La prima impressione nel leggere i 201 folgoranti commenti ai versetti evangelici da parte del beato De Foucauld è stata quella di trovarmi non negli anni 1897–1898 a Nazareth, ma nel pieno dell’aria fresca ed evangelica sparsa dalla persona, dalle parole e dai gesti di papa Francesco.
De Foucauld è modernissimo, con un atteggiamento spirituale aperto, sereno, senza alcuna paura o remora alcuna verso gli uomini del suo tempo, pur immerso nella sua ricerca dell’amore di Dio. Partito con un intento di fuga mundi e di fondazione di monasteri, si troverà alla fine del suo percorso – come ha ben dimostrato Daniele Gianotti sul n. 50 di Settimananews – a essere totalmente immerso nella condivisione della vita dei tuareg, con un’esile fila di sassi a delimitare la su abitazione. Nel commentare i versetti tratti dai sinottici (93 da Mt, 65 da Mc e 43 da Lc) si avverte l’amore totale che egli viveva per Dio e per i fratelli. Nel commento sottolinea talvolta l’aspetto dell’amore di Gesù per Dio, ma quasi sempre la sua riflessione verte sull’amore che il cristiano è chiamato a vivere verso gli uomini. «Questo è il principio su cui dobbiamo basare ogni nostro comportamento con il prossimo, nei pensieri, nelle parole e nelle azioni. Dobbiamo sempre tenerlo presente, e pensare, agire e parlare di conseguenza: Dio è Padre di tutti gli uomini, li ama tutti come il più tenero dei Padri, e vuole che essi si comportino gli uni gli altri proprio come un tenero padre vuole che i suoi figli si comportino fra loro» (p. 35).
Tenerezza, misericordia, piegare il cuore, essere delicatissimi nelle piccole cose e nei minimi dettagli… Un linguaggio attuale per la vita del cristiano oggi. Facciamo il bene non solo «all’ingrosso», «ma con la più delicata attenzione, curando anche i minimi dettagli, con una tenerezza, una bontà, un amore così vasti, profondi, estesi, così grandi da abbracciare tutti, estendersi a tutti, arrivare a tutti…» (p. 117).
Il commento alle beatitudini è attento a cogliere il cuore di Dio Padre e di Gesù, sottolineando l’amore, la nonviolenza attiva, l’amore senza limiti verso tutti, perché tutti sono in qualche modo membra del Cristo e quello che di bene si fa agli uomini, lo si fa al Cristo stesso. Mt 25,40 è citato tantissime volte. Amare il prossimo in Dio, venendo incontro ad ogni richiesta, eccetto a quella malvagia che viene dal diavolo. Va dato al fratello quello che Gesù gli darebbe, ma non il male. «Fare tutto come l’avrebbe fatto Gesù». In ogni caso, va ben distinta la persona del fratello dal peccato da lui commesso. «Dobbiamo sempre donare, ma, donando a Gesù, dobbiamo dare ciò che è santo e ragionevole, quello che egli chiede, quello che egli donerebbe al nostro posto, ma dobbiamo rifiutare a una delle membra del diavolo quello che il diavolo chiede…» (p. 40). Dobbiamo fare tutto quello che è in nostro potere, con obbedienza all’autorità (che per lui era il suo padre spirituale), per fare del bene alle anime e al corpo dei fratelli, mai l’una cosa senza l’altra. Amare tutti senz’altro, ma con una preferenza per i poveri, le membra malate e malridotte del Cristo. Sarebbe un «follia» profumare e onorare le membra sane del Cristo e trascurare le malate, «i peccatori, gli sfortunati, i malati, i poveri, tutti i bisognosi… Facciamo bene attenzione a non commettere questa follia» (p. 111) Senza omettere la cura del membro sano del Cristo, la preferenza va all’attenzione tenera, concreta, immediata, attiva verso chi è più nel bisogno. Occorre condividere, e condividere tutto, sia il pane che il pesce, senza tenersi il pesce e dando ai fratelli il pane secco… Dobbiamo obbedire a Gesù, seguire il suo esempio, praticare il suo precetto. È tutto l’uomo che va curato, e il bene fatto al corpo lo fa anche all’anima… Certo il primo nutrimento da dare ai fratelli è l’insegnamento del Vangelo («il nutrimento dei nutrimenti») e il dono dell’eucaristia. Un apostolato zelante per chi vi è chiamato, la santificazione personale, la povertà, la penitenza, l’esempio, la preghiera per chi è chiamato a una vita più solitaria nella sequela di Gesù. Chi evangelizza e compie il santo ministero deve comunque «trasformare il ritiro, il silenzio e il lavoro manuale di Nazareth nell’opera spirituale di pescatori d’anime (continuando comunque in questa vita pubblica come in quella nascosta a praticare la povertà, la preghiera, la penitenza, il raccoglimento… a santificare il prossimo… con la santificazione personale di noi stessi, con le nostre preghiere, le nostre penitenze, il nostro esempio…» (p. 119).
Si tenga ben presente, sottolinea De Foucauld in modo che torna utile anche ai nostri giorni, che la legge è per l’uomo e non l’uomo per la legge. Il sacrificio è cosa buona, ma è un consiglio di Gesù. La misericordia invece è un precetto di Gesù, perché il nome di Dio è misericordia, e va sempre eseguito. «La misericordia è… l’amore, il cuore, “cor”, piegato verso i sofferenti, i miseri, i bisognosi, i miserabili, “miseri”… Amiamo molto i buoni, ma occupiamoci anche di più dei peccatori; amiamo i sani e i ricchi, ma occupiamoci di più dei poveri e dei malati. Il nostro cuore si pieghi verso il misero, ovunque si trovi… È a Gesù che lo facciamo, sì, proprio a Gesù» (pp. 27-28). Amare in Dio il prossimo, e dimenticanza di sé. «Dimentichiamo noi stessi per amore delle anime: nei nostri discorsi non parliamo di noi, chiediamo a Dio di ispirarci ciò che può fare il maggior bene possibile alle anime…; questa sia la nostra regola generale in tutte le nostre conversazioni: dire esclusivamente ciò che è più utile a fare del bene alle anime, a glorificare Dio» (p. 145).
Parole e gesti sono intrinsecamente connessi, ed è questo che colpisce le persone guardando alla figura di papa Francesco. «Noi riteniamo sia una cosa buona essere amati, che si abbiano per noi buoni sentimenti, buone parole, fiducia, rispetto nei pensieri, nelle parole e nelle azioni, che si abbia nei nostri confronti compassione, condivisione della gioia, tenero interesse, devozione, misericordia, clemenza, discrezione, beneficienza, delicate attenzioni, generosità, dimenticanza degli errori… Facciamo lo stesso agli altri» (p. 193). Nel fratello è presente Gesù, il Figlio di Dio.
Carità globalizzata, dunque. Ma sempre sull’onda del movimento del cuore di Gesù, venuto sulla terra «per amore di Dio… per obbedire alla sua volontà… Tu vieni con un grande amore per gli uomini, uniformando perfettamente il tuo cuore al cuore di Dio, che ama gli uomini fino a donare per essi il suo unico figlio» (p. 14). «Facciamo la stessa cosa… Sopportiamo tutto ciò che Dio ci presenta, ci chiede, ci impone di soffrire, amorevolmente, generosamente, con spirito di obbedienza e di sacrificio, sull’esempio del nostro sposo non rifiutiamo nulla da Dio, non rifiutiamo nulla a Dio, neppure la corona di spine, gli sputi e la croce.
De Foucauld è rimasto segnato per sempre dagli anni di vita nascosta trascorsi a Nazareth. Mi piace concludere con queste sue parole, che mi sembra esprimano bene la radice del suo essere, del suo fare, del suo donarsi fino alla morte violenta. «Mio Dio, tutto tace, tutto dorme. Eccomi ai tuoi piedi nella tua piccola casa di Nazareth, tra la santa Vergine e san Giuseppe; mi stringo a te, ti guardo, ti dico sottovoce che ti amo, ti adoro in silenzio, mi perdo con i tuoi santi genitori in tua adorazione e contemplazione. Mio Dio, ti amo, ti amo, ti amo: seppelliscimi con i tuoi genitori nel tuo amore, fammici sprofondare, fammici annegare con loro, fammi morire a tutto ciò che non sei tu, e fammi respirare solo per amare te e fare la tua volontà. Mio Dio, ti adoro: fa’ che io ami te!» (p. 147).
Charles de Foucauld, Dio di misericordia. Commento spirituale ai Sinottici, Collana «Dimensioni dello Spirito», San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2016, pp. 2016, € 12,00.