Dall’epistemologia alla pop-theology

di:

staglianò

Uno sguardo anche sommario a ciò che accade in più contesti culturali e di diverso orientamento permette di verificare l’esistenza di un bisogno oggettivo che li accomuna e teso a superare vecchi dualismi, ereditati da certa modernità, come ad esempio scienza e filosofia, scienza e arte, scienza e metafisica, scienza e fede. Tali dualismi, col loro portato intrinseco di assolutismi vari, hanno funzionato per molto tempo da veri e propri «ostacoli epistemologici» e sono stati spazzati via dalle «rotture epistemologiche» provocate dai risultati scientifici del Novecento, per usare delle espressioni diventate quasi di uso comune anche se il nome del loro autore Gaston Bachelard non è noto abbastanza.

Bachelard pose le basi di un «nuovo pensiero», per rinnovarlo e per ripensarlo ab imis col creare un nuovo lessico filosofico nel dare anche a certi concetti e categorie tradizionali un nuovo significato; ed il confronto costante con gli «avamposti» del pensiero scientifico e soprattutto l’essere stato «un filosofo delle 24 ore» (Gaston Bachelard, filosofo delle e tra le 24 ore, 6 agosto 2020). Il fatto di essere stato attento, da una parte, alle esigenze «diurne» della razionalità e, dall’altra, a quelle «notturne» della rêverie, o immaginazione poetica, gli ha permesso di mettere in atto un vero e proprio «pensiero della relazione», proposta avanzata in un’opera del 1949, e di tracciare una delle prime vie della complessità, come ha sottolineato Edgar Morin, tanto da considerare bachelard uno dei suoi «filosofi» (Come svegliarci grazie al fare nostri ‘i miei filosofi’ di Edgar Morin, 29 dicembre 2022).

Può essere tale anche per noi oggi, dato che in diversi contesti si ritiene più che mai necessario «ripensare il pensiero» dalle fondamenta per mettere da parte in modo definitivo i vecchi dualismi e avviare un dialogo costruttivo tra i saperi, esigenza che ha trovato nel pensiero complesso una delle massime espressioni.

Siamo come intera comunità pensante impegnati a superare, grazie alla nostra tradizione di pensiero critico europeo, quei «restringimenti ideologici che hanno subito la scienza, la filosofia e la stessa esperienza della fede», per dirla con parole di Benedetto XVI, risultato questo a cui sono pervenute nel corso del Novecento le più sane esperienze di pensiero, sia nel mondo laico sia in quello dei credenti, oggi obbligate a fare fronte comune e ad essere unite nel combattere un altro recente e più subdolo fenomeno, il cosiddetto cancel culture, fenomeno da contrastare con tutte le armi che si hanno a disposizione.

Ripensare il pensiero

Dopo Il Manifesto. Per una riforma del pensiero del 2021 di Piero Coda e altri (Per una ragione agapica: il dono del Manifesto, 21 luglio 2022), viene ritenuto sempre più urgente un altro impegno orientato in tal senso e teso a «ridestare l’intera ragione», visto come «compito impellente per una riflessione filosofica credente in grado di farsi carico dell’analisi antropologica dell’esperienza», da parte di Antonio Staglianò in Ripensare il pensiero. Lettere sul rapporto tra fede e ragione a 25 anni dalla Fides et ratio, con prefazione di papa Francesco e postfazione di Giulio Goggi (Marcianum Press, Venezia 2023).

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Pur rivolto in primis al mondo ecclesiale per gettare le basi di un pensiero più omogeneo, ritenuto «indispensabile per la stessa missione dell’evangelizzazione», in esso emerge la coscienza critica, sottolineata a più riprese, del fatto che oggi più che mai la differenza non è più quella tra credenti e non credenti, ma tra coloro che pensano e coloro che non pensano.

Tale esigenza teorico-esistenziale era stata del resto pienamente avvertita negli anni Settanta da figure operanti in contesti diversi, come Paolo VI nella Populorum progressio ed Edgar Morin in La Méthode, con il comune evidenziare il fatto che «si muore per mancanza di pensiero» e la necessità di avere «uomini di pensiero di riflessione profonda» per abitare pienamente la contemporaneità.

Oggi tutto ciò si impone a maggior ragione per la gravità e la complessità dei problemi dell’Antropocene, periodo riflessivo in modo strutturale per le diverse sfide globali in esso presenti come viene ritenuto da più parti (Per una visione agapica dell’Antropocene, 3 marzo 2022), problemi che stiamo «abitando» in modo non consono sulla nostra pelle, in quanto sono stati affrontati con strumenti ancora ostaggio del «paradigma della semplificazione», come lo ha definito Mauro Ceruti, e che richiedono interventi radicali non più rinviabili.

Da tutto ciò emerge la necessità di lavorare a una nouvelle raison ouverte e sur-rationelle, complexe, distribuée, dispersée, come la chiamava già Gaston Bachelard, in grado di porre fine ai suoi stessi assoluti e di porre le premesse per una rinnovata visione antropologica basata strategicamente sul «tra», sull’entre ad ogni livello nel mettere al centro la relazione (Una filosofia del tra, 8 ottobre 2020 e Una storia della filosofia sulle orme di Simone Weil, 22 giugno 2023).

Essa non può non essere, pertanto, che poliedrica e policentrica e così lavorare a tal fine diventa «importante per il dialogo tra pensanti» nel porre come strategica «la questione della figura della ragione», come scrive a sua volta Staglianò. Non è dunque un caso se tale figura di teologo-pastore è impegnato nel dare vita alla Pop-Theology che nasce non a caso nello stare «tra» i problemi e i bisogni reali, nel partire dai «travagli della storia concreta, dalla vita dei popoli», come scrive Papa Francesco nella prefazione.

Ma tale approdo è anche frutto degli interessi costanti verso problemi di natura epistemologica che caratterizzano i suoi numerosi lavori sul senso della ricerca in campo teologico dove si ritiene più che mai necessario ed urgente lavorare al «recupero ad intra della razionalità della fede» in una prospettiva basata in modo programmatico sulla «interazione positiva di tutti i saperi senza indebite esclusioni» e sul «sinergismo tra scienze e saperi».

E questo non comune percorso si sostanzia dell’apporto trovato negli «studi di Popper, Kuhn, Laudan fino all’anarchismo di Feyerabend serviti a fondare nell’epistemologia scientifica il grande tema della complessità»; complessità che ha ricevuto ben altre e più incisive configurazioni concettuali in altri territori del nostro patrimonio scientifico ed epistemologico dove ha giocato un ruolo determinante la piena metabolizzazione epistemica della storicità della scienza.

In tali contesti, già dai primi decenni del secolo scorso, ha preso piede, più che nelle epistemologie prese in esame, la stessa critica sia alle posizioni scientiste che a quelle dell’anti-scienza col combattere le conseguenziali derive nichilistiche, giustamente denunciate da Staglianò come «tarli della ragione» in quanto hanno portato all’«oblio della verità» e impedito di fatto la formazione di una più autentica «scienza dell’uomo» che faccia «dell’interazione di tutti i saperi», e non della loro separazione, una vera e propria fonte di Siloe di cui «fare tesoro» nel senso biblico dei Proverbi.

Superare le fratture

Alla luce di tali presupposti finalizzati a «ripensare il pensiero», Staglianò nel suo ultimo lavoro continua a confrontarsi con la Fides et Ratio di Giovanni Paolo II, enciclica frutto della piena presa in carico delle conseguenze della riapertura del «Caso Galileo», che ha avuto il merito di abbattere uno degli ultimi dualismi o «bastioni», tale da fare assumere al secolare conflitto tra scienza e fede «ormai un sapore archeologico».

Tale conflitto «non appartiene più alla coscienza culturale contemporanea» in quanto basato su incomprensioni e soprattutto su quella che il pontefice polacco ha chiamato «dittatura del letteralismo biblico», arrivando a definire Galilei un «dono di Dio», per averci liberati da tale ostacolo e aver aperto la strada ad una più proficua ermeneutica dei testi sacri, e a tracciare per questo una via verso la complessità (Giovanni Paolo II: una via della complessità in discesa, 24 settembre 2020).

Ripensare il pensiero si avvale di diverse Lettere-saggio indirizzate a figure del passato come Tommaso d’Aquino, Pascal e a figure del Novecento, come Benedetto XVI, Carmelo Ottaviano ed altre che si interrogano sui percorsi di Rosmini, la cui «filosofia giace occulta nelle viscere della cristiana teologia in quanto tesa a rifondare la filosofia» e di Emanuele Severino per verificare alcuni punti nodali della Fides et Ratio.

L’obiettivo strategico è quello di superare «le fratture moderne tra fede e cultura, verità e storia», di ridare al sapere teologico una più precisa dignità epistemica nel porsi «oggi in ascolto delle scienze e degli altri saperi», nel presentarsi sempre più come «forma critica del sapere della fede» grazie alla Fides et Ratio e forte anche delle esperienze di vita e di pensiero di Newman, Florenskij e Bonhoeffer con le loro «diverse logiche della conoscenza» (P. Florenskij: il fuoco della verità, 16 gennaio 2020 e Il ‘caso limite’ di D. Bonhoeffer, 20 luglio 2023), col superare «il riferimento normativo al modello tomistico-neoscolastico».

Ma Staglianò è sempre attento agli avvertimenti epistemologici provenienti da più parti e tesi ad andare «oltre il riduzionismo» per rimettere al centro «la questione della verità» che è la base della stessa Fides et Ratio, ritenuta un «testo autorevole destinato a contribuire alla rifondazione dell’orizzonte culturale cattolico per il terzo millennio» e di tutti coloro che – credenti o meno – si interrogano sulle sfide globali del XXI secolo.

Tale testo ha avuto il merito di «ritornare a pensare ripensando il pensiero», di dire diversi e «pertinenti No», in senso bachelardiano, sia al concordismo sia alla posizione di contrapposizione netta tra scienza e fede, non a caso definite sulla scia del Caso Galileo da Giovanni Paolo II vere e proprie «insidie epistemologiche» che una sana riflessione deve individuare e mettere da parte.

Convergere nell’unità

Oggi il compito del più sano pensiero filosofico-scientifico è quello di cogliere «la polifonia delle forme della ragione» e di richiedere molte «prospettive di accesso alla verità». Si tratta del criterio basilare del pensiero complesso che, dove lo si invita a essere protagonista diretto, è in grado di generare a ogni livello processi di rifondazione in grado di incidere sulla trasformazione della realtà umana (e non), facendoci capire, come già hanno ben individuato prima Pierre Teilhard de Chardin e ultimamente Mauro Ceruti, che cultura e natura non sono separate, che «il futuro del cosmo e quello dell’uomo interagiscono profondamente».

Tutto ciò per Staglianò contribuisce, una volta «guadagnata l’autonomia metodologica delle singole scienze», a rimettere al centro «il problema più serio quello del loro convergere nell’unità», problema giustamente ritenuto «non semplice» per i processi di specializzazione in corso.

Ma una volta riconosciuto sul piano epistemico che la diversità dei vari approcci messi in campo deriva da come «ogni disciplina scientifica si rapporta alla realtà per conoscerla», bisogna lavorare alla «integrazione in una unica scienza dell’uomo frutto della convergenza di tutti i saperi disponibili» per superare i vecchi dualismi e mettere in campo l’idea che «oltre la scienza c’è effettivo e reale sapere critico», dono razionale che pure a fatica abbiamo conquistato grazie al confronto-scontro con le ragioni della scienza frutto a loro volta delle leonardesche «infinite ragioni del reale».

In esso possono giocare un ruolo non secondario, per Staglianò, in particolar modo le cosiddette scienze dello spirito e la stressa teologia, che in futuro potrà non essere più denominata «scienza», senza per questo rinunciare «al suo ruolo di investigazione razionale sul sapere della fede».

Si perviene, in tal modo, a prefigurare «una nuova figura di teologia, criticamente più avvertita del suo strutturale rapporto con la fede ed il suo sapere», come forma di «mediazione in una cultura complessa ed in movimento» sino a forgiare «in continuazione le categorie linguistiche generali con le quali rappresenta sé stessa ed il proprio mondo».

Così un percorso di natura epistemologica, le cui radici sono il frutto della piena metabolizzazione di quelle vere e proprie risorse metacognitive presenti nella Fides et Ratio e che possono far parte del nostro «piccolo Pantheon portatile» sia credenti e meno, per usare un’espressione di Alain Badiou, ha portato Antonio Staglianò a tracciare la Pop-Theology, un percorso nato con l’obiettivo di «dialogare con tutti», che «sappia parlare il linguaggio di tutti e di tutti si faccia interprete», di essere «una teologia per tutti che si mette – come deve per statuto epistemologico – al servizio di tutti e di tutti i saperi».

La proposta è mossa da una «precomprensione pastorale» ed è rivolta in primis a cominciare dal non facile, ma necessario «processo di “ripensare il pensiero”», che rimane ed «è l’impresa più ardua per tutti, oggi», anche perché abbiamo come comunità pensanti (e non) l’obbligo primario di non continuare a «mentire sul reale», come è stato fatto sinora, in quanto se si procede su tale strada il reale prima o poi «si vendica», come ci ha avvertito Simone Weil già negli anni Trenta.

  • Dalla rivista di cultura Odysseo, 14 dicembre 2023
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