Siamo ancora lontani, almeno in Italia, dalla percezione dell’ampiezza del fenomeno degli abusi di uomini di Chiesa. Le vittime non hanno ancora ricevuto l’attenzione dovuta, anche se quasi tutti i vescovi le hanno incontrate e qualche incontro si è verificato anche con i vertici della Conferenza episcopale italiana (CEI). Largamente in ombra sono ancora quanti sono stati già condannati e quanti lo potranno essere alla fine del processo canonico o civile che li riguarda.
Un volume recente
L’agile volume curato da Francesco Strazzari dal titolo La notte oscura (Pazzini, Villa Verrucchio (RN) 2024, pp. 132, 13,00 euro) illumina questa zona ancora in ombra. Lo fa ricorrendo ad alcune testimonianze legate all’esperienza della «Piccola Betania», una comunità presbiterale dedicata a quanti si sono macchiati di abusi e attiva in Francia a Mesnil-Saint-Loup (Aube; cf. qui su SettimanaNews).
Si richiama alla spiritualità di p. Jean-Joseph Lataste che, nel XIX secolo, si è impegnato nel riscatto di carcerati e donne di strada. Sostenuta e diretta da mons. G. Daucourt, raccoglie preti e religiosi dal travagliato passato. Va ricordato che, in Italia, sono ormai una decina che comunità che accolgono preti in difficoltà.
Le otto storie che vengono raccontate sono molto personali, ma sono attraversate anche da alcune dimensioni comuni. La prima è la sorpresa di essere caduti in un abisso di cui non si percepiva la gravità. Un piano inclinato, giustificato in molti modi, ma la cui perversione non appariva tale agli interessati.
Da un piedistallo assicurato dal ruolo si cade d’improvviso. «Ho cercato altrove. Una fuga dalle realtà in una relazione scandalosa. E un giovane un po’ emarginato si è trovato a essere vittima del mio malessere». «Quando per un attimo mi sono rilassato, mi sono lasciato andare».
Anche davanti ai «predatori» si spalanca l’inferno. «Da questa esperienza di “discendere agli inferi” salgo ora a parlare, con la sincerità e la profondità di chi ha vissuto l’inferno qui in terra». «La vergogna prende il sopravvento e incrociare lo sguardo di chiunque mi conosceva era insopportabile».
Famiglia e diocesi
La famiglia e il circuito amicale possono giocare ruoli contraddittori. «Soffro dell’ostracismo da parte di alcuni membri della mia parentela. Con alcuni oggi non è possibile alcun dialogo».
Ma a volte è un riferimento molto importante:
«Altro è stato e continua ad essere il rapporto che ho mantenuto con la mia famiglia e gli amici più cari. Questi sono coloro che mi hanno conosciuto in tutti i dettagli della mia vita. Mi hanno visto piangere, ridere, crescere». Mia madre «ha saputo stare ai piedi della croce, non solo in modo spirituale, ma incarnato in una realtà spezzata e distrutta. Non potrò mai dimenticare i momenti migliori della mia vita al suo fianco».
Il rapporto con il clero è abbastanza frastagliato: dalla distanza e dal giudizio alla comprensione e all’aiuto. Ma prevalgono gli accenti più dolorosi e critici. «Personalmente mi sento espulso dall’istituzione ecclesiale e messo in discussione da essa in tutti gli aspetti della mia vita».
Fino ad accuse dirette al proprio vescovo:
«Accuso il vescovo di aver agito in modo antievangelico; lo accuso di prevaricazione; di avere esercitato su di me un abuso ripetuto e insistente di coscienza; lo accuso di usare in modo scellerato e distorto l’autorità che la Chiesa ha posto sulla sua persona; lo accuso di mancanza di umanità per il suo modo di procedere contro di me, per il suo disinteresse in una situazione di estrema vulnerabilità e mancanza di difesa».
I media
Nel nostro contesto di cultura mediatica e di permanente connessione, i media sono fra i vettori di maggiore aggressività. Spinto dall’opinione pubblica, il vescovo si espone in una conferenza stampa e, pur senza pronunciare il nome, indirizza i giornalisti sull’interessato: «Il giorno dopo, una mia foto e il mio nome erano su diversi giornali».
«È molto duro assistere al processo mediatico della tua persona, sperimentando come il politicamente corretto elimina un giudizio tranquillo e la ricerca sia riguardo alla verità sia alle prove». «Così il vescovo, in un folle atto liturgico di riparazione, mi condanna pubblicamente e comunitariamente».
«I media non dimenticano, la società non perdona e la Chiesa non fa nulla».
Numerose le indicazioni sull’insufficienza del processo canonico più di quelle civile. Non ho potuto «difendere la mia causa: un avvocato ecclesiastico fantoccio e un giudice mai incontrati».
«Sei colpevole fino a prova contraria e fino a quando non avrai dimostrato il contrario […] una totale mancanza di rispetto della presunzione di innocenza». «Da cinque anni da quando sono stato arrestato, sto ancora aspettando di essere giudicato».
«Era la stessa Chiesa che impediva il sacro diritto alla difesa, all’onore e alla buona fama, dilapidata fin dal primo istante».
Le vittime
Dei cinque brevi saggi che completano il volume (seconda parte) cito solo un elemento ciascuno.
Del testo di Amedeo Cencini sottolineo l’aspetto critico e cioè la denunciata assenza di riferimenti alle vittime. Forse legata alla scarsa percezione della gravità dei fatti. Mons. Gérard Daucourt sottolinea più volte la responsabilità dei vescovi anche per questi «preti in tempesta»: «Anche i vescovi devono mettere in discussione la loro fedeltà alla verità e allo stesso tempo prendersi cura del sacerdote che la loro decisione fa soffrire».
Andrés Torres Queiruga ricorda il contrapposto pericolo nell’affrontare il tema degli abusi: da un lato, una certa esacerbazione di un moralismo rigido e, dall’altro, la perdita di riferimento al perdono cristiano.
Jesús Martínez Gordo sviluppa la necessità di precisare il percorso giudiziario canonico e di assumere elementi decisivi del processo civile.
Il vescovo emerito di Gent, Luc Van Loy, colloca le sfide del prete nella società sempre più laicizzata e nella necessità di una spiccata dimensione contemplativa.
Importante risulta l’ammonimento del card. Pietro Parolin, Segretario di Stato:
«Auspico vivamente che il presente lavoro possa contribuire in qualche modo alla cura pastorale, necessaria e imprescindibile, che la Chiesa deve offrire a quei suoi figli macchiatisi di tali crimini e ora impegnati in un cammino di profondo rinnovamento personale, che li riconduca al riconoscimento sincero delle proprie infedeltà e all’umile richiesta di perdono alle vittime».
Strazzari Francesco (a cura), La notte oscura. Testimonianze drammatiche di preti in tempesta, Pazzini, Villa Verucchio (RN) 2024, pp. 132, € 13,00.
Concordo con Chiara. Il libro mi pare decisamente fuori luogo e fuori tempo. Prima deve esserci il tempo per le vittime, fatto non solo di considerazione del dolore arrecato, ma anche e soprattutto di presa di coscienza del perché questo è accaduto e continua ad accadere nella chiesa. Si teme di scandalizzare i fedeli ma non si ha paura di ciò che è all’origine degli abusi, di quel che li fa maturare e nel silenzio li perpetua. Vorrei aggiungere che alla cosiddetta tolleranza zero, davvero fin qui poco credibile, dovrebbe corrispondere una altrettanta FIDUCIA ZERO da parte di tutti, perché si possa proteggere chi ne è a rischio (vittime e abusatori). Gli abusi non sono un male necessario o effetto collaterale di un bene più grande. No, sono mali, gravissimi e intollerabili perché contrari alla vita, spirituale in primis, e alla sua libertà.
La chiesa ancora una volta si interessa dei suoi , in un ultimo inutile tentativo di curare , capire , comprendere le sue perverse “creature” . Non ho mai sentito in questi anni una parola vera per capire e comprendere il sistema che ha portato a tutto ciò : mai una parola sulla rimozione della sessualità – spesso omosessuale- che i seminari mascherano così bene . Mai una parola per le vittime che sono inconsapevolmente entrate in contatto con questo sistema . Mai una compensazione vera , mai un mea culpa , mai una presa di responsabilità. La sollecitudine della chiesa serve solo a nascondere , sopire , distogliere l’attenzione e salvare le apparenze . La condanna degli abusatori c’è solo quando la notizia deflagra prima di venire intercettata dall’istituzione . E non abbiamo ancora una commissione indipendente ..