La quarantenne Sara Ferrari, docente a contratto di lingua e cultura ebraica alla Statale di Milano, esamina nove brani poetici dell’Antico Testamento, talvolta complessi nella loro situazione testuale, che rende non sempre facile la decodificazione di tutti gli elementi e la loro esplicazione grammaticale e sintattica.
La poesia ha avuto un percorso proprio all’interno della letteratura biblica, indipendente da quello della narrativa. Molti dei testi poetici hanno avuto per autore delle donne, anche se, nella redazione finale, i loro testi possono essere stati “zittiti” con l’indicazione di un personaggio maschile come autore principale.
La studiosa esamina a due a due alcuni testi che hanno delle relazioni fra loro non solo per comunanza di terminologia o per la costruzione grammaticale e sintattica, ma in quanto testi che celebrano la grandezza della potenza di YHWH nel ribaltamento della situazione iniziale.
La cantica del mare tra Mosè e Miriam (Es 15,1-21) e il canto di Debora e delle altre (Gdc 5,1-31, «apoteosi del femminile» secondo una studiosa) celebrano i prodigi del Signore.
In 1Sam 2,1-10 il canto di Anna è, allo stesso tempo, una preghiera, un canto e una profezia. Assieme a 2Sam 1,17-27, in cui Davide, dolce cantore di Israele, piange la morte di Saul e di Gionata, si canta la vita, la morte e la nascita della monarchia.
Due testi esprimono in poesia il tema dell’adultera e della sposa: Os 2,4-25 esprime la pietà per l’adultera e l’amore per la sposa; in Ct 7 il corpo femminile diventa il territorio della poesia.
I Salmi 126 e 137 cantano la letizia e la disperazione, l’oblio e la memoria.
Ferrari termina il volume (pp. 227-232), con la bibliografia (pp. 233-242), l’indice dei nomi (pp. 243-248) e quello dei testi citati (pp. 249-253).
Il test di lettura effettuato sui primi due brani ha mostrato che essi sono “composizione del momento”, in cui la voce femminile – da sola o con la presenza di un coro, autorship attribuita forse in un secondo momento a un personaggio maschile nel caso della Cantica del mare – canta i prodigi di YHWH e il ribaltamento della situazione da lui operato, con la vittoria contro l’Egitto in occasione del passaggio del mare o con la maternità concessa alla disprezzata Anna, moglie infeconda.
Es 15,1-21 si può ben comprendere come un “canto di vittoria” all’interno del concetto di “guerra santa” presente nell’Israele storico. Pur non essendo presente la sua dizione letterale, esso esprimeva la convinzione che la guerra sostenuta dal popolo è una questione che ha come protagonista solo YHWH e che Israele deve accompagnare solamente con canti liturgici.
Il canto di vittoria normalmente presenta i seguenti elementi strutturali:
1) La scelta di concentrarsi sul nome specifico del Dio di Israele (scegliendo tra il Tetragramma, Dio d’Israele, Dio dei padri ecc.) al fine di evidenziare il ruolo fondamentale del Signore nella vittoria;
2) L’attribuzione di epiteti e di termini specifici a Dio (mia forza, mia salvezza ecc.) o la descrizione del ruolo della divinità nella battaglia;
3) la rappresentazione dell’uso della forza della natura da parte di Dio;
4) la derisione del nemico;
5) il racconto della caduta dell’avversario (cf. pp. 20-21).
Es 15 e Gdc 5 hanno molti elementi strutturali comuni, anche se è difficile identificare perfettamente il genere letterario “canto di vittoria”. La datazione di Es 15 vede le ipotesi più estreme: da derivazioni ugaritiche del XII sec. a una datazione risalente all’esilio e post-esilio, fino a scendere al tempo ellenistico. Per molti, Es 15 rappresenta il testo più antico della letteratura biblica, mentre il Cantico dei cantici ne sarebbe l’estremo inferiore.
La studiosa analizza globalmente i vari testi, soffermandosi poi su alcuni punti fondamentali o su termini significativi. La traslitterazione dell’ebraico è particolare, forse non del tutto facile da seguire.
Ferrari conosce bene la cultura ebraica e mostra come i testi poetici vogliano far sentire presente, attuale, l’evento descritto. Ad esempio, vari gruppi cantano Es 15 durante la Pasqua sulle rive di Tel Aviv o, meglio ancora, a Eilat, sul Mar Rosso.
La continuità fra l’ebraico classico e quello moderno ha fatto sì che molti poeti israeliani (vengono citati Haym Guri, Rachel, Alexander Penn, Yehuda Amichai) abbiano trovato nei testi biblici la fonte per la loro ispirazione e per la trasposizione di motivi nell’attualità.
La poesia elabora in modo “altro” gli eventi narrati nelle storie, unendo linguaggio, armonia e configurazione, una «sintesi di sensi e di suoni».
La poesia è una costante nella letteratura della Bibbia, e spesso i testi poetici ricoprono una posizione strategica all’interno dello snodarsi della storia e della sua narrazione (cf. ad es. Pentateuco e Profeti anteriori), scandendo le tappe fondamentali della storia di Israele.
La poesia non è mai considerata una semplice qualità di talento letterario, ma un vero e proprio “dono” divino (cf. Davide). Se Davide impugna giustamente lo scettro di cantore prediletto di Dio e del suo popolo, tuttavia il primo poeta “autentico” che incontriamo nelle Scritture è una donna: Anna, la madre di Samuele” (p. 229). Col suo inno essa trasforma la sua vicenda personale in un canto assoluto in cui tutti coloro che hanno ricevuto l’azione benefica di Dio possono riconoscersi, ma anche un inno capace di offrire speranza, accoglienza e conforto a ogni persona che abbia perso la speranza.
Testo di studio, molto valido per l’accostamento a testi poetici difficili ma affascinanti, che esaltano giustamente nella Bibbia il genio poetico femminile.
Sara Ferrari, Poeti e poesie della Bibbia (Collana Strumenti – Biblica 75), Claudiana, Torino 2018, pp. 256, € 23,00.