Insieme, i due esperti – Pius Ramon Tragan e Marinella Perroni – offrono a biblisti e interessati al IV Vangelo una guida per orientarsi nel ginepraio delle ricerche fiorite intorno ad esso dai primi secoli ad oggi. Già da questo punto di vista l’opera merita un sincero plauso. Un altro plauso va per l’equilibrio affermato e cercato tra il metodo storico-critico e quello in voga oggi della narratologia: il primo cerca la diacronia, ossia le origini di Gv e la sua formazione e redazione, attraverso il compositore o i compositori originali (Giovanni e suoi discepoli) e i vari momenti dell’opera finale; il secondo, invece, pur non ignorando il primo, si concentra sul testo finale, lo prende come unità letteraria e tematica e lo scandaglia come tale.
È bene – affermano gli autori – ricorrere ad ambedue i metodi, perché ambedue utili e complementari per un vangelo come quello di Giovanni, ricco di dati, temi e anche difficoltà e aporie, facilmente riscontrabili da qualunque lettore attento.
Affermata quell’impostazione nelle prime parti e in un’appendice, il volume passa poi ad applicarla ad alcune pagine giovannee, come alcuni segni miracolosi, il discorso sul pane di vita, la lavanda dei piedi e gli eventi pasquali. Una ricca bibliografia completa il volume.
Qualche osservazione critica. L’applicazione esegetica a quei testi mi sembra ancora immatura – come riconoscono gli stessi autori –, ma comunque il loro tentativo è buono e può essere imitato.
Già nel Prologo di Gv è messo in risalto un confronto tra il “dono” della legge divino-mosaica e la “grazia” vera che è la “carne” dell’uomo crocifisso e risorto; quel confronto riceve un ricco sviluppo nel resto del IV vangelo, non solo con il rimando a feste e riti giudaici come quelli di Pasqua e non solo, ma anche con termini e temi molto importanti: anche nella Toràh si potevano trovare Parola e Sapienza di Dio, via verità e vita, pane e bevanda di vita, acqua di purificazione, luce e rivelazione, salvezza e gloria di Dio ecc., ma tutto questo venne superato con la “carne” di Gesù, più divina dunque della divina Toràh e più ancora dei suoi fedeli giudei.
Orbene, di questo confronto non trovo quasi nulla nel libro in questione. Perché? Forse per non ostacolare il già difficile dialogo moderno ebraico-cristiano?… Ma non sarebbe fuorviante una tale preoccupazione in un lavoro biblico su un testo antico? Forse la ragione è un’altra, ma non la vedo.
Pure in questo libro, come in tanti altri recenti, si dice che anche in Gv si riflettono, oltre alla storia di Gesù e dei suoi contemporanei, temi e problemi delle Chiese primitive. Nessun dubbio al riguardo. Tuttavia, conviene ricordare che lo sfondo socio-religioso dei quattro Vangeli è molto più conforme a quello degli anni 0-35 che a quelli delle prime Chiese. Per esempio: un fatto come quello del 70 d.C. ha scarsissima eco nei Vangeli; in questi non si parla mai di vescovi, presbiteri e diaconi; nemmeno del problemaccio della circoncisione; così di idolatria e schiavitù; non c’è accenno a una Chiesa come quella di Antiochia e alla sua forza missionaria; la cristologia è ancora incerta e imprecisa, compresa quella alta giovannea; gli apostoli, Pietro in primis, fanno brutte figure, quasi non fossero le “colonne” delle Chiese ecc.
Sviluppo anch’io questi punti nel mio libro Credere ai Vangeli? Perché? (Elledici 2010). Sarei quindi più cauto nel vedere troppi riflessi delle Chiese primitive nei quattro Vangeli.
Queste critiche però non oscurano il sostanziale valore del libro in questione.
Pius Ramon Tragan – Marinella Perroni, “Dio nessuno l’ha mai visto” (Gv 1,18). Una guida al vangelo di Giovanni, San Paolo, Cinisello B. (MI) 2017, pp. 356, € 35,00.