Tra le numerose ossessioni che abitano l’immaginario americano c’è indubbiamente quella dell’origine e quindi della famiglia. Un tema esploratissimo nel cinema e nella televisione statunitense, tra liquidazioni e riabilitazioni. Una delle più fortunate recenti esperienze audiovisive d’oltreoceano degli ultimi anni è la trasposizione cinematografica dei supereroi Marvel, operazione complessa che, nell’arco di dieci anni, ha portato alla realizzazione di venti pellicole di successo.
Il cosiddetto Marvel Cinematic Universe (MCU) è un media franchise composto da una serie di film di supereroi basati sui personaggi apparsi nelle pubblicazioni della Marvel Comics. Come nei fumetti, i film – e gli altri media appartenenti a questo franchise – condividono ambientazione e personaggi, nonché elementi della trama che fanno da filo conduttore tra l’uno e l’altro.
Non è un caso che in un momento di così forte ridefinizione della leadership americana le storie dei supereroi abbiano avuto così successo: non esiste infatti un’altra figura dell’immaginario d’oltreoceano capace di riflettere tutta l’inquietudine sull’origine di cui parlavamo all’inizio. Il supereroe è definito dalla propria origine, una sorta di seconda nascita, che conferisce straordinari poteri ma anche enormi fardelli e grandi responsabilità.
Tornando a parlare di origine e di famiglia, è interessante notare come i capitoli più importanti del MCU abbiano avuto come tema portante il conflitto tra padri e figli.
La serie
Nella serie di film crossover dedicati agli Avengers (i “vendicatori”),[1] un gruppo di supereroi unitisi «per combattere quelle battaglie che nessun supereroe, da solo, avrebbe mai potuto affrontare»,[2] il tema in questione emerge con una chiarezza inequivocabile.
Nel primo The Avengers (2012) seguivamo le gesta del gruppo di eroi Marvel coalizzati per vincere la minaccia di Loki. Figlio adottivo di Odino, bandito da Asgard per aver attentato alla vita di suo padre, Loki tenterà di conquistare la terra attraverso un esercito di alieni per mostrare al fratello Thor e al padre Odino di essere destinato, per nascita, alla gloria e al potere.
Nel secondo Avengers: the Age of Ultron (2015) la minaccia è costituita dall’intelligenza artificiale denominata Ultron, che diventata senziente decide di sterminare l’umanità per riportare la pace nel mondo. L’Ultron cinematografico è un personaggio interessantissimo che si concepisce, da una parte, come un messia dai poteri divini, dall’altra, come un essere fragile e scisso, venuto al mondo da solo e senza una guida.
Il nuovo Avengers: Infinity War, dal 27 aprile nelle sale di tutto il mondo, rappresenta l’apice di un crescendo iniziato con il primo film della serie e celebra la figura del padre in tutta la sua drammatica negatività.[3] La pellicola era molto attesa e attualmente è al quarto posto nella classifica dei film con maggior incasso mai realizzati nella storia del cinema.
Fin dal primo film della serie, infatti, sapevamo che gli eventi avrebbero portato gli eroi allo scontro con il nemico di Marvel per antonomasia, il titano Thanos: tiranno cosmico a caccia delle potentissime gemme dell’infinito, capaci di manipolare diversi aspetti della realtà, attraverso i quali Thanos vuole realizzare il suo diabolico piano.
Thanos è un nemico atipico, più vicino alla lucida follia di Kurtz di Cuore di tenebra che ai canonici supercattivi Marvel. Il suo scopo non è soggiogare tutti i mondi esistenti ma dimezzarne le forme di vita per riportare l’equilibrio nel cosmo, per consentire ai rimasti una più equa spartizione delle risorse.
La trasposizione cinematografica di Thanos è molto diversa da quella del fumetto, cosa che a molti fan non è piaciuta: il Thanos di Anthony e Joe Russo è, infatti, una grande figura drammatica, disposta a sacrificare i propri figli pur di realizzare il suo progetto. Sacrificio che egli porta a termine non senza dolore, perché Thanos, in fondo, è, a suo modo, capace di amare, ma è disposto a negare la sua paternità in favore di una causa che supera il valore di qualsiasi vita e di qualsiasi legame affettivo.
Il “riposo” di Thanos
Thanos è un demiurgo, parricida di se stesso, che scimmiotta il potere creativo del dio biblico. «Cosa farai una volta raggiunto il tuo scopo?», gli chiede Tony Stark in una scena del film; «Mi riposerò» risponde Thanos, richiamando il riposo di Dio nell’ultimo giorno della creazione del mondo (immagine evocata magistralmente anche nell’ultima scena del film).
Ma il giorno sabbatico richiamato da Thanos non sancisce nessuna armonia cosmica ma solo il lutto, la perdita e la rabbia di chi è sopravvissuto arbitrariamente alla sua opera di epurazione del cosmo.
Avengers: Infinity War è certamente l’episodio più drammatico della serie, è stato definito «la titanica resa dei conti dell’universo Marvel» e l’attesa per il sequel in programma il prossimo anno è già altissima.
Com’è proprio della grande tradizione cinematografica americana, il film non è solo una maestosa opera di intrattenimento, quanto piuttosto una complessa forma di mediazione tra temi e valori, non solo del mondo statunitense ma del mondo occidentale in generale: post-religioso, post-moderno, in continua transizione verso una meta non chiara.
Ma il film, in particolare nella trionfale figura di Thanos, è soprattutto una denuncia di quelle intramontabili derive paternalistiche ancora oggi pericolosamente in agguato nella nostra società.
[1] Pellicole nelle quali si riannodano di volta in volte elementi della trama sviluppata nei singoli film dedicati a un eroe dell’universo Marvel.
[2] Introduzione alle avventure de I Vendicatori creati nel 1963 da Stan Lee e Alan Kirby.
[3] Si vedano altre pellicole del MCU, come Capitan America: Civil War (2013) e i Guardiani della galassia Vol.2, in cui l’ingombrante e negativa figura del padre del protagonista prende il significativo nome di Ego.