Di questi tempi parlare di conclave significa qualcosa di più che evocare un rito antico pieno di mistero e suggestione, qualunque fosse l’idea di partenza del regista austriaco Edward Berger nel trasporre in versione cinematografica il romanzo di Robert Harris (2016). Si cominciano infatti a pubblicare i primi bilanci del pontificato di papa Bergoglio, si ipotizzano situazioni di conclave ad ogni concistoro e si delinea il profilo ideale del prossimo pontefice, soprattutto da parte di chi non gradisce quello attuale. In effetti, nella trama del film si può leggere più di un’analogia con la situazione attuale della chiesa, a partire dalla situazione di «crisi» che narratologicamente muove la drammaturgia: un pontificato per molti aspetti «innovativo» si conclude lasciando scontenta la parte tradizionalista dell’alto clero e lasciando aperta una successione problematica.
Trame e fronde
Nella realtà, di trame e fronde interne al collegio cardinalizio sappiamo quel tanto che basta per non giudicare troppo caricaturali alcuni personaggi del film: non è così improbabile la figura del cardinal Tedesco (l’ottimo Sergio Castellitto), candidato di punta dell’ala tradizionalista, che vuole assolutamente un papa italiano, propugna la ripresa del latino ecclesiastico, chiede una chiesa più combattiva nei confronti delle altre fedi, giudica pericoloso relativismo l’atteggiamento dialogico ed è decisamente islamofobo.
Un po’ più spinta, ma non del tutto inverosimile, la figura del cardinal Tremblay (John Lithgow), che si scopre aver stretto accordi in pre-conclave per avere i voti di alcuni cardinali (quel che in campo politico sarebbe voto di scambio e che in ambito ecclesiastico è in odore di simonia); altrettanto si potrebbe dire della segreta macchia (ma evitiamo lo spoiler) nel passato del cardinale africano Adeyemi (Lucian Msamati), di cui si dice, più verosimilmente, che sarebbe paradossale considerare «innovativa» la sua candidatura come primo papa nero quando in campo etico il cardinale africano rappresenta l’omofobia più radicale.
Ancora, non possiamo non trovare saggio il cardinal Bellini (un grande Stanley Tucci) che cerca con tutte le forze di «evitare il peggio», cioè il tradizionalista cardinal Tedesco, convergendo su un «meno peggio» (Trembley, in prima battuta, se stesso in seconda, lo stesso reticente Lawrence alla fine), sostenendo che la chiesa ha avuto di peggio. Ma soprattutto è plausibilissima la preoccupazione costante e a tratti angosciosa del cardinal Lawrence (interpretazione assai convincente di Ralph Fiennes), il decano incaricato della gestione del conclave, di cui si offrono sempre in primissimo piano le rughe di tensione e che ci ricorda il volto teso e preoccupato di papa Benedetto XVI in prossimità delle dimissioni.
E ancora, non è così incredibile la destituzione di un cardinale da parte del papa. Papa Francesco lo ha fatto. E saremmo tanto stupiti se scoprissimo dell’esistenza di un cardinale «in pectore» da qualche parte del mondo? Nel racconto filmico si tratta del cardinale di Kabul, monsignor Benitez (Carlos Diehz).
Cosa funziona
Insomma, gli ingredienti di base del thriller psicologico, come è stato definito, o della pope fiction (che è ormai un sottogenere classificato) non sono campati in aria rispetto alla realtà e l’intenzione del regista pare quella di aderire al possibile. Nessuna sparata alla Dan Brown, per intenderci, e nemmeno riferimenti scandalistici da Caso Spotlight.
Così congegnato, il thriller funziona, grazie all’atmosfera claustrofobica della Cappella Sistina e della Casa Santa Marta, al gioco di mosse e contromosse dei personaggi in campo, ai dialoghi riservati a due, a tre o a gruppi di parte, agli abili colpi di scena (almeno tre), effettivamente sorprendenti ma anche credibili, al fascino suggestivo della solennità ecclesiastica, fatta del linguaggio misterioso del formulario latino, dei tessuti preziosi e pesanti dei paramenti, dei colori saturi delle vesti, oro, nero e porpora.
Le inquadrature insistono su questi particolari con ricercatezza quasi eccessiva (di grande effetto la ripresa dall’alto dei cardinali che convergono alla Sistina per lo scrutinio decisivo in abiti porpora, ciascuno sotto un bianco ombrello), evidenziando un contrasto insieme ovvio e provocatorio con gli abiti grigi e dimessi delle suore di servizio, con i loro gesti prosaici nel preparare le mense, disporre le vesti, sigillare nel cellophane tutti i cellulari e i device dei cardinali per l’isolamento del conclave: il loro silenzio operoso, il loro parlare sommesso e inintelleggibile fa da contrappunto alle parole importanti e ai toni declamatori dei cardinali.
L’unica suora che un’unica volta rompe il silenzio e la barriera di separazione, suor Agnes (Isabella Rossellini), l’unica che sembra avere un nome (ma un cognome sarebbe troppo), lo fa per ragioni di coscienza, per rivelare una trama segreta, consapevole di travalicare i confini del proprio ruolo ma anche decisa a farlo. E subito dopo deve venire in aiuto al decano che, naturalmente, non è in grado di fare da solo delle fotocopie.
Cosa manca
Quello che manca al film, purtroppo, è un interesse vero alla materia trattata e una competenza seria, se non vogliamo dire specifica, su di essa. Purtroppo, diciamo, perché l’abilità della regia e il cast eccezionale avrebbero meritato ben altra sostanza.
Per limitarci ai temi più importanti, si presenta la contrapposizione tra innovatori e tradizionalisti senza citare una sola volta il Concilio Vaticano II, le sue interpretazioni, le sue conseguenze; si parla della ripresa del latino senza mai parlare di riforma liturgica; il rapporto con l’Islam e con le altre fedi è accennato polemicamente senza nemmeno usare il termine dialogo interreligioso o ecumenismo. E, per finire, non compare nemmeno il tema, cruciale nella circostanza di un’elezione papale, del papato «monarchico» in relazione alla «sinodalità» ecclesiale.
Insomma, l’assenza di un lessico specifico è spia della mancanza di profondità e il lessico che è usato è quello abusato, come «mistero» e «crisi di fede» seminati per lo più a sproposito. Non servono studi di teologia per arrivare alla sostanza delle questioni discusse dai cardinali, eppure non ci siamo proprio.
È ben rappresentato l’apparato della chiesa (organizzazione e ritualità), di per sé molto spettacolare e «cinematografico», si coglie qualche tematica (per lo più interpretata coi parametri della politica corrente), ma sfugge del tutto o quasi il contenuto propriamente religioso, se non vogliamo dire teologico, il contenuto di fede e, dove c’è da contendere, l’oggetto del contendere.
È facile ipotizzare che il regista non fosse interessato a entrare nel merito, ancor più facile pensare che non abbia voluto impegnare troppo gli spettatori, ma temiamo che la responsabilità non sia principalmente del narratore o del regista, ma piuttosto del difetto di comunicazione della chiesa stessa, efficacissima nell’esibire l’apparato ma in grave difficoltà quando si tratta di render ragione del suo credere agli uomini normali di questo mondo normale, con parole normali e mezzi di comunicazione normali. Il sano esercizio di «farsi colloquio» (secondo l’espressione di papa Francesco)[1] è decisamente poco praticato, se si esclude il genere predicatorio che colloquiale non è.
Anyway, gli spettatori di «Conclave» possono incredibilmente contare su un lieto fine. La fumata bianca (come rinunciare a un effetto così cinematografico?) ci sarà e sarà eletto un nuovo papa che sembra fatto per piacere al regista e agli spettatori. Piace anche a noi, per carità, perché suggerisce, col suo segreto e anche senza il suo segreto, un mondo ecclesiastico alternativo (sarebbe chiedere troppo ipotizzare un riferimento alle «periferie»). Ma, ahinoi, il poveretto sembra che non abbia molto da dire, come a conferma della mancanza di argomenti in grado di reggere l’osmosi tra il «dentro» e il «fuori» dei confini ecclesiastici.
[1] Relazione di Sintesi della prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2023)
I film per un semplice fatto stilistico e artistico narrano per immagini, sottraendosi dal declinare elementi di tipo didascalico e apologetico. Pensare che i film citino il Concilio Vaticano II o altri documenti ecclesiastici magari dandone pure delle interpretazioni è un approccio non rispettoso di una critica che si ponga in modo non pregiudiziale nei confronti della specificità sintattica cinematografica. Il cinema non riprende in modalità documentaristica i temi a noi cari della teologia cattolica; narra delle storie e dalle storie stesse cerca di evincere quei valori, che non vanno predicati ma ricavati dalla trama stessa del film.
Leggendo i commenti al testo, non comprendo come si possa interpretare un film senza averlo visto, ma leggendo la trama… bho.
Altra cosa triste è parlare di novità. Il Vangelo è novità da 2000 e passa anni e lo sarà ancora, invece di pensare alle novità di un conclave che non ci compete, pensiamo a come vivere la novità nella nostra vita, possibilmente senza insinuare cose che non si sanno, o mormorando, o spettegolando.
Poi che i preti parlino di politica, ma tutti devono parlare di politica, la politica fa parte del vivere civile per chi ha fede e per chi non l’ha, sono le regole di vita comune che l’ umanità si dà dai tempi dei primi uomini attorno al fuoco, il più è vivere, ancora una volta, la politica con la novità del Vangelo, cosa dovrebbe fare un prete se non vivere il mondo alla luce di Cristo?
Certo.
E’ ovvio che tutti viviamo nel mondo.
Ad una riunione del Club Alpino Italiano mi aspetto che si parli di sentieristica e magari si commenti l’ultima legge regionale in merito, ad una riunione dell’AVIS si parlerà delle ultime norme sulla donazione di sangue.
E’ normale che si parli di politica.
Durante un’omelia si parlerà del Vangelo, almeno credo, e magari il sacerdote ci spiegherà come Cristo debba illuminare la nostra vita anche nei comportamenti concreti.
Se però il prete parla soltanto della Meloni (bene o male non importa), della Schlein (bene o male non importa), dei migranti e delle politiche ecologiche non mi sta bene.
Non siamo a “Porta a Porta”!
Un commento ineccepibile. Se riduciamo tutto ai minimi termini, il Conclave che ha incassato le dimissioni del Papa tedesco e nominato Bergoglio ha fatto una scelta razionale e politica. “Proviamo con la teologia della liberazione. Hai visto mai che stavolta ci si azzecca…” Una scelta per molti sciagurata e miope. Questo Papa ha peggiorato una situazione in tragico declino e ha posto in essere una figura patetica e arrogante. Come ne abbiamo avute tante nel passato. Queste sono parole sue “ Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire.” Detto da un Papa e’ una frase autorevole. Ma nei fatti non ne ha mai dimostrato la soluzione senza nemmeno dire dove si colloca il bene e dove il male. Ha tuonato contro l’esclusione e a favore dei poveri. Parole ovvie ma chi ha la colpa e dove si annida il peccato? I derelitti fuggono dalla schiavitu’ dei ricchi e degli hedge found che sfruttano il mondo. Come ci si libera da questi demoni se si frena la rivoluzione paventando l’inclusione in un “altrove” freddo e spietato? Bergoglio ha sbagliato tutto scomodando il nome di Feancesco. Il mondo si infiammera’ lo stesso e come al solito la Chiesa non capira’ nulla del mondo. Con buona pace di teologi, apoligi, biblisti ed esegeti da mezza tacca
Premesso che i cardinali che eleggono il Papa nel Conclave non rappresentano la ” Chiesa cattolica” ,perche’ sono stati creati cardinali dal papa defunto , quindi sono uomini a lui graditi ( nel passato persino nipoti ,da qui il termine nepotismo) , il Conclave non rappresenta mai la bonta’ dei fedeli cattivi, non essendo l’ elezione del papà una elezione democratica. La Tradizione cattolica crede nell’ opera dello Spirito Santo che guida i cardinali (anche se personalmente sono degli ambiziosi machiavellici) alla scelta giusta . Lo Spirito Santo non puo’ fallire quindi scegliera’ il candidato Migliore. Peccato pero’ ,come ha fatto notare papa Benedetto XVI, che in Conclave lo Spirito Santo e’ raramente ascoltato e ancora piu’ raramente obbedito .
È un film molto bello. E direi che il geniale finale ben rappresenta l’intervento dello spirito che soffia dove vuole alla faccia dei difensori (o presunti tali) della tradizione.
Il messaggio evangelico è quanto dí più politico io conosca. Gesu Cristo ha accettato la morte per non rinnegare la sua proposta politica. Non aveva bisogno di morire per redimere i peccati: per quello basta ed avanza la Grazia di Dio.
Gesù, fuglio di Dio, annuncuato da secoli con profezie molto precise, poi realizzate, non è assoggettabile a schemi sociali, politici, di potere umano. Consiglio di leggere attentamente la Bibbia, il Vangelo. Grazie!!
Premetto che non ho visto il film.
Ho letto della trama, come riportata anche da questo articolo.
Noto, tuttavia, come il film stia suscitando un interesse che va oltre il suo valore artistico o culturale e che attiene proprio al soggetto trattato.
Mi pare quasi che questo articolo dica una cosa: “c’è voglia di conclave…“.
Ma questa voglia non appartiene tanto al mondo che nell’articolo viene definito tradizionalista, quanto piuttosto a quegli ambienti della chiesa che stanno vivendo una loro frustrazione per diversi motivi. Forse, chi “ha voglia di conclave” appartiene a quegli ambienti che da almeno settant’anni sono desiderosi di novità, peraltro sempre fumose, acattoliche e, come sperimentato, deleterie. Ambienti che aspirano a occupare determinati posti per svolgere il proprio incarico in assoluta libertà; una libertà svincolata da qualsiasi regola di diritto, da qualsiasi osservanza teologica in un contesto di incomprensione della fede e della Chiesa. Non mi pare che nelle posizioni di quegli ambienti che vengono definiti dall’articolo tradizionalisti, vi siano queste aspirazioni; piuttosto in questi ultimi ambienti si prega e ci si impegna secondo gli insegnamenti di Cristo, peraltro con molti frutti.
L’ultima frase risulta un po’ datata, visto che stanno emergendo le magagne nel mondo tradizionalista (come una gestione degli abusi volta più a proteggere la reputazione dell’istituzione che le vittime) e sta emergendo un buon numero di ex-tradizionalisti che sanno scardinare tanta propaganda.
Inoltre vediamo che moltissimi tradizionalisti più che a pregare sono nell’agone politico, con posizioni discutibili
I preti ultimamente parlano quasi esclusivamente di politica.
Crisi migratoria, crisi climatica, squilibri economici, pace nel mondo: tutti temi degnissimi, importanti e cruciali.
Il vero core business della Chiesa dovrebbe essere però l’annuncio evangelico il quale pare non pervenuto.
Come meravigliarsi se in un film il conclave viene rappresentato come il comitato centrale di un partito (solo più sontuoso ed elegante)?
Questo è la chiesa oggi: un partito litigioso diviso in correnti.
E’ sempre stato cosi’ . So che quelli di adesso ,rispetto a Bonifacio VIII o Giulio II ,sono piu’ melliflui ed ipocriti e si travestono da “santini “
Da persona che va a Messa tutte le domeniche (in realtà il sabato sera) non riconosco la situazione che descrive.
Il mio parroco centra tutte le sue prediche sul fatto che dobbiamo seguire Gesù e riconoscere in lui il Salvatore. La Domenica dopo Natale avevamo a celebrare un salesiano che ha anche buttato giù spunti di cristologia.
Nella mia esperienza ho sentito un solo prete che ha centrato la predica solo su temi ecologici, e mi ha lasciato un ricordo non bello. Tanti altri invece lo hanno inserito solo come uno dei temi, e comunque subordinato ad altri aspetti.
La situazione è comunque grave per tanti motivi, ma non è come lei descrive
Bene, sono contento che esista ancora qualche isola felice.
Benissimo.