Cosa può dire la psicoanalisi sull’intreccio non inconsueto di santità e disagio? Come distinguere un’autentica esperienza mistica da un disturbo della mente? Pubblichiamo un estratto dal volume del gesuita e psicologo brasiliano Ricardo Torri de Araújo, Oltre il confine. Esperienza mistica e psicoanalisi, EDB, Bologna 2017 (qui la scheda).
Nelle pagine del nostro volume abbiamo sollevato un problema. Vogliamo provare a risolverlo. O perlomeno proporre una soluzione. Di seguito, raccogliendo contributi di numerosi autori,[1] elenchiamo una serie di criteri che possono aiutare a discernere – o a fare una diagnosi differenziale – tra mistica e psicosi.
Non mancano somiglianze tra l’esperienza mistica e l’esperienza psicotica. Ma tali somiglianze sono superficiali: non resistono a un esame più accurato. Di seguito, elenchiamo sedici differenze tra mistica e psicosi o, cosa analoga, sedici indicatori dell’autenticità di un’esperienza mistica. Iniziamo dalla dinamica della relazione del mistico – o dello psicotico pseudo-mistico – con Dio o con quello che egli chiama «Dio».
Il falso mistico
Per lo pseudo-mistico, Dio è soprattutto un oggetto del cui possesso egli gode. Avendo fatto di Dio un oggetto per la soddisfazione del suo desiderio, il falso mistico, per così dire, «lo divora». Il mistico autentico, a sua volta, riconosce Dio come un altro libero e indipendente; non lo tratta come un oggetto presumibilmente capace di soddisfare il suo desiderio.
Il falso mistico stabilisce con Dio una relazione di tipo fusionale. Egli tende a perdersi, dissolversi, eliminare il proprio io nella relazione con il divino. Il vero mistico, invece, preserva la sua condizione di essere separato e, a partire da ciò, stabilisce un vincolo amoroso con Dio, riconosciuto come alterità. Il suo io e il divino non si fondono in una cosa sola, ma permangono distinti. Di fatto, nella sua proposta di relazione con Dio, lo pseudo-mistico cerca di ri-editare, facendo uso di un linguaggio religioso, la relazione di unione fusionale con il materno. Di conseguenza la sua relazione con il divino assume questi contorni o questa mancanza di contorni. Nella mistica cristiana, per quanto intima si possa pretendere che sia la relazione con Dio, si tratta ancora di un’unione, non di una fusione; l’ego umano non è assorbito dall’ego divino; l’ego personale non sparisce nell’oceano dell’Assoluto. L’unione mistica con Dio non significa una fusione con il tutto e il conseguente annullamento dell’io. In un documento pubblicato al tempo in cui Ratzinger era prefetto, la Congregazione per la dottrina della fede ha ricordato espressamente questo punto.[2]
Lo pseudo-mistico esige la presenza ininterrotta di Dio, l’oggetto del suo desiderio, e richiede la presenza costante del godimento della fusione. Egli non tollera l’assenza di Dio, non sopporta la mancanza dell’oggetto divino, non ammette la distanza da colui che lo soddisfa, non accetta, infine, la sua condizione di essere separato. Il mistico autentico, invece, accetta con serenità le apparenti assenze di Dio e, di conseguenza, l’inevitabile alternanza tra unione e separazione, presenza e assenza, consolazione e desolazione, parola e silenzio, luci e ombre, compagnia e solitudine, pienezza e vuoto, godimento e aridità, terra fertile e deserto ecc. Illustrando questa attitudine, il beato Tommaso da Kempis (1380-1471) scrive: «Se volete che sia nelle tenebre, siate benedetto; e se volete che sia nella luce, siate lo stesso benedetto. Se volete che sia consolato, siate benedetto e se volete che sia tribolato, siate ugualmente per sempre benedetto».[3]
Riuniti questi primi tre punti, possiamo, allora, affermare che, per il falso mistico, Dio è un oggetto del cui possesso egli gode, con il quale desidera fondersi e la cui assenza non tollera. Per il vero mistico, invece, Dio è un altro libero e indipendente, con cui egli desidera unirsi amorosamente e le cui apparenti assenze accetta con serenità. In linea generale, questa è la differenza fondamentale nel modo in cui l’uno e l’altro si relazionano con il divino. È facile percepire che il vero mistico si pone a partire dalla sua castrazione simbolica, cioè dalla sua condizione di essere in mancanza, mentre lo psicotico, lo pseudo-mistico, si caratterizza per il rifiuto di questa stessa castrazione. Fatta questa descrizione di carattere generale, passiamo ad alcune differenze di tipo più specifico.
Disposizione, durata, dubbio, femminilità
Un’esperienza mistica avviene a partire dall’iniziativa dell’ego del mistico che si dispone a essa e, in una certa misura, accade sotto il suo controllo. Essendo in parte deliberata, lo sconvolgimento mistico è reversibile. La separazione dalla realtà esterna è temporanea, rimanendo fino a un certo punto sotto il dominio di colui che ne fa esperienza. La crisi psicotica, invece, è qualcosa di incontrollabile, di non volontario, che si impone in maniera invasiva. Non è nel potere dell’individuo psicotico ritornare al suo stadio abituale appena lo desideri. È vero che il mistico non è capace di produrre l’esperienza di unione con Dio a suo piacimento. È, però, nelle sue mani l’iniziativa di disporsi perché ciò accada; e le tecniche di meditazione servono esattamente a questo. Un’esperienza psicotica, di contro, cattura la persona, che passa attraverso di essa in maniera totalizzante. Come uno tsunami psicologico, essa trascina il soggetto senza lasciargli alternativa. Non c’è, infatti, nessun controllo, la passività è completa.
La durata dell’esperienza mistica è normalmente breve. Come abbiamo visto, secondo James, la transitorietà è una delle principali caratteristiche dell’esperienza mistica. Contrariamente a questa brevità, un’esperienza di carattere ambiguo non raramente ha una durata prolungata. Essa non solo è solita durare molto, ma semplicemente può anche non finire, presentandosi come un quadro permanente e irreversibile.
Per quel che riguarda i fenomeni straordinari, le allucinazioni uditive sono tipiche degli episodi psicotici, avendo proprio un carattere centrale nella psicosi paranoica.[4] In un’esperienza mistica, invece, pur avendo alcuni fenomeni di questa natura, essi di solito sono di natura visiva e non uditiva. Nel terreno della mistica gli elementi visivi prevalgono su quelli uditivi, al contrario di quello che succede nel campo della psicosi, in cui le allucinazioni sono più frequenti. Oltre a questo, le visioni mistiche di solito coinvolgono figure di carattere benevolente e non rappresentazioni aggressive, «terrorizzanti», paranoiche, come suole succedere invece nella psicosi. Le allucinazioni psicotiche sono abitualmente bizzarre e hanno un carattere disordinato, diversamente da quanto accade nelle esperienze di tipo mistico. Si deve aggiungere ancora che, nelle esperienze mistiche, quando ci sono visioni, voci ecc. queste sono percepite come qualcosa di natura mentale, psicologica; mentre quando si tratta di un’esperienza psicotica gli elementi sensoriali presenti sono percepiti come qualcosa di reale, addirittura corporeo.
La persona che fa un’esperienza mistica crede nel contenuto della sua esperienza, ma senza escludere la possibilità del dubbio. Quando le credenze in gioco hanno un carattere indubitabile, aderendo a esse con certezza assoluta, si tratta, con più probabilità, di un fenomeno psicopatologico.
Tanto la mistica quanto la psicosi hanno a che vedere con la femminilità. Il santo indù Ramakrishna, ad esempio, si vestiva, si comportava e agiva come se fosse una donna. Il presidente Schreber, come abbiamo visto, anch’egli spiega tale magnetismo esercitato dal femminile. I mistici, a loro volta, normalmente sono donne o uomini identificati in modo femminile. Infatti non è possibile mantenere un ruolo virile davanti a Dio. Nell’unione mistica, «l’uomo» della relazione, per così dire, è sempre il divino; il mistico, sia esso di sesso maschile o femminile, fa le veci della «donna». La psicosi, invece, è caratterizzata dal fenomeno della «spinta alla donna», avendo relazioni strette con il transessualismo. Questa attrazione che l’identità femminile esercita sullo psicotico sembra derivare da un’identificazione precoce e massiccia della persona con la madre. C’è, tuttavia, una differenza cruciale nel modo in cui il santo e il pazzo si identificano con il femminile: il mistico femminilizza la sua anima, metaforicamente; lo psicotico femminilizza il proprio corpo in maniera letterale.
Sentimenti, identità, dimensione sociale, vincolo di realtà
La qualità dei sentimenti che accompagnano l’una e l’altra esperienza è anch’essa differente. Le esperienze mistiche si lasciano dietro una scia di sentimenti positivi, soprattutto una profonda sensazione di pace; le esperienze psicotiche, invece, sono associate a sentimenti negativi.
Nonostante viva una profonda esperienza di immersione in Dio, il mistico conserva il suo io e la sua identità. Più di questo, l’esperienza mistica suole favorire alla persona un arricchimento della sua personalità, avendo, infatti, un carattere integratore. La regressione psicotica, invece, ha un effetto disintegratore sulla personalità dell’individuo, producendo uno stato di disorganizzazione psichica. Ha un carattere caotico e confusionale provocando danni irreparabili al senso di identità e all’io del soggetto. In altre parole, quando si tratta di identità della persona, le esperienze mistiche integrano, organizzano, stabilizzano, promuovono, arricchiscono, rafforzano, fanno crescere. Le esperienze psicopatologiche, invece, disintegrano, disorganizzano, destabilizzano, distruggono, impoveriscono, debilitano e fanno perdere. Quelle sono umanizzanti, queste destrutturanti.
Un mistico autentico di solito è un individuo integrato socialmente, che mantiene un lato sociale. Sufficientemente adattato, capace di coltivare vincoli affettivi e di relazionarsi positivamente con gli altri, egli è una persona inserita nella comunità degli uomini, mostrandosi capace di amare e lavorare. Uno psicotico, invece, normalmente è disadattato da un punto di vista sociale. Questa differenza è coerente con il fatto che il contenuto dell’esperienza mistica suole essere all’interno di una dottrina religiosa condivisa, mentre il contenuto di un’esperienza psicopatologica frequentemente presenta un carattere strano.
Di solito, una persona che fa un’esperienza mistica cerca di condividerla con gli altri. Il mistico ama scrivere le sue esperienze o riferirle a un’altra persona, chiedendo così la testimonianza di un terzo. Nel caso di un fenomeno psicopatologico, il soggetto non presenta la stessa richiesta, mostrandosi, invece, dubbioso e riservato quando si tratta di dare informazioni sul vissuto.
Un vero mistico mantiene un vincolo con la realtà e dà mostra di abilità quando si tratta di agire efficacemente su di essa. Un mistico autentico solitamente presenta una notevole capacità di azione e un ammirabile spirito pratico; non raramente, è capace di concepire e realizzare grandi imprese. James osserva: «Sant’Ignazio è stato un mistico, ma il suo misticismo ha fatto di lui indubbiamente una delle macchine umane più potentemente pratiche che siano mai esistite».[5] Santa Teresa potrebbe essere ricordata alla stessa maniera. Uno psicotico, invece, suole girare le spalle al mondo reale, mostrandosi abbastanza maldestro quando si tratta di agire su di esso.
Gli effetti
Infine, forse il criterio più importante per verificare l’autenticità di un’esperienza mistica sono i suoi effetti sulla persona interessata: «È dai frutti che si riconoscono gli alberi» (cf. Mt 12,33 e Mt 7,16.20). Apprezzare il valore di un’esperienza basandosi sulle sue conseguenze è un procedimento raccomandato da sant’Ignazio di Loyola.[6] James a suo modo ha adottato anch’egli questo criterio.[7] Il vero misticismo stimola la crescita al bene e l’elevazione etica della persona. Quando l’esperienza di Dio è vera, essa tende a essere trasformante: tende a far cambiare significativamente la persona che fa l’esperienza e a cambiarla per il meglio. L’autenticità di un’esperienza mistica può essere, infatti, misurata sui suoi risultati.
Teresa di Gesù, ad esempio, è stata trasfigurata dalle sue preghiere. Nel Libro della vita, la santa scrive:
Tutti coloro che mi conoscevano, vedevano che in modo evidente la mia anima era trasformata e così diceva il mio confessore. La differenza era molto significativa in tutti i sensi, così evidente che nessuno poteva dubitare. Essendo prima così cattiva, dicevo io, non potevo credere che il demonio volesse con questo ingannarmi e trascinarmi all’inferno, utilizzando mezzi così contrari come il fatto di togliermi i vizi e darmi le virtù e la fortezza. Ognuna di queste grazie mi lasciava trasformata, questo io vedevo chiaramente.[8]
Anche san Francesco di Sales si rese conto del valore di tale criterio. Nella Filotea (1608) egli scrive:
Se le dolcezze, le tenerezze e le consolazioni ci rendono più umili, pazienti, trattabili, caritatevoli e comprensivi nei confronti del prossimo, più pronti a mortificare le nostre concupiscenze e le cattive inclinazioni, più costanti nei nostri esercizi, più docili e disponibili nei confronti di coloro ai quali dobbiamo obbedire, più semplici nella nostra vita, in tal caso possiamo essere certi, Filotea, che vengono da Dio; ma se le dolcezze sono tali solo per noi, ci rendono strani, aspri, puntigliosi, impazienti, cocciuti, orgogliosi, presuntuosi, duri nei confronti del prossimo e, già pensando di essere dei santarelli, rifiutiamo di sottometterci alla direzione e alla correzione, si tratta, fuor di dubbio, di consolazioni false e dannose: un buon albero produce esclusivamente buoni frutti.[9]
E nel Trattato dell’amor di Dio, il santo vescovo di Ginevra aggiunge:
Quando dunque si incontra una persona che nell’orazione ha dei rapimenti per mezzo dei quali esce e sale al di sopra di se stessa fino a Dio, e tuttavia non ha estasi nella vita, ossia non conduce una vita elevata e congiunta a Dio, con la mortificazione dei desideri mondani, della volontà e delle inclinazioni naturali, per mezzo di una dolcezza interiore, di semplicità e umiltà, e soprattutto per mezzo di una continua carità, credimi, Teotimo, tutti i suoi rapimenti sono molto dubbi e pericolosi; sono rapimenti adatti a creare ammirazione negli uomini, ma non a santificare chi li prova. […] tali estasi non sono che divertimenti e inganni dello spirito maligno.[10]
Il vero misticismo, cioè, alimenta l’altruismo, l’apertura agli altri, l’uscita da se stessi e la crescita della capacità di amare. In una regressione di tipo psicotico, si tratta, invece, di un ristabilimento del narcisismo primario, la qual cosa si traduce nella chiusura dell’individuo in se stesso. Lo psicotico si chiude egocentricamente sopra se stesso, al contrario del mistico autentico che si sente spinto verso l’altro. La dinamica del misticismo è centrifuga; quella della psicosi è centripeta. Secondo la Congregazione per la dottrina della fede la vera preghiera provoca nell’orante una carità ardente che lo spinge a collaborare nella missione della Chiesa e nel servizio ai fratelli per la maggior gloria di Dio.[11] L’aumento del sentimento di compassione e della capacità di servizio a beneficio degli altri è, infatti, uno dei principali indicatori dell’autenticità di un’esperienza mistica.
Per concludere, si aggiunga che le esperienze mistiche non sono normalmente associate ad altri elementi di carattere ibrido. Un’esperienza psicopatologica, invece, di solito non è un fenomeno isolato, ma è accompagnata da altri sintomi indicativi della confusione mentale.
Per tutto quello che è stato detto in queste pagine, come è stato possibile vedere, si possono presentare gravi e fondati sospetti circa il valore dell’esperienza mistica ed è importante conoscerla e prenderla sul serio. Ma ci sono anche altri criteri soddisfacenti per identificare il vero misticismo, il che non ci impedisce di scartare le esperienze mistiche come fenomeni puramente patologici.
[1] Cf. Ávila, Para conhecer a psicologia da religião, 119-121; J.-F. Catalan, O homem e sua religião, Enfoque psicológico, Paulinas, São Paulo 1999, 37, 93, 99; Clément – Kakar, La folle e il santo; Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana, 15 ottobre 1989; Dalgalarrondo, Religião, psicopatologia e saúde mental, 169-170; C. Domínguez, «El deseo y sus ambigüedades», in Sal terrae 84(1996)8, 620; Domínguez Morano, «Difi cultades y posibilidades hoy de la experiencia religiosa desde el área de la psicología», in Manresa 70, n. 273, 321; Id., «El Dios imaginado», in Razon y fe, v. 231, n. 1115, 35-36; Id., Experiencia cristiana y psicoanálisis, 162, 178-179, 184, 186; Id., Experiencia mística y psicoanálisis, 26, 28-33, 35-37; Id., Orar depois de Freud, 57, 67, 69, nota 29; Id., Psicodinámica de los ejercicios ignacianos, 23, 261; Font I Rondon, Religión, psicopatología y salud mental. Introducción a la psicología de las experiencias religiosas y de las creencias, México-Paidós, Barcelona-Buenos Aires 1999, 32, 66-67, 71-73, 146; A. Guirdham, Christ and Freud. A study of religious experience and observance, George Allen & Unwin, London 1959, 36, 39-40; James, Le varie forme dell’esperienza religiosa; Kakar, The analyst and the mystic, 3-4, 10, 18-20, 30-34; Leuba, Psychologie du mysticisme religieux, 267, 298; Meissner, Ignatius of Loyola, 313-314, 317, 319-320, 323, 332-333; Id., Psychoanalysis and religious experience, 151; Id., To the greater glory, 590, 594-597; Mijolla-Mellor, A necessidade de crer, 138, 152; Sudbrack, Experiência religiosa e psique humana, 40-41; Tanquerey, Précis de théologie ascétique et mystique, 952-956; Terêncio, Um percurso psicanalítico pela mística, de Freud a Lacan, 12, 118, 123, 126, 152-153, 201-202; Vergote, Dette et désir, 29, 210.
[2] Cf. Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana.
[3] Tommaso da Kempis, Imitazione di Cristo, Paoline, Milano 1990.
[4] Cf. Lacan, Il seminario. Libro III. La psicosi. 1955-56.
[5] James, Le varie forme dell’esperienza religiosa.
[6] Cf. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali.
[7] Cf. James, Le varie forme dell’esperienza religiosa; si veda anche Mijolla-Mellor, A necessidade de crer, 138.
[8] Teresa di Gesù, Il libro della mia vita.
[9] Francesco di Sales, Filotea, p. V, c. XIII.
[10] Francesco di Sales, Trattato dell’amor di Dio I, 7, 5.
[11] Cf. Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana.