina, invadendo con il suo esercito il territorio di un paese sovrano. Due anni dopo, Severino Dianich riflette su questa tragica guerra ancora aperta nel cuore dell’Europa.
L’8 marzo del 2022, tredici giorni dopo che la Russia aveva invaso l’Ucraina, dopo averne già occupata la Crimea, un cittadino qualsiasi, non un esperto di strategie militari, non uno storico delle relazioni Russia-Ucraina, non un competente in geopolitica, ma un semplice osservatore dei fatti accaduti negli ultimi otto decenni, che ama conservarne la memoria e rifletterci, postava in rete una sua considerazione (Il Sismografo 8 marzo 2022).
«Chi potrebbe negare – scriveva – a un popolo aggredito il diritto di difendersi anche con le armi? Eppure non posso evitare di domandarmi: quando? sempre? a quali costi? con quali previsioni?». Diceva, quindi, di essere andato a leggersi il Catechismo della Chiesa cattolica e di aver rilevato che, per la dottrina cattolica, neppure la guerra di difesa poteva essere ritenuta giusta a qualsiasi condizione. Fra queste, se ne poneva una che, a dire il vero, è nient’altro che puro buon senso, cioè «che ci siano fondate condizioni di successo» (n. 2309).
Egli quindi si domandava:
«L’Ucraina aggredita ha davvero davanti a sé “fondate condizioni di successo”?… Al di là delle propagandistiche proclamazioni della propria futura vittoria da ambedue le parti, è ben difficile pensare che l’esercito ucraino possa prevalere sull’enorme potenza militare della Russia. Stati Uniti e Comunità Europea stanno fornendo di armi l’Ucraina, contribuendo a prolungare il conflitto e aumentare il numero dei morti, da ambedue le parti, ma con non pochi dubbi sull’esito della guerra».
Sarà ancora lunga
Ora, a due anni dall’inizio della guerra, si comincia a temere che l’incompetente cittadino qualsiasi possa aver avuto ragione sulla politica dei governanti e l’arte degli strateghi di tutti e due i fronti, convinti (o forse solo impegnati a convincere) che avrebbero vinto la loro guerra in un tempo ragionevolmente breve.
Si vadano a risentire le loro dichiarazioni rese ai media e i discorsi pubblici di quei primi mesi. Mi si risvegliano brutti ricordi di quando il Duce ci faceva cantare «Vincere, vincere, vincere, e vinceremo in cielo, in terra, in mare!», mentre l’Italia stava andando allo sfacelo.
Ci si continua a dire, senza pudore, perché abbiamo ad armarci di una fiducia incrollabile di una vittoria, sempre più lontana, che la guerra sarà ancora lunga. Quanto? Un anno? Due anni? Tre anni? E quanti ragazzi ucraini dovranno ancora lasciare il lavoro, gli studi, la fidanzata, la famiglia per andare al fronte, abbandonando tutti gli altri loro sogni, pronti ad immolarsi per la patria?
Domandare dei ragazzi russi non si può, perché significa essere pro Putin. Per ora, la conclamata controffensiva ucraina è fallita. La guerra si svolge in una logorante e drammatica alternativa: ora ha la meglio una parte ora l’altra.
A tempi lunghi, sta accadendo quello che, osservando come stanno andando tutte le guerre di questi ultimi decenni, era facile prevedere: una guerra di stallo di cui non si vede la fine. Quel che bisogna indovinare, ma che viene accuratamente nascosto da ambedue le parti, è proprio il dato che dovrebbe essere decisivo, sia per chi decide il da fare, sia per l’opinione pubblica che vorrebbe potersi fare un giudizio corretto, è il prezzo che si sta pagando, il numero dei morti.
Vatican News, in un lungo, ben articolato e documentato articolo sulla situazione di Guglielmo Gallone, dà come seriamente credibile un totale di soldati, fra ucraini e russi, morti o feriti di circa 500.000 morti. Già che si dica «circa» e non si abbia il numero esatto delle vittime, come se uno più uno meno non cambiasse nulla, è di una vergognosa immoralità. Le vittime militari russe sarebbero quasi 300.000 (120.000 morti e 170.000 feriti), mentre quelle ucraine si aggirano intorno ai 70.000 morti e ai 120.000 feriti.
Il martirio di un popolo
Quel che impressiona maggiormente, però, è la sproporzione fra il bacino di risorse umane utilizzabile dalle due parti, cioè il numero delle vittime da sacrificare sull’altare della patria di cui i due governi possono disporre nel continuare la guerra: Kiev conta circa 500.000 soldati, tra truppe in servizio attivo, di riserva e paramilitari, Mosca ne vanta 1.330.000.
Che l’Ucraina possa continuare a oltranza la sua guerra di difesa, per più che legittima essa sia, di fronte all’esecrabile invasione della Russia, sembra impossibile.
Così l’affollarsi delle domande conduce inesorabilmente al loro annodarsi intorno alla questione fondamentale, che sorge là dove nella guerra si giocano i valori fondamentali della coscienza dell’uomo: ha un senso plausibile condurre un popolo a immolarsi per la pura proclamazione dei valori della libertà e della democrazia?
Il cristianesimo conosce ed esalta il martirio: dare la vita per l’adorazione di Dio. Vera e propria immolazione, pura dossologia, priva di effetti concreti a salvaguardia della fede. Ma davanti a Dio, il creatore e il custode supremo della dignità dell’uomo. Il martirio, inoltre, è una scelta della persona che si compie nel profondo della propria coscienza. È un’esperienza della persona, non dei popoli.
Il martirio per la Patria è stato costruito sulla sacralizzazione della nazione e dei suoi valori e solo nell’esasperazione di questi valori provocata dai nazionalismi esasperati che abbiamo ben conosciuto si sono consacrati altari alla Patria sui quali si sono condotte all’immolazione fosse di martiri.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica non interessa in niente a Putin e Kirill, ma neppure all’Ebreo Zelennsky, e allo multiforme coscienza religiosa e politica degli Ucraini. In Verità non interessa neppure alle moglie e vedove che incontro nella comunità Ucraina cattolica di rito bizantino, della parrocchia del Sacro Cuore. Pregano per la pace e la libertà della loro patria, ma nessuno vuole più vivere schiavo di Mosca, piuttosto il sacrificio estremo. L’autoderminazione dei popoli si conquista col sangue, non con le chiacchiere o i mal di pancia di gente sazia.
Io però concentrerei l’attenzione su ciò che ci interpella in prima persona, teologi e cristiani. Allora la mia prima domanda è perché le massime autorità religiose non sono capaci di incontrarsi e dare vita a una CONFERENZA PERMANENTE PER LA PACE PERPETUA, usando l’espressione cara a Kant. Perché le massime autorità religiose cristiane in Europa non sono ancora capaci di unione fraterna per denunciare profeticamente la morte dell’ecumenismo se prevale il crimine distruttivo di Kirill? Perchè i teologi tutti non riesciamo ad essere una voce forte e profetica come il solitario Kung? Non ci sarà pace nel mondo se prima non ci sarà la pace tra le religioni. Preghiamo pure perché Putin e Zelemsky ci convertano alla pace e si incontrino, ho qualche legittimo dubbio che avvenga! Ma io prego soprattutto ogni volta che celebro che tutti coloro che si pongono nella continuità apostolica non tradiscano l’unico loro e nostro maestro che non temeva di denunciare l’ipocrisia dei poteri politici e religiosi, sino alla croce. Ho qualche legittimo dubbio anche qui, poiché le demenziali divisioni dell’antica Corinto si sono sviluppate in maniera esponenziale. Quante cose vecchie dovranno ancora perire prima che nascano cose nuove? Giovanni Lupino Centro studi per L’Ecumenismo Bof-Delfino, Savona
E’ da quando è scoppiato il conflitto tra la Russia e l’Ucraina che mi son chiesto come capire e interpretare il capitolo 6 della prima lettera ai Corinzi di San Paolo. Se qualcuno può darmi un aiuto in riferimento a tale guerra?
Morti, sofferenza, probabilità di successo degli ucraini sono dati, immagini, pensieri che affliggono anche me. Che ci sono stato ed ho incontrato civili, militari, profughi interni, famigliari delle vittime, autorità. E anche a me, da sempre e non solo per questo conflitto, viene da chiedere che senso ha tutto questo… ma non ho trovato una risposta. O meglio… ho scartato quelle che mi venivano dai pensieri fatti al sicuro sotto il mio tetto, sotto il nostro cielo, dove non cadono missili o bombe. Ed è così che mi vengono da scartare le generalizzazioni e da scartare anche l’indicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica: a volte, come in questo caso, assolutamente inadeguato, anacronistico o “dottrinario” ovvero formulato sulla base di riflessioni, per quanto profonde, de-contestualizzate che non entrano nella vita incarnata delle persone. Cosa significa che ci siano “fondate condizioni di successo”? E’ una valutazione da strateghi? O da uomini di fede? E’ una valutazione astratta? O condivisa con chi in un dato momento vive questo dramma? Pur nella consapevolezza della tragicità di quello che sta succedendo resta profondo, nella concretezza della vita, il vuoto da colmare tra l’inutilità (e la disumanità) delle armi come soluzione e il perseguimento (prospettiva ben più ampia della mera “proclamazione”) di sacrosanti valori. Sommessamente ricordo a chiunque voglia davvero cimentarsi per una soluzione l’unico modo che il Vangelo eleva a “metodo”: compromettersi, mettere a disposizione sé stessi, entrare nella vita dell’altro, condividerne la sorte e assumere su di sé la responsabilità di costruire insieme un destino comune. Senza questa pre-condizione tutto ciò che pensiamo o facciamo, nella migliore delle ipotesi, è pura consolazione per la nostra coscienza.
Sorprende che un valente teologo e un esperto ecclesiologo si cimenti in ambito geopolitico con valutazioni tanto discutibili. La resistenza eroica della “martoriata” Ucraina non non concerne “la pura proclamazione (sic) dei valori della libertà e della democrazia”, bensì la difesa del diritto di un popolo di VIVERE concretamente in un regime che tuteli quei valori. Circa poi l’indicazione del Catechismo che la “guerra di difesa” sia giusta se ci siano “fondate condizioni di successo”, va detto che esse c’erano e ci sono, perchè la piccola Ucraina non è sola davanti al gigante russo, ed il “successo” si è già avverato con l’incapacità di Putin di inglobare l’intera Ucraina. Se infine dovesse valere il principio che il debole, per evitare sofferenze, deve “rassegnarsi” a cedere al più forte, il futuro del mondo sarebbe assai triste.
Tutto giusto e condivisibile, a parte che l’Ucraina non era e non è una piena democrazia; le minoranze mi pare non abbiano avuto vita facile né prima, né dopo gli eventi di piazza Maidan. Inutile continuare a sostenere che l’Ucraina fosse un faro di libertà, perché si mente; era ed è un paese profondamente corrotto, oligarchico, dilaniato da un conflitto etnico. Il fatto che paesi piccoli debbano potersi autodeterminare è completamente condivisibile, ma deve valere per tutti e deve esserci un file rouge di coerenza mosso da onestà intellettuale, non dalla convenienza geopolitica del momento.
Ucraina non era e non è ancora una democrazia, lo possiamo dire, ma proprio per quello combatte: è stata opressa negli ultimi secoli e per quasi tutto il ‘900 dalla russia che non l’ha mai lasciata in pace, la corruzione, le persecuzioni e le deportazioni della popolazione etnica è la causa della situazione di oggi e a partire dalle rivolte di Maidan del 2014 che si vuole liberare da questa zavorra del passato. Gli USA e Nato non c’entrano, se quello si voleva insinuare, se mai si vuole appoggiare a loro per liberarsi dalla russia una volta per tutte.
Non condivido il suo punto di vista. Il popolo russo ha origine in Ucraina, è un fatto noto. I due popoli sono legati a stretto filo e dovrebbero coesistere. L’ex URSS ha sostanzialmente “costruito” ciò che persiste di infrastrutturale in Ucraina, tanto che ancora oggi, a distanza di 35 anni dalla dissoluzione mi pare che strade, ponti, dighe, centrali nucleari, etc… siano ancora quelli di matrice sovietica e l’Ucraina non sia sostanzialmente avanzata di un passo né sotto questi profili, né sotto quelli politici e sociali. Le rivolte di piazza Maidan sono state sostenute dall’Occidente, che strenuamente impedisce che ci siano accordi di pace tra i due popoli e lo fa perché ne ha una convenienza. Per quanto riguarda l’appoggiarsi ad USA, UE e NATO per liberarsi della Russia, lo comprendiamo, ma val ricordare che l’Ucraina non fa parte di nessuno di questi gruppi politico-economico-militare, tanto per cui non si capisce perché i nostri paesi debbano intervenire economicamente o militarmente, non rispetando le costituzioni od un quadro di accordi internazionali. E’ bene anche ricordare che per cercare la liberazione dalla Russia l’eroe nazionale Stepan Bandera non esitò a parteggiare con la Germania di Hitler; seppure si possono capire alcune cose, altre meno. Ovvero qual’è l’idea di indipendenza e libertà del paese? Si è disposti ad apparentarsi con chiunque, anche con chi avesse un approccio politico nazista? Io resto molto perplesso e vorrei che il mio paese non fosse coinvolto, se non nella ricerca della mediazione e della pace.
Ma io non ci vorrei vivere sotto il regime di Putin. Può essere non lo so possa sconfiggere ma rendergli la vita difficile è assolutamente opportuno.