Il corpo nel Salterio

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Il corpo in preghiera

Il quarantacinquenne docente stabile straordinario di esegesi dell’AT a Bari, professore invitato alla Gregoriana e all’Angelicum, intende recuperare la centralità della dimensione corporea dell’uomo, così come è proposta nella Bibbia e in specie nel libro dei Salmi. Per troppo tempo il corpo ha patito una marginalizzazione, se non un disprezzo, a vantaggio della dimensione spirituale – l’“anima” –, altamente lodata.

Per questo l’autore, affrontando da principio il tema dell’uomo di fronte alla morte così com’è presentato nei testi biblici, analizza la terminologia antropologica impiegata nella Bibbia, che ha una visione olistica dell’uomo.

Il lēb rappresentata il cuore come centro intellettivo-volitivo, ma può esprimere in vari contesti anche l’encefalo, il temperamento, l’angoscia, il desiderio, il coraggio, il discernimento e la coscienza etica e religiosa.

A partire dal suo significato letterale di “gola” e quindi anche di “respiro” che passa attraverso di essa, nepeš indica per estensione anche il desiderio, la brama/fame e la vita.

Bāśār, da parte sua, rappresenta il corpo come spazio simbolico di rapporto con la realtà circostante e quindi, oltre al significato base di “carne”, di tutto l’uomo visto nella sua fragilità, assume anche quelli simbolici di ritualità, dolore/lutto, lode, supplica e fragilità.

Infine, rûaḥ indica lo spirito umano e la forza divina, oltre al vento e allo spirito profetico.

La morte è vista come il termine naturale della vita, che può essere sperimentata traslatamente anche come angoscia e amarezza. La vita oltre la morte si volge nello še’ôl, luogo neutro, ma soprattutto spazio di vita umbratile, luogo dell’oblio dove rimane solo un barlume di speranza.

Il capitolo primo si chiude con una breve trattazione del tema della preghiera nell’AT. Essa si connota come ricordo e invocazione di salvezza, risposta al bene ricevuto, spesso elevata durante il culto e ospitante come protagonista il corpo.

Nel c. II Pinto analizza brevemente il libro dei Salmi, che veicolano la fede in forma poetica. Le singole composizioni non sono nate tutte durante il culto, ma spesso lungo la strada, contemplando varie realtà che erano espressione di ciò che era sperimentato dall’orante. Sono state riunite e rielaborate successivamente da persone istruite nel campo teologico e liturgico.

Il c. III è dedicato espressamente al contenuto principale del libro. Esso analizza il ruolo del corpo nei salmi attraverso lo studio dei salmi 25, 38, 42-43 e 51 (collegato al 50). Il corpo sembra seguire un percorso espressivo interessante: da un corpo perseguitato si passa ad un corpo devastato, quindi assestato e, infine, risanato.

Il c. IV approfondisce cinque elementi letterari e teologici da tener presenti nell’accostamento a livello culturale e orante dei salmi.

Test case di un salmo acrostico viene scelto la strofa indicata con la lettera k del fluviale Sal 119, che elogia la Legge in tutte le sue sfaccettature.

Si studia quindi, a livello storico, il rapporto di un “amore complicato” vissuto nel cristianesimo tra anima e corpo, spaziando dallo gnosticismo e dal dualismo degli inizi, fino alla realtà del corpo sospeso nel tempo post-moderno tra libertà e bisogno.

Terzo tema è quello della retribuzione, analizzato attraverso la lettura del Sal 41, «Se mi guarisci, saprò che tu mi ami».

I tre salmi cosiddetti “imprecatori” (Sal 57, 82 108) sono estati espunti dalla preghiera ufficiale della Chiesa. «L’omissione di questi testi è dovuta unicamente a una certa qual difficoltà psicologica», afferma pudicamente il n. 131 di Principi e norme della liturgia delle ore (1° novembre 1970).

Pinto studia il Sal 58 e afferma che questi salmi sono più da considerare suppliche di giustizia che non mere imprecazioni, quali sono presenti nelle liturgie coeve a Israele. Si supplica YHWH perché faccia vendetta del male che impera nel mondo e nella vita del giusto. Si lascia a lui la vendetta, la rivalsa e, nello stesso tempo, si trova la possibilità di sfogare e di verbalizzare la violenza repressa che alberga nell’animo quando si patisce una sofferenza ingiusta. Sono testi preziosi (su questo tema spinoso si veda ora l’interessante volume di A. Wénin, Salmi censurati. Quando la preghiera assume toni violenti [Studi biblici 83], EDB, Bologna 2018).

L’ultimo paragrafo è dedicato da Pinto alla possibile lettura “femminista”/al femminile di vari salmi, letti sempre e solamente con occhi e sensibilità “maschile”, se non maschilista, degli esegeti-uomini. L’autore esamina il caso del Sal 55 considerandolo come espressione addolorata di una donna stuprata (egli rinvia al racconto della brutale violenza subita da Tamar da parte del fratellastro Amnon, riportata in 2Sam 13,8-20). Un appello a una lettura “duale” di genere nell’accostarsi al Salterio va accolta positivamente.

La bibliografia è riportata a pp. 157-161.

Il linguaggio di Pinto è chiaro, sintetico e ben documentato di testi biblici. Le note sono molto sintetiche e il volume è arricchito da vari brani di padri della Chiesa. La trattazione del libro di Giobbe poteva accennare anche alla posizione dell’esegeta Borgonovo e distinguere tra il testo in prosa e quello in poesia. A p. 96 il zebaḥ tôdāh di Sal 50, interpretato da Pinto come sacrifico con giustizia, rispetto a quello compiuto in un contesto di ingiustizia, si può leggere anche come «sacrificio consistente nella confessione di colpa» (cf. il suggerimento di Alonso Schökel). Questo è il sacrificio gradito a Dio. Non è neanche un “sacrificio di lode” (CEI), ma appunto un’ammissione di colpa, il cui contenuto può essere intravisto proprio nel Sal 51 che segue, salmo penitenziale strettamente collegato al Sal 50.

Libro molto utile, su un tema che va sempre tenuto presente, per non perpetuare uno stereotipo sbagliato nell’accostarsi al tema della corporeità.

Sebastiano Pinto, Il corpo in preghiera nei Salmi, Collana «Studi biblici» 85, EDB, Bologna 2018, pp. 168, € 19,50.

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