Pubblicato la prima volta in francese nel 1966 con il titolo La prière de l’Église d’Orient. La Liturgie byzantine de saint Jean Chrysostome (Salvator, Mulhouse) e tradotto in italiano da Queriniana nel 1969 (La preghiera della Chiesa orientale), il libro del teologo Pavel Evdokimov viene ora ripubblicato, in un’edizione migliorata, dall’editrice triestina Asterios, con il titolo: La Liturgia di san Giovanni Crisostomo. La preghiera della Chiesa orientale.
Evdokimov (1901-1970) è considerato uno dei grandi teologi russi del secolo scorso. Olivier Clément lo riteneva «uno dei maestri della teologia e della spiritualità ortodossa del XX secolo» e anche, pensando alla sua apertura culturale ed ecumenica, «l’uomo dell’incontro tra l’Occidente e l’Oriente cristiano».
La presentazione della liturgia di san Giovanni Crisostomo, di cui si parla nel titolo, si trova negli ultimi due capitoli del libro, il VI e il VII. I primi cinque capitoli introducono il lettore nel cuore della preghiera, soprattutto liturgica, delle Chiese dell’Ortodossia. Da gustare, però, anche le pagine preziose del capitolo secondo, dal titolo «Il mondo semplice e misterioso della preghiera».
Siamo subito avvertiti che, per cogliere lo spirito dell’Ortodossia, la liturgia è «la porta regale». È indispensabile passare da essa, dalle sue preghiere, dai suoi gesti, dalle sue ardite simbologie, per scoprirne la ricchezza.
Per noi occidentali, la liturgia si riduce a un atto circoscritto nel tempo, a un precetto da soddisfare, a un rito celebrato sì insieme ad altri fratelli nella fede, ma in realtà molto spesso consumato come pratica personale.
L’Oriente ortodosso spalanca orizzonti che ci lasciano stupiti. Liturgia per loro significa «fare del mondo un tempio». Gli elementi ricavati dalla terra sono un «dono vivo che partecipa al mistero liturgico». Tutto ha una finalità liturgica: l’acqua, il legno, la terra, la pietra, il grano, la vite, l’olio, le essenze aromatiche – osserva Paul Claudel – «non sono più il mobilio della nostra prigione, ma del nostro tempio».
Per la liturgia orientale, l’universo è «un tempio cosmico», perché tutto è ordinato a partecipare al mistero liturgico. Come? Ecco la risposta di Evdokimov: «Alle azioni più ordinarie della vita come bere, mangiare, lavarsi, parlare, agire, vivere insomma, la liturgia restituisce la loro vera vocazione, quella di essere, cioè, frammenti di una dossologia universale, oggetti del tempio cosmico…, il mondo è creato per diventare liturgia, dossologia, adorazione».
E tutti sono chiamati «a restituire questo mondo a Dio come offerta, come preghiera, come “sacrificio della sera”», perché – scrive Evdokimov – «ogni uomo è un “essere liturgico”». E, nel mistero liturgico, «il tempo si spalanca e noi veniamo come proiettati là ove l’eternità si incontra col tempo».
Secondo Cabasilas, il cuore dell’uomo può accogliere Dio. E questo accade «nell’incontro liturgico in cui il Dio filantropo si dà in cibo e dove il suo “amore folle” si offre come “amore crocifisso”». E i partecipanti diventano “testimoni oculari” dei misteri celebrati.
La liturgia eucaristica non è vera se privata della dimensione comunitaria, così che «il pronome liturgico non è “io”, non è mai un singolare, ma il plurale, che designa la comunità dei fedeli». Stupenda l’affermazione di Evdokimov, a indicare questa coralità: «Le preghiere liturgiche respirano, attraverso i millenni, l’anelito di innumerevoli esistenze umane». Ancora: «L’avvenimento che viene celebrato si attualizza mediante la partecipazione di tutti», tanto che «per la sua natura di “azione comune”, la liturgia non sopporta spettatori passivi o estranei al suo movimento».
Tale partecipazione non doveva essere simbolica, ma effettiva, se un antico canone commina la scomunica a chi non partecipa alla comunione eucaristica per tre domeniche consecutive. Un altro canone antico è ancora più severo: deve essere scomunicato chi si limita ad ascoltare le Scritture senza ricevere l’eucaristia.
I capitoli VI e VII ci consegnano lo schema della liturgia bizantina come ci è stata tramandata da san Giovanni Crisostomo e da san Basilio. Veniamo così a conoscere com’era strutturata la celebrazione: dai riti introduttivi (vestizione, lavanda delle mani, preparazione delle oblate, incensazione…) alla liturgia dei catecumeni, fino al loro congedo dopo l’omelia del sacerdote. La liturgia dei fedeli comprende, inoltre, l’offertorio, il canone, la frazione del pane e la comunione. Di ognuno di questi passaggi è tratteggiato il richiamo scritturistico e il significato teologico.
Sorprendenti e inedite le pagine finali del libro, intitolate “Appendice onirica” delle quali ci fa dono Antonio Ranzolin, appassionato studioso di teologia e spiritualità orientale, autore di ottime traduzioni di scritti dell’antico Oriente cristiano.
Egli sviluppa un’intensa meditazione personale su alcuni passi di 14 autori (da Ignazio, Giustino, Ireneo, Crisostomo… a Simeone il Nuovo Teologo, Palamas, Cabasilas…). Un’autentica full immersion, quasi una contemplazione estatica della trabordante ricchezza contenuta nella “divina liturgia”.
Ancora una volta, onore al merito dell’Editrice Asterios che ci fa dono di queste autentiche perle.
Paul Evdokimov, La Liturgia di san Giovanni Crisostomo. La preghiera della Chiesa orientale, Asterios Editore, Trieste 2023, pp. 248, € 20,00.
Chi ha detto che la liturgia non è vera se privata? Chi ha detto che dev’ essere partecipata? La liturgia ortodossa testimonia quanto il nuovo messale romano sia un offesa al Signore.
Addirittura un’offesa al Signore…
Dimentica però che i compilatori nel Rito Riformato si sono ispirati a piene mani alle liturgie orientali per tantissime cose (in primis la pneumatologia) anche se il risultato finale è stato diversissimo. Comunque la liturgia è pubblica in quanto atto comune della Chiesa
La Sacra Liturgia ortodossa viene celebrata in genere in lingue astruse e incomprensibili (koinè, slavo ecclesiastico), il sacerdote non si limita a dare le spalle ai fedeli ma, spesso, è visibile a malapena, il popolo non ha accesso al presbiterio e via dicendo. Niente, ma proprio niente, a che vedere con la Messa di Paolo VI.
Quello che Lei afferma non corrisponde alla realtà dei fatti, poiché la Liturgia bizantina (sarebbe il termine più adatto, in quanto di rito bizantino ci sono, si, gli ortodossi, ma ci sono anche le Chiese Unite a Roma, i Greco Cattolici, che hanno lo stesso rito) è celebrata nella lingua parlata dal popolo nella gran parte delle Chiese. Si pensi che in Transilvania (l’odierna Romania) il primo “Messale” fu tradotto nella lingua rumena nel 1570 a Sibiu. Da allora la messa bizantina, sia nella Chiesa Ortodossa sia in quella Greco Cattolica, si è sempre celebrata in rumeno. Poi, giudicare la messa bizantina secondo le categorie della riforma liturgica postconciliare nella Chiesa Latina (“dare le spalle al popolo, vedere il sacerdote a malapena, non avere l’accesso nel presbiterio”), mi sembra per niente appropriato (per usare un eufemismo).