La co-autrice, la sola che può ancora scrivere su questa terra, la definisce, e a ragione, «una storia come tante»: molti di noi hanno conosciuto malati terminali, spesso anche all’interno della propria famiglia. Quanti coniugi hanno visto spegnersi il compagno della propria vita, quanti genitori hanno assistito impotenti alla morte del proprio figlio bambino braccato dalla leucemia o da un cancro!…
Eppure, prendendo in mano il testo del racconto di questa storia, e ancor di più ascoltando le testimonianze riportate alla presentazione al Vigilianum di Trento, non si può non concludere che una diversità c’è. Perché il libro dei coniugi Maria e Alessandro Fedrizzi è la prova di un amore promesso un giorno lontano (1982) fra attese di gioia e di vita, dove quell’espressione «nella salute e nella malattia» era pronunciata perché doveva essere così, quasi per inerzia o per esorcizzare il dolore che pure si sapeva esistere. Ma quell’amore, forgiato poco più tardi da un male incurabile, può far spuntare un fiore d’inverno, come quel calicanto profumato che dà il titolo: «un profumo che fa respirare nel profondo» dice Maria. «È l’incontro di una vita con tante vite e questo può generare l’imprevedibile».
Che il dolore e la malattia siano ben presenti nella realtà umana lo sapevano bene Maria e Alessandro: lei docente di lettere, entrambi i genitori medici e pure un fratello, lui medico internista e reumatologo, già volontario in Africa per il CUAMM, poi fra i pionieri del Servizio per le cure palliative (responsabile prima a Trento poi a Rovereto), ma anche promotore dell’Associazione famiglie affidatarie e negli ultimi anni impegnato nel dotare la città di Trento del primo Hospice, il “Cima Verde”.
La vicenda è semplice nella sua ordinarietà statistica: alcuni sintomi destano allarme e il ricorso ad esami diagnostici rivela, ai primi di giugno 2012, un glioblastoma. Fuori dall’ordinario è già la reazione a caldo al momento della sentenza e tutto sta in quell’abbraccio alla moglie accompagnato da una sola espressione «Perdonami!».
Da lì saranno quasi due anni di calvario – anch’esso molto simile ad altri se restiamo alle pratiche mediche –, ma quei lunghi mesi di affanno si rivelano carichi di vita, a livello personale, di coppia, di famiglia e nell’ampio arco degli amici. Al punto che la storia di Maria e Alessandro – la cui vicenda terrena si chiude il 17 marzo 2014 – diventa una di quelle che «sedimenta nel tempo i valori della vita» per citare le parole del direttore del settimanale diocesano Andreatta alla presentazione, dove esprimeva l’auspicio che il libro «possa aiutare a riaccendere la propria candela» a chi l’ha spenta per un rigido inverno di dolore. Non un accompagnamento alla morte, ma una vicenda che apre ad un’altra vita.
Il racconto di questa autentica e concretissima storia coniugale è tracciato da una serie di e-mail, fra di loro, i figli, la famiglia e gli amici: quello che ne risulta è una sorta di mosaico che fa rivivere emozioni, momenti di dolore, ma soprattutto di speranza e coraggio (come la sollecitazione ai figli a vivere la propria vita di giovani esuberanti e impegnati nello studio e nel lavoro o il ringraziamento a quanti condividono la propria vicenda umana …).
«Ciascuno di noi è quello che è perché ha la sua rete di relazioni» dice Maria spiegando che non si è trattato della condivisione inconsapevole di chi intercetta casualmente frammenti di vita privata attraverso una conversazione da cellulare in uno spazio pubblico, bensì di una condivisione fortemente voluta e che si fa «scuola di vita».
È un esempio di condivisione umana come può avvenire solo all’interno di quel rapporto unico e irripetibile che si svolge fra due persone che hanno deciso di attraversare insieme i giorni della vita. E le costanti, come scrive l’autrice – che si firma «Maria (con Ale in cuore)» – sono «il condividere, il cercare la relazione, il consegnare con fiducia, il desiderio di essere sanati e di vivere».
Don Renato Tamanini, autore della postfazione – un prete vicino alla coppia anche se riconosce «solo da spettatore» –, sottolinea il percorso di abbandono: «Ho visto Alessandro partire, allontanarsi da tutto quello che faceva parte della sua esistenza, svuotarsi di tutto per prepararsi ad essere riempito ogni giorno di più dal Segreto che gli parlava dentro». È un lasciare andare via via la propria vita fisica per appropriarsi pian piano di quella spirituale.
È la morte che arriva, non come un’appropriazione indebita, ma come opportunità, alla maniera di Giacobbe: «Certo il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo» (Gen 28,16). Perché anche nel bosco più fitto si può sempre trovare una traccia da seguire e, forse, anche aprire un percorso inedito. Come la via delle cure palliative avviata dal dott. Fedrizzi con tanta tenacia nell’intento di fornire un supporto a tanti ammalati privi di ogni speranza di futuro (un motivo in più per diffondere la sua vicenda come ha deciso di fare la Pastorale diocesana della salute).
E ancor di più da diffondere a livello di famiglie, soprattutto di coppie di sposi, perché la storia di Maria e Alessandro diventa emblematica per andare alla scoperta di quanta forza sia insita nel rapporto di coppia, un rapporto che resta comunque sempre un mistero per quanti osservano dall’esterno, nonostante la vicinanza umana e spirituale (non sempre quanti si preparano al matrimonio sono consapevoli di quelle parole pronunciate al consenso e, talvolta, le vicende della vita e la fragilità umana giungono inaspettate rischiando di frantumare una relazione).
Un libro “coniugale” e “familiare”, un libro carico di poesia, che ha il sapore di una mistica laica tra le pareti domestiche. Comunque «un dono dal sapore pasquale».
Maria e Alessandro Fedrizzi, Nell’inverno un calicanto, Edizioni Vita Trentina, Trento 2018, pp. 144, € 9,00.