Attuale… seppur datato (2012)
Indipendentemente dalla data di pubblicazione, questo libro è attualissimo – semmai persino più attuale che nel 2012, visto ciò che sta succedendo nel/al pianeta che abitiamo!
Il titolo si riferisce ai 4 elementi della vita, e l’interno del libro è organizzato esattamente come la copertina: tutta la Prima parte ci narra dell’«etica ecologica» presente nel sottotitolo (ed è anche il nome della Collana editoriale); la seconda parte è composta da capitoli che, con titoli evocativi, trattano dei 4 elementi, per terminare con l’ultimo capitolo in cui troviamo indicazioni per attuare una conversione ecologica.
Mi piace ricordare che il libro è nato, nella mente dell’autore, a motivo di due eventi: il referendum su energia nucleare e acqua (12-13 giugno 2011), quando egli ha percorso chilometri, in Italia, tra le persone partecipanti, convincendosi di alcune cose che ha deciso di condividere; l’altro evento è dell’agosto dello stesso anno, ma molto lontano dal primo geograficamente; durante la sua permanenza in Messico, ospite della casa parrocchiale di Nuestra Señora Reina de Los Angeles di Monterrey gli è successo – come lui stesso racconta – che «lo sguardo a distanza sugli ambienti consueti di vita e il silenzio sono diventati l’habitat di molte di queste pagine. È tempo che la teologia ripensi l’etica ecologica, a partire da un approfondimento antropologico» (p. 14).
Un vescovo cileno
Luis Infanti de la Mora, vescovo di Aysén in Cile, ha scritto la Prefazione del volume con un linguaggio… «da vescovo», ovviamente, ma niente affatto soft e molto efficace, cogliendo la personalità del lavoro di Bignami:
«L’autore, in questa sua lucida presentazione di temi etici, assieme a molti dati e statistiche […] ci aiuta a capire l’urgenza della solidarietà, della sobrietà, di nuovi stili di vita che aumentino la comunione e il rispetto per i poveri, che stiamo emrginando e uccidendo con il nostro spreco dei beni della terra […] Saranno indispensabili decisioni politiche, economiche, sociali…, ma se queste decisioni non avranno un fondamento etico, e anche spirituale, continueremo condannando interi popoli, nostri fratelli, alla distruzione e alla morte, e trasformeremo la nostra terra non in un giardino (dell’Eden), ma in una pattumiera che ci soffoca e ci distrugge» (p. 8).
De Andrè forever
In genere non compro CD, né scarico brani musicali da internet, preferendo ascoltare la radio. Ma tra i pochissimi album che possiedo c’è il cofanetto In direzione ostinata e contraria. Con un titolo così non potevo fare a meno di averlo.
Eccolo qui, il titolo, a p. 198, in mezzo a righe che insegnano a chi legge come attuare la conversione ecologica richiesta (richiesta nel 2012, quando è uscito il libro, e ri-chiesta oggi, giacché non abbiamo fatto ciò che c’è scritto!):
«La conversione ecologica comporta di pentirsi per le scelte sbagliate intraprese, di cambiare strada con coraggio, di prendere coscienza del problema ambientale e di cercare un nuovo cammino. È il tempo, per dirla con Fabrizio De Andrè, di “viaggiare in direzione ostinata e contraria”. Così non può continuare all’infinito […] Non si può sfruttare la natura in nome del solo profitto e del ben-avere […] da un atteggiamento di appropriazione si deve passare a un atteggiamento di cura, rendimento di grazie, lode e amore. Fare un pasto frugale non serve per mantenere la linea, ma costruisce una comunità fraterna e solidale».
Nanni Salio
Come si arrabbiava quando sentiva le parole «sviluppo sostenibile»! Diceva che le due parole non potevano stare assieme! Proprio come scrive Bignami a p. 63: «[…] l’espressione si trasforma in ossimoro: non è possibile infatti coniugare il modello di sviluppo consumistico con la sostenibilità, in un mondo in cui le risorse sono limitate». Smettiamo di dire, scrivere, considerare e ascoltare le due parole.
Erri De Luca
Per un altro personaggio che invece vale la pena ascoltare e leggere mi limito a trascrivere la bellissima poesia Valore, senza bisogno di aggiungere nemmeno una parola:
«Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
[…] Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo,
accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordarsi di che.
Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura delle monache,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto» (p. 197).
Ecologico non è di moda!
Apprezzabile è anche l’accoppiata «ecologia e giustizia»; ci pensiamo mai? Stmattina a Messa ho sentito il sacerdote dire che quello che sta bruciando l’Amazzonia non si chiama «incendio» ma «capitalismo». L’ho trovato geniale, come geniale è smettere di parlare di «natura matrigna» quando succedono le alluvioni, i terremoti e persino le eruzioni. Comunque, con parole migliori delle mie, Bignami propone un cambio di prospettiva:
«La questione ambientale è pertanto questione di giustizia. Non si può negare che la tecnologia senza etica rischi di produrre mostri: l’alienazione della persona nei beni di consumo, la corsa agli armamenti con armi sempre più distruttive. […] L’ideologia dominante, anche in tempo di crisi economica, è quella dell’aumento dei consumi. Ne parlano ipolitici, quasi sia la panacea per tutti i mali.[…] giustifica l’incapacità di ripensare un nuovo modello di sviluppo. […] il consumismo è presentato come la terapia, quando invece […] è la malattia. Proprio all’interno di una mentalità consumistica il rapporto tra le persone è calpestato e i disastri ecologici si aggravano. […] il pericolo non è lo sviluppo della tecnologia, ma la sua ascesa a sistema ideologico. Manca di nuovo la capacità di operare un discernimento morale» (pp. 56-57).
«Morale» è un aggettivo che ho incontrato anche più avanti, all’interno di un paragrafo intitolato Responsabilità ecologica (pp. 62 ss.), quando l’autore, con una «divertente» storiella di uomini che segano il ramo sui cui siedono (e cadono, ovviamente, mentre altri stanno a guardare scuotendo il capo e continuando a segare! Ma siamo noi!) ci avverte che:
«Mentre il ramo crolla, non si può stare a guardare. La responsabilità morale si declina in un’azione capace di riconoscere l’altro. Si tratta anche di fare scelte che migliorino le qualità delle nostre relazioni sociali […] di mettere al bando l’inutile corsa agli armamenti e sulla necessità di assumere nuovi stili di vita. Per gli armamenti siamo allo scandalo […] soprattutto per la rassegnazione con cui si accetta che le cose siano così. […] l’Italia nell’intervento militare libico del 2011 ha speso più di 170 milioni di euro in bombardamenti».
E non solo armi
In mezzo alle riflessioni di Bignami c’è spazio anche per biocarburanti, fame, spreco alimentare (che riguarda noi) quando un africano su tre non può mangiare (e chissà se il dato è ancora quello?) e guerra. Perché
«La vulnerabilità delle popolazioni è accentuata anche dai conflitti armati. Nei 18 Paesi più soggette a emergenze alimentari croniche dagli anni ’80 a oggi, in ben 14 casi il fattore chiave è stato la guerra, in 8 casi le condizioni climatiche (siccità) e in 5 casi, problemi economici. […] Guerre civili e instabilità politica, che hanno favorito uno sfruttamento indiscriminato delle immense richezze minerarie, sono alla base della denutrizione nelle regioni dell’est del Congo [e] in altre parti dell’Africa subsahariana (Burundi, Malawi, Burkina Faso…) divenendo un fattore endemico: basti pensare che in 50 anni si sono avuti nel continente africano 186 colpi di Stato e 26 gravi conflitti» (p. 81).
Finalmente spiegato l’IPCC
Non mi ricordo mai che cosa vuol dire la sigla IPCC, e così non so mai spiegare che cos’è e che cosa fa. Ecco perciò che copio qui la pagina 121, in cui Bignami ha saputo farlo, aggiungendo una piccola cronaca dei vari incontri sul clima. Così capiamo perché sembra che non cambi nulla nonostante tutti ‘sti incontri, protocolli ecc. su clima, riscaldamento globale…:
«L’ONU ha creato un organismo apposito […]. Si chiama International Panel on Climate Change (IPCC, Comitato internazionale di studio sul cambiamento climatico). In questi decenni si è dato vita ad alcuni vertici mondiali […] per correggere scelte che rischiamo di diventare irreversibili per il pianeta. Il convegno di Rio de Janeiro (1992) ha insistito nel tentativo di trovare un accordo tra i Paesi per ridurre l’emissione di CO2 . Così nel 1997 a Kyoto, in Giappone, si è giunti a stendere un Protocollo d’intesa [per] diminuire tra il 5 e il 10% entro il 2012 l’emissione di anidride carbonica rispetto al 1990. Un accordo buono solo in parte, dal momento che il Paese che emette la maggior quantità di gas serra, gli Stati Uniti, e insieme Australia e Russia, non l’hanno sottoscritto. La Russia l’ha ratificato […] nel 2004. […] L’impressione sempre confermata è che la montagna dei vertici mondiali sia capace di partorire il topolino di impegni evanescenti. Comunque insufficienti, rispetto alla condizione del pianeta. Avanti di questo passo l’IPCC prevede un aumento della temperatura del pianeta di 3-4 °C. […] la foresta amazzonica potrebbe diminuire dell’80%, le specie in estinzione aumenterebbero del 15-40%, la popolazione a rischio idrico salirebbe dall’attuale miliardo a 3,2 miliardi. Lo scioglimento dei ghiacciai provocherebbe l’innalzamento del livello del mare che metterebbe a rischio ogni anno una popolazione che va dai 2 ai 15 milioni. Sono i cosiddetti “profughi del clima”. Le previsioni sono tutt’altro che rosee e possono modificarsi in presenza di variabili» (pp. 121-122).
Una piccola iniezione di speranza quel «possono modificarsi in presenza di variabili» non trovate? A me fa pensare che qualcosa possiamo fare! Che possiamo cominciare da subito, ognuno di noi, ovunque nel mondo, perché «tutto è collegato». Voi no? Siete di quelli che ribattono – a chi intende smettere di fumare – «ma tanto, con l’aria che respiriamo in città è inutile»? Il libro offre uno spunto di riflessione pure a voi, a p. 125, guardate se vi riconoscete:
«[…] nessun uomo sembra rendersi conto. Anche l’inquinamento in una città, con l’utilizzo maniacale dell’auto [e qui c’è una nota con scritto: “Si pensi all’insensatezza di muoversi in SUV nelle nostre città…”, NdR] al posto dei mezzi pubblici o della bicicletta o delle proprie gambe, sembra non avere colpevoli. C’è una sorta di “mal comune, mezzo gaudio” che ammorba il clima e fa vincere la tesi: “Se le cose vanno così, io cosa posso farci?”. Ciascuno continua a dare il suo piccolo o grande contributo all’avvelenamento dell’aria […] la discussione di un Protocollo internazionale per limitare drasticamenteleemissioni di anidride carbonica (livello globale) o la scelta di abbassare i riscaldamenti anche di pochi gradi, usare il meno possibile il condizionatore, servirsi di mezzi ecologici o pubblici, evitare viaggi inutili sembrano decisioni per pochi o che riguardano “gli altri”. Eppure, se nei nostri polmoni tira brutta aria, la responsabilità morale di scelte condivise e mai messe in discussione ci appartiene», o no? (p. 125).
Per l’aria
Nel capitolo sull’elemento aria troviamo una riflessione sul fumo (di sigaretta) come scelta individuale, in cui l’autore sostiene che no, non è individuale, che non basta evitare i danni da fumo passivo per ritenere di non dover rendere conto a nessuno della propria scelta di fumare, perché «Tutelare la propria salute è anche aver cura delle proprie possibilità di relazione con gli altri», p. 128. Un punto di vista che intendo fare mio, se Bignami permette. Il suo punto di vista riguarda ugualmente l’inquinamento atmosferico, che rivela allo stesso modo un disinteresse per la vita e la salute dell’altro, proprio come la scelta di fumare. L’aria che si respira in una città è la stessa per tutti (con il fumo delle sigarette di chi fuma+i gas inquinanti di auto, bus, riscaldamento…). Di conseguenza renderla irrespirabile danneggia tutti, chi fuma e chi no, chi usa l’auto e chi la bicicletta, con danni maggiori per i più deboli (bambini, anziani, persone con problemi respiratori…) di cui l’aumento di allergie è testimone:
«Nessun essere vivente è abbandonato passivamente al suo ambiente, ma prende forma a partire dalla sua particolare posizione nel mondo. L’esercizio della respirazione lo ricorda continuamente: l’aria entra nei polmoni e passa attraverso il corpo. Senza questo continuo flusso d’aria l’uomo muore. Respirare non è solo un gesto passivo. Si evidenzia qui l’immanenza ma prende forma a partire dalla della natura nell’uomo e quella dell’uomo nella natura» (p. 129).
Meditiamo…, respirando! E prendiamo in considerazione anche i due interventi che Bignami ci propone per salvaguardare l’Elemento aria: proteggere le foreste, lo prescrive perfino il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, qui a p. 131 a cura del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Sapevamo che esiste un Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace? Il secondo intervento prescrive di difendere l’aria anche dall’inquinamento acustico:
«L’uomo vive di musica, soffoca nel rumore. Tra i decibel assordanti, le suoneri dei telefoni e i vari beep delle nuove tecnologie, viviamo una trasformazione radicale della percezione della realtà. L’udito non sa più ascoltare perché stordito da rumori di sottofondo. […] scambiamo l’inquinamento acustico per colonna sonora» (pp. 132-133).
Per l’acqua
Non poteva mancare un accenno al conflitto israelo-palestinese, che troviamo da p. 140, annunciato da un altro cantautore, Ivano Fossati, con la sua canzone La guerra dell’acqua (2008); ma quello che ho trovato pieno di speranza è un racconto biblico che non conoscevo e narra di come l’uomo sa ingegnarsi per trovare soluzioni pacifiche. Lo riporto per intero, perché fa bene al cuore, è tratto dalla Genesi:
«Giacobbe si mise in cammino e andò nel territorio degli orientali. Vide nella campagna un pozzo e tre greggi di piccolo bestiame distese vicino, perché a quel pozzo si abbeveravano le greggi. Sulla bocca del pozzo c’era una grande pietra: solo quando tutte le greggi si erano radunate: là, i pastori facevano rotolare la pietra dalla bocca del pozzo e abbeveravano il bestiame; poi rimettevano la pietra al suo posto sulla bocca del pozzo» (p. 146).
Semplice. La pietra è troppo pesante per riuscire a spostarla da soli: i tre pastori avevano bisogno l’uno dell’altro, ma in più ne è scaturito un modo giusto per tutti di utilizzare l’acqua. Noi uomini moderni siamo capaci di fare una cosa analoga solo quando dobbiamo far scoppiare una bomba. Allora ci vogliono le chiavi di 3 (?) persone, non basta quella del presidente degli Stati Uniti. Non so nemmeno se sia davvero così o è solo finzione filmica…
E a proposito di cose che non so, ho scoperto nelle pagine di questo libro che al Forum mondiale dell’acqua del 2009 (a Istanbul) molti governi si sono opposti al riconoscimento dell’accesso all’acqua come diritto umano fondamentale. Non solo, ma la Dichiarazione finale ha evitato di definire l’acqua come un diritto, preferendo le parole «bisogno fondamentale». La formula così, per misteriose ragioni linguistiche e legali, è meno vincolante (oltreché più ambigua) e si presta a manipolazioni più facili. Le parole sono importanti.
Per il fuoco
Il capitolo sull’elemento fuoco tratta di energia. Mentre scrivo, l’1 settembre, sto letteralmente gocciolando di sudore, nonostante sia poco vestita, nonostante sia dentro la mia vecchia casa, in un vecchio palazzo del centro di Torino (quindi muri spessi, fresco, ombra). Non è normale, si sa. Si sa? Anche Bignami ha fatto un riferimento personale nel suo libro, un riferimento al concetto di Impronta ecologica (anche quella della guerra) che «mi ha fatto piacere» trovare alle pp. 164-5 (e le virgolette sono perché, ovviamente, avrei preferito non leggere queste parole):
«Mentre scrivo al computer, non solo ho bisogno di energia per il suo funzionamento, ma ho già consumato energia per produrlo e la somma dell’energia necessaria per costruirlo è tre volte maggiore di quella che servirà per il suo utilizzo. Da questo punto di vista, l’atteggiamento di rottamare beni prodotti con grande quantità di energia è antiecologico. Rottamare un oggetto significa di fatto sprecare l’energia che è servita per produrlo. Non si deve dimenticare che anche procurarsi energie richiede energia. Estrarre petrolio da un pozzo, trasportarlo in un Paese, lavorarlo in raffineria… sono passaggi che hanno un costo energetico. […] L’energia ha un ruolo decisivo anche nell’industria bellica. […] serve energia per produrre armamenti, per usarli nei combattimenti e per la ricostruzione in seguito alle distruzioni belliche. La guerra è l’operazione antiecologica per eccellenza. […] dal 1940 a oggi, il 10% dell’energia utilizzata sulla terra [è] stata impiegata per la costruzione di armamenti. […] Le risorse energetiche nel militare hanno costi inimmaginabili: si pensi che il bilancio militare negli Stati Uniti dal 2004 al 2008 ammontava a 2,1 trilioni di dollari (1,3 milioni di miliardi di euro), pari a 200 euro per ogni abitante del pianeta».
Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato
Questa non è una frase di Gandhi, è il punto n° 12 del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010. Qualcuno sapeva di questo slogan, creato quasi 10 anni fa da Benedetto XVI in difesa di terra, acqua e aria? E che l’insegnamento sociale della Chiesa, a proposito di risorse energetiche, fa queste tre affermazioni? 1. Le risorse non sono illimitate; 2. le risorse energetiche sono al servizio di tutta l’umanità; 3. la ricerca deve rivolgersi a energie alternative. No, non è I limiti dello sviluppo del Club di Roma, sono parole di 9 anni fa, non di 40! Tutte – recenti e no – sono rimaste ugualmente inascoltate. Tant’è vero che, anche nel libro, dopo queste parole c’è tutta la trattazione sul nucleare: Nucleare sì, nucleare no; La precauzione; La trasparenza. e poi l’uranio insanguinato… non solo i diamanti.
Finiti i brividi nel leggere le ultime pagine, ho per fortuna trovato queste parole, con cui scelgo di terminare, sperando che alla fine della lettura, ciascuno/a decida subito di fare qualcosa. Subito, sulla scia dell’esempio di Greta Thunberg che subito ha deciso di non prendere un aereo, visto quanto inquina. Noi? Dove siamo stati in vacanza quest’anno? E dove andremo il prossimo?
«È totalmente privo di fondamento scientifico affermare, come fanno alcuni, che c’è grande abbondanza di combustibli fossili, che l’inquinamento atmosferico non è un problema, che il surriscaldamento del pianeta è una bufala e che la popolazione mondiale può tranquillamente aumentare a dismisura. Ed è addirittura scandaloso sostenere, come purtroppo qualcuno fa, che risparmiare energia è inutile o addirittura dannoso. […] Ognuno deve diventare consapevole del fatto che una luce accesa, un apparecchio elettrico in fuznzione, un’auto in modo hanno un costo non soltanto economico, ma anche ambientale e sociale» (p. 192).
Bruno Bignami, Terra, aria, acqua e fuoco. Riscrivere l’etica ecologica, EDB, Bologna 2012, pp. 214, € 19,00. Recensione apparsa sul sito del Centro studi Sereno Regis.