I cristiani oggi sono chiamati, senza imporsi ma anche senza sottrarsi, ad annunciare in parole e opere che la fede in Gesù di Nazaret e la testimonianza del dono di salvezza da lui offerto sono in grado di provocare, a livello sia individuale che sociale, un cambiamento su questa terra della qualità dell’esistenza umana, che, nella nostra epoca, si svolge in gran parte in contesti urbani secolarizzati.
Mi sembra questa, in estrema sintesi, la tesi di fondo che Duilio Albarello, presbitero della diocesi di Mondovì (Cuneo) e docente di teologia fondamentale a Milano, Torino e Fossano, cerca di dimostrare nel suo bel libro, A misura d’uomo – La salvezza per la città, appena edito dal Messaggero di Sant’Antonio di Padova, nella nuova collana diretta da Armando Matteo “Percorsi di teologia urbana”.
Il testo, preceduto da un’introduzione che ha il pregio di anticiparne efficacemente i contenuti essenziali, si compone di otto agili capitoli che illustrano le tre tappe del cammino che l’autore compie secondo il metodo del “vedere”, “giudicare” e “agire”.
Dove il vedere significa prendere atto dei tratti salienti che connotano l’antropologia urbana tipica dell’epoca contemporanea, in particolare nel contesto occidentale.
Il giudicare comporta il chiedersi come, alla luce delle sacre Scritture e della potenzialità umanizzante della prospettiva salvifica cristiana, il dono del regno di Dio – il cui annuncio è posto da Gesù di Nazaret al centro della sua attività pubblica – possa anche oggi concretizzarsi, per gli uomini e le donne urbanizzate dell’età secolare, nell’offerta di una vita buona, bella e felice secondo l’intenzione di Dio.
L’agire individua i passi da compiere, a livello personale ed ecclesiale, perché la fede cristiana vissuta nella Chiesa sia “ascoltabile” e significativa per l’esistenza concreta di tutti, non solo dei “discepoli” del Nazareno, ma anche di quella “gran moltitudine di gente” che anche nella nostra epoca lo cerca per “essere guarita dalle malattie” (Lc 6,17-18) ed ha – come scrive la filosofa francese Julia Kristeva in Bisogno di credere. Un punto di vista laico – «un incredibile bisogno di credere» (p. 155).
Sfide delle culture urbane
Dal momento che la proposta cristiana di una vita buona secondo l’intenzione di Dio è rivolta «non a un’essenza umana astratta e astorica, bensì all’uomo e alla donna effettivamente esistenti in un determinato spazio e in un determinato tempo», il punto di avvio del percorso è ravvisato dall’autore nelle peculiarità della «figura antropologica concreta che si va plasmando nel grembo delle culture urbane» (p. 9).
È, questo, il contenuto della prima tappa (capp. 1-3; pp. 13-54) che richiede una lettura attenta, paziente e intelligente.
Va ricordato che papa Francesco, nei paragrafi 71/75 della Evangelii gaudium, richiama l’attenzione delle comunità sulla necessità di una «pastorale urbana» che sia in grado di misurarsi con coraggio e determinazione con le «sfide delle culture urbane» che utilizzano «linguaggi, simboli, messaggi e paradigmi che offrono nuovi orientamenti di vita, spesso in contrasto con il Vangelo di Gesù» (n. 73). Aggiunge, peraltro, che, a causa dell’influsso dei mezzi di comunicazione di massa, a tali sfide e trasformazioni culturali non sono estranei gli ambienti rurali. Si può, di conseguenza, affermare che le sfide delle culture urbane coincidono sostanzialmente con le sfide dell’odierno mondo secolarizzato.
Dialogando con filosofi (il canadese Charles Taylor e il sudcoreano Byung Chul Han), sociologi (lo statunitense Richard Sennet e il bielorusso Evgenij Morozov), esperti informatici (gli italiani Giovanni Ziccardi e Francesca Bria) e teologi (gli italiani Claudio Monge, Pierpaolo Simonini, Vincenzo Rosito), e richiamando l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, il prof. Albarello esplicita cinque «fattori che concorrono a costituire l’habitat civile iper-moderno: globalizzazione, multiculturalità, digitalizzazione, tecnocrazia, dialettica tra cittadino consumatore e cittadino competente» (pp. 9-10). «Quale spazio – si chiede – si apre per una ripresa in chiave teologico-cristiana di questo quadro antropologico ?» (p.50).
Ed ecco la risposta: «La sapienza cristiana è persuasa di avere un contributo determinante da offrire alla saggezza umana: senza imporsi, ma pure senza sottrarsi. Il confronto con quella scuola di umanità, che è rintracciabile nella narrazione del libro biblico in quanto attestazione fondamentale della salvezza in Cristo, ci permetterà di precisare la significatività e l’affidabilità di questo contributo» (p. 52).
Dono e accoglienza del regno di Dio
Nella seconda tappa del percorso (capp. 4-5; pp. 55-100) Albarello indaga, alla luce di alcuni testi neotestamentari, il rapporto costruttivo che intercorre tra il regno di Dio e la città degli uomini e delle donne della presente età secolare.
Si tratta di due capitoli particolarmente coinvolgenti, ricchi di spunti e di provocazioni in grado di far “ardere il cuore” (Lc 24,32) e di presentare la proposta cristiana come straordinaria risorsa umanizzante.
Che cos’è il regno di Dio, di cui Gesù parla con insistenza ma del quale non dà una definizione? Che cos’è il regno di Dio che – come afferma la Gaudium et spes n. 39 – è già presente, in mistero, sulla terra, ma che, con la venuta del Signore Gesù, giungerà a perfezione?
Secondo il docente monregalese di teologia fondamentale, il regno di Dio non è altro che l’offerta della possibilità di una vita buona secondo le intenzioni di Dio che viene messa a disposizione non solo di un gruppo ristretto di persone ma delle “moltitudini”.
Il regno di Dio che, nell’equivalente semitico, suona come regno dei cieli, ha a che fare non soltanto con il cielo, inteso come l’aldilà, ma vale già qui e ora, nella misura in cui qui e ora ci si affida a Gesù e ci si apre alla forza che promana dalla sua parola (p. 58). Una parola salvifica «non solo per il cielo ma anzitutto per questa terra», da far risuonare per gli uomini e le donne che la abitano «attraverso la testimonianza della comunità ecclesiale, che è chiamata a custodirla a favore di tutti» (p. 72) ed è consapevole di non esistere per se stessa ma in funzione del regno di Dio (p. 74).
In forza dell’offerta salvifica del regno di Dio, «è infranta la chiusura di una vita condannata ad essere in balìa di un fato opprimente ed è invece aperto l’accesso a un’esperienza promettente di emancipazione e riscatto» (p. 106).
L’accoglienza salvifica del dono del regno di Dio/regno dei cieli ha un «centro», un «fondamento» e un «orizzonte» (p. 58). Il centro è costituito dall’invito di Gesù ad essere misericordiosi come lo è Dio Padre e a riconoscere la verità di Dio come Agàpe alla base dell’esperienza cristiana; il fondamento è costituito dall’apertura fiduciosa alla parola di Dio Figlio che esorta a vivere alla maniera di Gesù; l’orizzonte è costituito dall’attesa suscitata dall’azione di Dio Spirito che ci familiarizza con il punto di vista di Dio.
L’accoglienza del regno comporta il riconoscimento della verità di Dio come amore (1Gv 4,16), come luce (1Gv 1,5b) e come giustizia (1Gv 2,29). Riconoscere che Dio è amore, luce e giustizia «implica una scelta precisa, ossia la scelta di esporsi nella fraternità» (p. 92): non in una fraternità modesta ma in una «fraternità eccedente» che è in grado di immaginare e contribuire alla nascita e al consolidamento di una città a misura d’uomo, in quanto «fondata sull’affidamento condiviso a una promessa più grande, capace di rendere inaspettatamente desiderabile e onorabile la complessità dell’alleanza fra gli umani» (p. 100).
A ben vedere, la prospettiva indicata da Albarello di una «fraternità eccedente», quale frutto dell’accoglienza salvifica del dono del regno di Dio, è profondamente “in linea” con quanto papa Francesco scrive nella lettera Humana communitas indirizzata il 9 gennaio 2019 al presidente della Pontificia Accademia per la vita in occasione del 25° anniversario della sua istituzione: «È tempo di rilanciare una nuova visione per un umanesimo fraterno e solidale dei singoli e dei popoli. Noi sappiamo che la fede e l’amore necessari per questa alleanza attingono il loro slancio dal mistero della redenzione della storia in Gesù Cristo, nascosto in Dio fin da prima della creazione del mondo (cf. Ef 1,7-10; 3,9-11; Col 1,13-14).
E sappiamo anche che la coscienza e gli affetti della creatura umana non sono affatto impermeabili, né insensibili alla fede e alle opere di questa fraternità universale, seminata dal Vangelo del regno di Dio. Dobbiamo rimetterla in primo piano. Perché una cosa è sentirsi costretti a vivere insieme, altra cosa è apprezzare la ricchezza e la bellezza dei semi di vita comune che devono essere cercati e coltivati insieme. Una cosa è rassegnarsi a concepire la vita come lotta contro mai finiti antagonisti, altra cosa è riconoscere la famiglia umana come segno della vitalità di Dio Padre e promessa di una destinazione comune al riscatto di tutto l’amore che, già ora, la tiene in vita».
La forza umanizzante del rapporto credente con il Dio di Gesù
Mettendosi in ascolto del pensiero di due prestigiosi teologi contemporanei (Jurgen Werbick e Christoph Theobald), il prof. Albarello delinea il filo conduttore della terza tappa (capp. 6-8; pp. 101-155) attorno alla ricerca delle condizioni generative di un umanesimo in Cristo. «La verità dell’Evangelo – scrive – individua il terreno di prova decisivo proprio nel suo potenziale di autentica umanizzazione: se questo potenziale venisse meno o comunque non fosse più percepito, ne risulterebbe compromesso il carattere affidabile di quella stessa verità» (pp. 102-103).
In considerazione di ciò che succede oggi nelle città ma anche in qualsiasi altro contesto sociale occidentale, la categoria teologica della salvezza cristiana esige di dare concretezza e forma a un «modo inedito di vivere e pensare la fede cristiana» (p. 137), che mi sembra si possa esplicitare nelle seguenti cinque caratteristiche.
Si tratta, in primo luogo, di «prendere radicalmente le distanze da una concezione basata sulla tendenziale alternativa stabilita tra Dio e l’essere umano, in forza della quale si ritiene che per affermare il primato di Dio occorrerebbe limitare la consistenza dell’uomo e viceversa». Grazie alla svolta antropologica che si è verificata nel pensiero teologico del Novecento, oggi i credenti sono consapevoli «che sarebbe impossibile dire il Dio di Gesù Cristo senza coinvolgere l’essere umano, la sua esistenza concreta a livello personale e sociale» (p. 102).
In secondo luogo, la testimonianza dei cristiani richiede oggi una fede «che non si riduca soltanto a essere l’adesione a contenuti dottrinali o l’applicazione di norme morali o la ripetizione di pratiche liturgiche e devozionali», ma che sia piuttosto un’esperienza di vita: «l’esperienza anzitutto di una relazione con Dio attraverso Gesù Cristo, che coinvolge il credente in ogni dimensione della sua umanità e che lo spinge ad agire evangelicamente nel mondo, a beneficio di tutti» (p. 137).
Inoltre, è richiesta una fede «che non trovi nella comunità ecclesiale un nido protettivo in cui rifugiarsi o una cittadella fortificata in cui difendersi», ma una fede in grado di tessere «una rete di relazioni che accompagni e abiliti a testimoniare la buona notizia del Dio di Gesù rivolta a chiunque» (p. 137), senza esclusioni, senza eccezioni, senza classificazioni e senza discriminazioni.
Al riguardo, la felice formula di papa Francesco della «Chiesa in uscita» (EG n. 24), «che va esattamente nella direzione di risvegliare la comunità ecclesiale, per restituire forza di umanizzazione alla presenza della fede cristiana» (p.142), è interpretata da Duilio Albarello nel senso di “uscire da”, di “uscire in” e “uscire verso”.
«Uscire dagli schemi abituali, che ormai in gran parte non funzionano più. Uscire nella realtà di oggi, con i suoi tanti limiti ma anche con le sue tante potenzialità.
Uscire verso una maniera di realizzare la fede cristiana, che sia riconoscibile come via promettente e praticabile per attuare una vita all’altezza del desiderio umano» (p. 143).
In quarto luogo, uno dei compiti pastorali più importanti oggi consiste nel formare i cristiani non solo a riconoscere e a coltivare il sensus fidei, ma anche a «rivelare, ripristinare e ricreare in ogni essere umano» il sensus regni (p. 154) grazie al quale la città degli umani può diventare «un luogo in cui si inizia davvero a sperimentare una fraternità eccedente, uno spazio vivibile e ospitale per chiunque» (p. 154).
Fraternità eccedente che può e deve assumere anche il volto della tenerezza (p. 123) ed essere anzi governata «dal volto gentile della tenerezza» (p. 124).
Nell’Evangelii gaudium papa Francesco sottolinea che l’evangelizzazione ha strettamente a che fare con la proposta di umanizzazione, che si fonda nell’iniziativa di Dio, attraverso Gesù Cristo: «La proposta (del Vangelo) è il regno di Dio (Lc 4,43): si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti» (EG 180).
Ma soprattutto è necessario acquisire la consapevolezza che «la risposta della fede trova la sua condizione di possibilità più efficace nella familiarità con la Bibbia: infatti è nella frequentazione assidua della Scrittura che il credente scopre il miglior aiuto per formare la propria opinione e la propria coscienza, dunque per strutturare la propria ossatura interiore» (p. 146).
Ricerca, coinvolgimento, trasformazione
Tre le soglie di accostamento alle Scritture indicate da Albarello: ricerca, coinvolgimento, trasformazione (p. 147).
La soglia della “ricerca” invita ad accostarsi ai libri biblici come ad una scuola di umanità: una scuola dove si parla di relazioni tra gli esseri umani, di paternità e di maternità, di fraternità e di sororità, di utilizzo dei beni della terra e di doveri di solidarietà nei confronti dei poveri, di violenza e di trasgressione, di religione e della sua possibile strumentalizzazione, di morte e di vita, di bene e di male, di liberazione e di schiavitù… Alla scuola delle Scritture, il lettore «è accompagnato ed è ispirato a dare forma buona a queste esperienze comuni dell’esistenza, rimanendo in sintonia con il proprio desiderio e rispondendo alla propria domanda di senso» (p. 148).
La seconda soglia da oltrepassare «è quella in cui il lettore si sente spinto a confrontare la propria storia personale con le vicende che trova raccontate nella Scrittura. In effetti, la Bibbia non si presenta immediatamente come una raccolta di formule dottrinali o di principi filosofici e teologici, bensì proprio come una raccolta di storie. La vicenda di Gesù sta al centro» (p. 148). La frequentazione assidua e orante delle Scritture crea le condizioni affinché il lettore «faccia l’esperienza di un incontro coinvolgente con Gesù, che viene progressivamente scoperto come il testimone di uno stile di esistenza che vale la pena di condividere, nella prospettiva di un cammino di continua maturazione umana» (p. 149).
L’ultima soglia da superare è quella che porta il lettore delle Scritture, che – come si legge nella lettere agli Ebrei – penetrano «fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito» (Eb 4,12), a sperimentare che il mondo biblico ha la capacità di rigenerare il nostro. Lo spazio delle Scritture, infatti, è in grado di «ospitare chiunque si lasci coinvolgere, per renderlo partecipe di quella energia di trasformazione e di salvezza, che solo il Dio di Gesù Cristo è capace di promettere e mantenere fino in fondo» (p. 150).
Una città a misura d’uomo (giusta, sostenibile, collaborativa e ospitale)
Da tempo si è soliti dire che il mondo è diventato un villaggio globale. In realtà esso è diventato e diventerà sempre di più una città globale. Il 21° secolo sarà il secolo delle città. Le aree urbane stanno diventando la forma organizzativa centrale per quasi tutte le società umane. La popolazione urbana globale potrebbe passare dagli attuali poco meno di 4 miliardi a 7,5 miliardi nel 2050: ciò significa che circa i due terzi dell’umanità abiterà in aree urbane.
Come la città si svilupperà dipende non solo da fattori esterni, ma anche dalle vie che le persone che la abitano sapranno esplorare per vivere insieme e per creare nuove identità e nuove solidarietà che rendano possibile una vita buona per tutti in quanto vissuta all’insegna dell’ideale di una città pienamente a misura d’uomo. «Giusta, ossia rispettosa della dignità e della legalità. Sostenibile, ovvero basata su un uso delle risorse volto a contrastare tanto la disuguaglianza sociale quanto quella ambientale.
Collaborativa, cioè in grado di riconoscere ogni cittadino come portatore non solo di interessi e bisogni da soddisfare, ma pure di abilità e competenze da condividere. Ospitale, dunque aperta a promuovere l’integrazione invece del rifiuto» (p. 5).
Nella città a misura d’uomo i cristiani hanno, tra l’altro, la responsabilità di dire chiaro e forte che il Dio attestato dalla Bibbia «si schiera al fianco delle vittime e pronuncia il suo amen sull’impegno umano contro l’ingiustizia e la prevaricazione dispotica» (p. 114).
DUILIO ALBARELLO, A misura d’uomo – La salvezza per la città, ed. Messaggero, Padova 2019, pp. 168, € 15,00.
Perchè qua dentro risponde mai nessuno? Non c’è mai stata tanta solitudine nella Chiesa come da quando si parla sempre di accoglienza…
Il mio commento è che molte chiese di Milano sono spesso chiuse e se aperte non c’è nessuno con cui dialogare. In poche parole gli spazi concreti per creare aggregazione sono quasi inesistenti e vanno cercati nel volontariato anche laico, nell’associazionismo, nell’impegno sociale di gruppi di cittadini, ma sono impraticabili nelle chiese che pure sono tante, grandi e si suppone, gestite da credenti……