Fin dall’uscita del suo misterioso announcement trailer, pubblicato il 19 dicembre scorso, Blade Runner 2049 – sequel dell’iconico Blade Runner (1982) di Ridley Scott, ispirato al romanzo di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968) – aveva destato enorme perplessità.
Blade Runner è stato uno dei film più importanti del cinema di fantascienza e con la sua visione retro-futurista ha condizionato tutto il cinema di genere a lui successivo. Tuttavia Blade Runner 2049 vede alla regia uno dei più interessanti cineasti in circolazione, Denis Villeneuve, il cui approccio alla fantascienza, intimista e poco incline all’effetto speciale, avevamo potuto ammirare nel notevole Arrival (2016).
La scelta di Villeneuve lasciava sperare in un sequel capace di mantenere almeno una certa continuità estetica e filosofica con la pellicola originale. E in effetti Blade Runner 2049, dal 5 ottobre scorso al cinema, non è certo un film necessario ma è senza alcun dubbio il miglior sequel possibile, caratterizzato in profondità dalla visione personale di Villeneuve.
Replicanti
Nel mondo del primo Blade Runner seguivamo le avventure di un gruppo di replicanti in fuga nella piovosa Los Angeles del 2019. I replicanti sono androidi bioingegnerizzati, perfettamente simili a l’uomo, di cui migliorano alcune caratteristiche meccaniche, come la forza. Sono progettati per essere sfruttati come schiavi nella colonizzazione di altri pianeti. In alcuni casi però essi possono sviluppare comportamenti e sentimenti propri e ribellarsi all’uomo.
Essendo indistinguibili dagli esseri umani, almeno in apparenza, è stata creata una sezione speciale della polizia capace di riconoscerli e ritirarli, i blade runners. Tra questi, nella pellicola del 1982, troviamo Rick Deckart (Harrison Ford), ingaggiato per scovare e uccidere il gruppo di replicanti ribelli guidati dal carismatico Roy Batty (Rutger Hauer).
Lo scopo di quest’ultimo però non è semplicemente quello di liberarsi dalla schiavitù umana, quanto piuttosto quello di incontrare il suo creatore Eldon Tyrell, capo dell’azienda omonima che si occupa di creare replicanti sempre più perfetti. Roy teme infatti la morte e vuole «avere più vita» dal suo creatore, in quanto i replicanti hanno una longevità piuttosto breve.
Novità
In Blade Runner 2049 le cose sono cambiate in peggio rispetto al 2019: la pioggia perenne ha ceduto il posto a repentine tempeste di neve e il livello del mare si è alzato, tanto che Los Angeles è circondata da un’enorme diga. Inoltre nel 2020, come scopriamo in uno dei tre cortometraggi apparsi sul web per narrare alcuni eventi accaduti nei trent’anni che separano le due pellicole, un enorme black-out ha causato la perdita di tutti i dati digitali, rendendo ancor più difficile l’identificazione di quei replicanti che ancora vivono in clandestinità.
Protagonista del sequel diretto da Villeneuve è l’Agente K (Ryan Gosling), un replicante di ultima generazione che dà la caccia ai vecchi replicanti ribelli, i Nexus-8 (una citazione del protagonista dei romanzi Il processo e Il castello di F. Kafka, l’agrimensore K.). Durante un’indagine K farà una scoperta le cui conseguenze potrebbero abbattere definitivamente il muro che separa gli uomini dai replicanti e che innesca contemporaneamente un profondo cambiamento nello stesso K. Egli inizierà infatti a dubitare della sua stessa natura, cosa che lo porterà a ritrovare Rick Deckart, svanito nel nulla trent’anni prima senza lasciare traccia.
Al di là dei molti sviluppi della storia il film ci mostra soprattutto l’evoluzione di K nel momento in cui le sue indagini lo portano a pensare che lui stesso non sia stato creato ma piuttosto generato, frutto dell’unione di un uomo e una donna replicanti. I replicanti non possono però riprodursi e questa eventualità costituirebbe un vero e proprio miracolo. Così K si interroga, da una parte sulle conseguenze della sua possibile natura messianica, dall’altra sugli effetti immediati del suo essere stato concepito e nato, e cioè la possibilità di possedere un anima.
Creatore-creatura
In questo senso il sequel riprende il tema centrale del film di Scott – il rapporto tra creatore e creatura – approfondendone però le implicazioni teologiche. Villeneuve sembra chiedersi, infatti, su quale piano può esistere un’analogia tra il creare umano e il creare divino. Centrale in questo senso è la figura dell’inquietante Neither Wallance (Jared Leto), il nuovo creatore di replicanti che ha sostituito Tyrell: Wallance è presentato come un demiurgo frustrato perché incapace di essere come Dio, cioè realmente datore di vita.
Creatore di replicanti sempre più perfetti, che lui chiama «angeli», Wallance non riesce però a dotare le sue creature del dono più prezioso: la procreazione. Sotto questo aspetto Villeneuve sembra accostare analogicamente la procreazione umana alla creazione ex-nihilo da parte di Dio. Un figlio, infatti, rappresenta un evento assolutamente nuovo per il mondo e per la storia; da qui la valenza messianica implicita in ogni nuova nascita.
Complesso e ricco di riferimenti che spaziano tra la storia del cinema di genere e la letteratura[1], Blade Runner 2049, attraverso la vicenda drammatica di K, ipotizza quale sia la qualità fondamentale che ci definisce come uomini: non la coscienza, non l’amore e nemmeno la compassione, ma l’essere figli.
[1] Villeneuve si rifà all’opera di A. Tarkovsky e A. Sokurov dal punto di vista cinematografico mentre traduce visivamente vere e proprie scene tratte da Fuoco Pallido di V. Nabokov. Libro che ci viene mostrato anche nell’appartamento di K.