In un mondo che sempre più sta mostrando le sue strutturali fragilità che, se non affrontate con i dovuti strumenti, possono trasformarsi in irreversibili processi di non ritorno sia per la vita collettiva che individuale, diventa indispensabile a volte portare nel proprio piccolo Pantheon portatile – a dirla con Alain Badiou – figure che hanno attraversato con senso critico le drammatiche vicende del secolo scorso e che continuano a mandarci segnali e appelli ad affrontare con rinnovato vigore le future sfide ormai di livello planetario che ci attendono.
Tra queste è, ancora una volta, Edgar Morin, che da poco ha superato i cento anni di vita, a darci ulteriori strumenti per Enseigner à vivre (2014) e per Penser global (2015), per essere attivi protagonisti nell’affrontare l’oggi in Pour une crisologie (2016) e gettare le basi di una fratellanza universale in La fraternité, pourquoi? (2019), tutti testi disponibili in lingua italiana, come anche Cambiamo strada. Le 15 lezioni del Coronavirus (2020).
Si può a questo punto affermare, senza nessun dubbio, che attualmente nel nostro paese Morin è il pensatore più noto e presente e, soprattutto, il più sentito, fatto del resto testimoniato dal recente volume Cento Edgar Morin. 100 firme italiane per i 100 anni dell’umanista planetario, a cura di Mauro Ceruti (Milano-Udine, Mimesis 2021). Non è dunque un caso se lo stesso autore ha detto in diverse occasioni di aver sempre desiderato l’Italia, «là dove vorrei vivere, amare e morire», sia per esserci stato spesso e sia per le lontane origini sefardite quando alcuni suoi avi si rifugiarono a Livorno.
«I miei filosofi»
Questo non comune e reciproco legame culturale si è rinsaldato ancora di più con la traduzione di altri scritti, come I miei filosofi (2011) con la presentazione di Sergio Manghi e la curatela di Riccardo Mazzeo (Il Margine, Centro Studi Erickson, Trento 2021), e Svegliamoci! (Mimesis, Milano-Udine 2022), apparso nella significativa collana “La sfida della complessità” diretta da Mauro Ceruti.
Tali testi ci aiutano a capire meglio, da un lato, la formazione e la genesi del pensiero di Morin e, dall’altro, la sua continua esortazione a prendere atto delle diverse crisi che stiamo attraversando, molte delle quali possono essere irreversibili per la nostra stessa sopravvivenza sul pianeta Terra.
I miei filosofi, riproposto per la seconda volta in edizione italiana, si rivela particolarmente utile, come afferma Sergio Manghi nella presentazione dal significativo titolo “I maestri di un maestro” e già autore di una monografia del 2009 sul suo pensiero ecologico, per tenere strettamente intrecciate la dimensione privata, o meglio quelle che vengono chiamate da Morin le sue «caverne interiori», alle analisi dei problemi sociali, antropologici, ecologici dei quali «quelle caverne sono parte».
In tal modo “i maestri di un maestro” quali sono stati non solo figure di filosofi tradizionali come Eraclito, Montaigne, Cartesio, Spinoza, Rousseau, Kant, Hegel, Marx, Husserl e Heidegger, ma anche figure appartenenti ad altre tradizioni spirituali come Buddha e Gesù, hanno permesso a Morin di non dipendere da un «maître a penser unico», quanto «piuttosto da una costellazione di stelle». In maniera ancora più incisiva, infatti, hanno irrobustito tale percorso esperienze di pensiero e di vita, da un lato, «i pensatori della scienza e gli scienziati», come ad esempio Gaston Bachelard, Henri Bergson, Jean Piaget, John von Neumann, Heinz von Foerster, Niels Bohr, i cibernetici, altri pensatori meno noti ma strategicamente importanti come Jean Ladrière, Jean Desanti e Stéphane Lupasco nel fargli prendere coscienza delle «limitazioni interne dei formalismi», anche grazie alla lettura degli scritti di Popper e Kuhn, ma anche figure di ambiti diversi come quello letterario e musicale da Dostoevskij, Proust e il surrealismo a Beethoven, dalla psicoanalisi freudiana e la scuola di Francoforte ad Ivan Illich.
Tutti questi mondi sono stati da parte di Morin «abitati», nel senso di Simone Weil, come specifici portatori di contenuti di verità con cui confrontarsi per non cadere vittima dei riduzionismi ereditati da certa modernità, per uscire fuori da ortodossie imposte, per raggiungere la propria «autonomia di pensiero» e arrivare al punto di svolta rappresentato dal pensiero complesso con l’approdo all’umanesimo planetario, con farci prendere coscienza di appartenere ad un’unica «comunità di destino planetaria» e di mettere all’ordine del giorno come «urgenza prioritaria» quella di «ripensare la triade democratica libertà-uguaglianza-fraternità a partire dall’ultimo termine», come afferma Sergio Manghi.
«Svegliamoci!»
Del resto, inviti del genere in questi ultimi anni provengono da più parti come nel recente discorso di papa Francesco ad Assisi e rivolto ai più giovani in occasione de The Economy of Francesco per essere attivi protagonisti nel cambiare radicalmente gli stili presenti di vita con denunciare le logiche devastanti del capitalismo finanziario.
Non è, d’altronde, un caso se queste due figure, pur appartenenti a mondi diversi, si incontrino, come sottolineano Sergio Manghi e Mauro Ceruti; si trovano, infatti, in netta sintonia nel denunciare le storture politiche e sociali del «dilagare nel mondo della marea neoliberista», con la mondializzazione tecno-economica imperante che «non è altro che la mondializzazione dell’onnipotenza del profitto» col suo inevitabile portato di «catastrofi ecologiche e asservimento dei popoli», come Edgar Morin afferma in Svegliamoci! Per evitare che la nostra era chiamata «Antropocene» possa trasformarsi in «thanatocene», è arrivato il momento di uscire dal nostro torpore e di «svegliarci» di fronte alla sempre più evidenza dei fatti sui quali non si può più continuare allegramente a mentire.
Ma, dato che ormai sono sotto gli occhi di tutti e non solo dei più giovani gli esiti sempre più distruttivi «dello scatenarsi della potenza prodotta dalla trinità scientifico-tecnico-economica», è necessario rendersi conto che sono «quelle stesse forze devastatrici» a produrre «nel mondo una regressione politica e sociale generalizzata, la crisi della democrazia che conduce all’instaurarsi di Stati neo-autoritari e/o dominati dagli interessi finanziari».
Un futuro di salvezza
Morin ci ha sempre invitati, sin dalle sue prime opere, a prendere atto che tutto questo è figlio di quel pensiero a una dimensione che ha governato la modernità con diversi esiti di natura assoluta e che ha impedito di comprendere quello strutturale tessuto di relazioni di cui è fatta non solo la realtà naturale ma anche il reale umano da considerare dei «sistemi viventi». Le loro crisi possono essere fattori di instabilità con delle «devianze» col portare a conseguenze di «gravità estrema» in ogni ambito da quello economico a quello ecologico.
Questo modello è entrato definitivamente in crisi, ma tale crisi del pensiero per Morin è quasi «invisibile» tale da renderci ciechi, sia per la separatezza e la frammentazione delle conoscenze, sia nel continuare ancora a pensare in modo semplicistico e lineare le complesse vicende che ci circondano col confidare «nel calcolo che anestetizza continuamente l’imprevisto» e che nasconde il proprio portato ideologico.
Ecco perché è ritenuto più che mai necessario risvegliarci, «porre rimedio alla crisi del pensiero» e «cambiare strada», come recita il titolo di un’altra sua opera recente, anche perché vivere una crisi comporta insieme «lucidità e cecità», col suscitare «immaginazione creatrice e immaginario reazionario, piloti che portano alla salvezza e piloti che portano al naufragio».
Di fronte alla gravità delle diverse crisi in atto e ad un possibile «disastro generalizzato», non abbiamo altra scelta che immaginare insieme come comunità globale «un futuro di salvezza» e, nello stesso tempo, continuare quella «mutazione antropologica e metamorfosi umanista» che ci ha contraddistinto come genere nel riconoscere la «grandezza e la debolezza della mente umana», dove tutto si gioca per «tornare alla nostra Terra» e «atterrare» su di essa, come scrive Bruno Latour, scomparso recentemente.
Dominare il dominio
Nella seconda parte di Svegliamoci! Morin ci dà una serie di strumenti per avere una visione globale dei problemi, per «civilizzare la Terra, trasformare la specie umana in umanità», obiettivo di fondo di «qualunque politica che aspiri non solo al progresso ma alla sopravvivenza dell’umanità».
Se, sino adesso, abbiamo inseguito il sogno semplicistico del «dominio» che ci ha portato al «proseguimento della corsa verso l’abisso», ora sulla scia di Michel Serres si tratta del difficile e complesso compito di «dominare il dominio». E, per questa non facile impresa, insieme cognitiva ed esistenziale che ci aspetta, possono fare da guida alcuni «principi di speranza» ricavati dai «suoi filosofi», che devono entrare nelle nostre menti sia a livello individuale che collettivo e che dovrebbero far parte del bagaglio culturale di una rinnovata classe «politica umanista dedita a salvare il pianeta», a «regolare e controllare lo sviluppo tecnico» pur in presenza della «potenza delle forze regressive».
In questo processo di riconversione ecologica del nostro modo di vedere il mondo e di agire, un primo principio di speranza lo può svolgere «l’improbabile» di fatti che possono accadere e che spesso hanno cambiato l’iter della storia; un altro è avere fiducia nelle ulteriori «capacità cerebrali dell’essere umano», come aveva già indicato Pierre Teilhard de Chardin, capacità ancora non pienamente «sfruttate» in quanto «siamo ancora alla preistoria della mente» con «possibilità incommensurabili non solo per il peggio ma anche per il meglio».
Un terzo principio di speranza da tenere programmaticamente presente è quello relativo al fatto che «qualunque sistema che trasformi la società e gli individui in macchine» non può durare a lungo; ed è questo il lascito duraturo dei «suoi filosofi» che dobbiamo sempre di più fare «nostri» in quanto – come ci ha insegnato Hélène Metzger – la «vera scienza» e la «vera filosofia» sono gli unici strumenti che abbiamo a disposizione per liberarci da quelle dittature mentali, frutto di riduzionismi di varia natura, che spesso ci costruiamo prima ancora di diventare dittature di natura politica.
Tanta, tanta responsabilità
Con questi principi di speranza Morin ci disegna il quadro di una «nuova politica umanista di salute pubblica» e di «salute terrestre» in cui tutti, pur provenienti da «orizzonti diversi», possiamo essere coinvolti col sostenere un simile progetto e diventare nei contesti in cui si opera «restauratori della speranza».
In tal modo si possono gettare le basi di una nuova visione del mondo, pena esiti entropici col non poter sfuggire, prima o poi, al «secondo principio della termodinamica: l’inesorabile disintegrazione».
In questo breve e agile volume, frutto della saggezza accumulata in un secolo di vita da parte di un pensatore sempre attento alle questioni di questo mondo e ai suoi «strazi», per dirla con Pierre Teilhard de Chardin, possiamo trovare delle briciole di speranza che possono fungere da linfa vitale per tutti noi arrivati ad essere costretti a fare delle scelte radicali non più rimandabili, pena la nostra stessa sopravvivenza.
Questi due testi, I miei filosofi e Svegliamoci!, pertanto, pur con intenti diversi dovrebbero far parte integrante del nostro bagaglio culturale per far fronte alle complesse sfide che ci attendono in quanto abbiamo la responsabilità di portare «dentro di noi stessi il cosmo, il mondo fisico-chimico, il mondo vivente», anche se soffriamo del fatto che, «al tempo stesso, ne siamo separati dal nostro pensiero, dalla nostra coscienza, dalla nostra cultura».
Per Morin, sulla scia delle preziose indicazioni prese da Montaigne, ci tocca prendere atto che, pur essendo «individui separati, portiamo non di meno in noi la forma intera della condizione umana». Ritorna, con altre parole, ancora una volta l’invito di Simone Weil a «non mentire sul reale» e a farci capire che, come uomini, non abbiamo molto potere, ma «tanta, tanta responsabilità».
- Dalla rivista culturale Odysseo, 29 dicembre 2022.
Bellissimo ritratto della reale condizione umana e della sfida che attende l’umanità intera per evitare una disintegrazione annunciata. Adoro questo filosofo sociologo e tanto altro con “la testa ben fatta” .