È un debito rilevante quello che la storia della chiesa ha contratto con Sergio Tanzarella. Pochi altri storici, infatti, hanno saputo coniugare, come lui, la ricerca storica e l’impegno civile. Noti sono i suoi saggi sulla nonviolenza, sulle omissioni intorno alla prima guerra mondiale, e nota è la sua attenzione a figure scomode come don Milani.
Non fa eccezione a questa vocazione, la sua ultima ricerca storica dedicata alla figura di Don Giuseppe Diana, presbitero campano ucciso dalla camorra a 36 anni mentre si accingeva a dire messa. Come enfatizza l’autore, è una grande morte per un prete venir uccisi mentre si va verso l’altare. Sotto questo aspetto, don Peppino ha subito il medesimo martiro e vissuto lo stesso destino di Oscar Romero, di cui tanto aveva ammirato il coraggio.
Molti hanno saputo attraverso i giornali, di questa inusitata uccisione di un sacerdote che, con estremo coraggio, aveva alzato un argine contro le strategie della camorra, ma era necessario che un vero storico ne approfondisse meglio la vita, l’attività pastorale ed anche gli atti del processo, giacché non pochi sono stati i tentativi di depistaggio volti ad infangarne la memoria.
Il libro a lui dedicato da Tanzarella, uscito nella collana «Respiro» (Ruah) del Pozzo di Giacobbe, è una biografia storica di facile e gradevole lettura. Pubblicato a trent’anni dall’omicidio di don Diana, questo saggio dell’ordinario di Storia della Chiesa alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, si mette idealmente in continuità con quello che il vescovo Nogaro gli aveva dedicato, sempre per Il Pozzo di Giacobbe: Peppino Diana. Il martire di Terra di Lavoro.
In confronto a quest’ultimo volume, però, e soprattutto rispetto ad altri lavori più «commerciali», la ricerca di Tanzarella si distingue per il rigore storico, poiché, come rimarca l’autore, «la figura di Diana meriterebbe maggiore attenzione e rispetto, e certo più impegno nel raccogliere tutte le fonti disponibili».
Una ricerca storica accurata
Era quanto mai necessaria, quindi, un’opera rigorosamente storica che facesse luce sulla vicenda, anche a motivo delle calunnie rivolte alla persona di don Diana e al suo operato ecclesiale, che sono state cavalcate persino dal penalista Gaetano Pecorella, difensore di Nunzio De Falco, poi riconosciuto essere il mandante dell’omicidio. Tali insinuazioni, infatti, sono definitivamente cadute solo in secondo grado, nel 2003, dopo che per anni la memoria del sacerdote campano era stata difesa solo dal vescovo Nogaro e da pochi altri preti.
Tanzarella scrive che «la documentazione relativa ai vari processi sull’omicidio di Peppino Diana non è stata fino a oggi opportunamente studiata». In rapporto a questi ultimi, ad esempio, viene rimarcata la testimonianza di Augusto di Meo, che ha rotto il muro di omertà e pagato un prezzo altissimo per il suo straordinario senso civico.
Va segnalato il modo in cui Tanzarella sceglie di raccontare il sacerdote di Casal di Principe. Lungi dal farne una caricatura edulcorata, lo descrive come un prete che ha vissuto una «vita assolutamente normale, vissuta in una delle tante, comuni e infinite periferie suburbane del Mezzogiorno». Nel saggio don Diana viene raccontato senza enfatizzare o gonfiare le sue virtù, bensì come un prete che annunciando il Vangelo in una terra di omicidi e violenza non avrebbe potuto accettare o predicare la rassegnazione.
Il merito del libro di Tanzarella è anche quello, appunto, di averne celebrato la memoria con oggettività, senza ricorrere ad inutili mitizzazioni, perché, come scrive nelle pagine introduttive ricorrendo al genere letterario di una lettera a lui idealmente indirizzata: «Metterti su un piedistallo sarebbe ucciderti ancora, non ne hai bisogno e non ne abbiamo bisogno, la tua vita e la tua morte sono già grandi da sé, non hanno necessità di altro, né di mistificazioni cinematografiche né di propaganda». Concludendo tali considerazioni con l’aggiunta che «la testimonianza di un martire è decisiva di per sé».
Evidentemente sensibile a questo aspetto, l’autore non manca di fare delle critiche alle presentazioni romanzate della figura del prete casertano che si sono succedute dopo la sua uccisione, non esclusa la sceneggiatura della fiction RAI andata in onda nel 2014. Al contrario, ciò che sta a cuore a Tanzarella è raccontare con realismo storico la coscienza civile ed ecclesiale di don Giuseppe Diana, che è stato ucciso, in buona sostanza, solo perché era un prete impegnato. La sua attività civile e pastorale non si limitava e non era circoscritta al solo contrasto alla camorra, ma ha anche accompagnato, ad esempio, la sensibilità del vescovo Noto nell’accoglienza dei migranti.
La passione civile ed ecclesiale
Gli otto capitoli del libro ricostruiscono, con un linguaggio scorrevole ma con la precisione dello storico, la sua passione civile e religiosa. Essi ripercorrono il percorso di vita e di fede di don Peppino inquadrando la sua vicenda nel suo esatto quadro storico, sociale e politico. I capitoli del libro ne ripercorrono le tappe principali, e sono dedicati – sintetizzandone i titoli – alla «ricerca storica, tra memoria e cancellazioni» nel «contesto di quegli anni».
Tra questi due primi capitoli, però, ne viene inserito un altro piuttosto polemico dal titolo «Don Peppino Diana non è don Matteo», nel quale si fa appunto un richiamo alla fiction trasmessa dalla Rai nel 2014. I successivi sono invece dedicati all’approfondimento della sua spiritualità e della sua testimonianza, con una particolare attenzione, però, al suo cammino come «studente» nelle Sezione san Luigi della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale.
Successivamente, viene quindi raccontata la sua «missione sacerdotale», il «processo», il rapporto con «il vescovo Raffaele Nogaro» e, in ultimo, il «dramma umano». Questo saggio di Tanzarella è poi arricchito da otto testimonianze da lui raccolte: quella di M. Diana, di L. Mozzillo, di G. Letizia, N. Campis i Pinós, E. Franco. Nelle pagine del libro, infine, non mancano delle foto.
In definitiva, occorre dire che la biografia di Tanzarella si distingue da altri saggi proprio perché dietro di essa c’è la professionalità dello storico. Non va dimenticato, però, che pure lui viene da quella terra e conosce a fondo le problematiche della questione meridionale, anche in virtù dei suoi trascorsi parlamentari.
Uno dei meriti del libro è dunque quello di raccontare la vita di don Peppino con l’opportuno realismo e la piena consapevolezza di quale sia la situazione sociale in quei contesti, senza però eccedere in tediosi e superficiali dettagli che avrebbero appesantito un libro che invece vuole essere letto da tutti, soprattutto dai giovani delle scuole. Da professore e storico della chiesa, comunque, Tanzarella rivolge grande attenzione alla sua vocazione sacerdotale, alla formazione universitaria e all’impegno ecclesiale e pastorale, oltre che a quello civile.
Con vari richiami agli stessi scritti di don Peppino, viene narrata, ad esempio, la sua vocazione sacerdotale. Va ricordato, al riguardo, che egli, ad eccezione di una breve parentesi nella quale ha fatto degli studi all’Università statale di Napoli, ha sempre vissuto in ambito ecclesiale. Era infatti entrato nel seminario minore di Aversa a soli 10 anni, studiandovi fino al raggiungimento della maturità, salvo poi concludere i suoi studi dai gesuiti a Posillipo.
La chiave della breve esistenza di don Diana è stata l’ordinazione sacerdotale, ricevuta il 14 marzo 1982, dopo la quale si è dedicato all’attività pastorale con intensità e passione. Da ricordare, tra le sue varie attività ecclesiali, sono il suo servizio di assistenza agli scout e il suo coinvolgimento nell’Opera pellegrinaggi.
Il martirio e il riscatto
Uno degli elementi che rendono unico questo saggio, va ribadito, è la ricca documentazione di cui si avvale nel raccontare le sue varie iniziative. Il libro di Tanzarella si distingue da altri saggi proprio perché è impreziosito dalla ricerca da dei documenti rinvenuti in vari archivi. Il lettore viene così a conoscenza di quali sono stati i suoi studi, i suoi voti scolastici e le sue vicende universitarie a Roma, e a Napoli – prima in ingegneria e poi in filosofia – prima di coronare la sua formazione con gli amati studi biblici nella Facoltà teologica dell’Italia meridionale.
Da segnalare, per la loro rilevanza, le ricerche di Tanzarella nella biblioteca personale di don Diana, che gli hanno consentito di ricostruire le sue letture. Fondamentale, a questo riguardo, appare il suo legame con gli scritti di don Primo Mazzolari che, per il sacerdote campano, risulta essere stato un vero e proprio punto di riferimento.
I suoi dodici anni di intenso ministero sacerdotale, illuminati da esempi come Romero e Mazzolari, sono terminati alle 7.20 del 19 marzo 1994, mentre si accingeva a celebrare nella parrocchia intitolata a San Nicola di Bari, sede delle sue tante iniziative di protesta contro la criminalità camorrista. Con la sua uccisione, la comunità di Casal di Principe è stata oltraggiata e ferita, ma quel gesto eclatante e quel martirio hanno anche segnato l’inizio di un cammino di riscatto che va però accompagnato e sostenuto ricordando e ravvivandone la memoria.
Un grazie va dunque a Sergio Tanzarella per il lavoro confluito in questo volume, che aiuta a conoscere meglio la figura di don Peppino Diana e a ricostruire la storia e l’omicidio di un uomo e di un prete che con il suo sacrificio ha nobilitato la chiesa, e, più in generale, ha nutrito la coscienza civile italiana.
Sergio Tanzarella, Don Peppino Diana, Un prete affamato di vita, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2024, 216 pp., 18,00 euro.