La parabola è stata un mezzo comunicativo estremamente utile nel ministero di Gesù in vista dell’annuncio del Regno di Dio e del vero volto del Padre che lo aveva inviato. Camille Focant, professore emerito di Nuovo Testamento all’Università cattolica di Lovanio (1946-) compie uno studio complessivo, sintetico e chiaro, delle 32 parabole che egli pensa costituiscano il numero corretto da tener presente nella classificazione. Altri autori hanno fornito cifre diverse, anche molto alte. Focant le analizza inserendole in gruppi significativi di intenzione comune. Di alcune fornisce anche un parallelo più o meno significativo presente nel Vangelo di Tommaso.
Natura e scopo
Le parabole sono metafore di lungo respiro che contengono una trama di racconto, con una logica ben precisa. A partire dall’esperienza quotidiana degli ascoltatori – quasi sempre inseriti in un ambiente agricolo e popolare, non cittadino –, Gesù intende alludere alla logica presente nel regno di Dio, puntando a cambiare l’opinione dell’ascoltatore.
Questo lo fa con una interrogazione più o meno esplicita posta all’inizio (o alla fine) del racconto, alla quale l’ascoltatore è invitato a rispondere onestamente e, se lo desidera, a far seguire l’accoglienza della visione proposta da Gesù, cambiando la propria.
Gesù narra le parabole per farsi capire, anche se per coloro ai quali il mistero del Regno non è dato, o che si sono chiusi ad esso, tutto resta enigmatico. Gesù vuole cambiare l’opinione degli ascoltatori, ma chi si chiude a lui rimane confermato nel suo stato di non intelligenza del Regno, che resta oscuro ed enigmatico.
Ai discepoli il mistero del Regno è dato (e in Matteo anche rivelato, non così in Marco) e ad essi Gesù rivolgerà anche un momento di approfondimento e di spiegazione ulteriore.
È evidente che la parabola ha conosciuto un lungo cammino tra il tenore originale in bocca a Gesù – di cui Focant tenta una ricerca – e la sua versione definitiva contenuta nei Vangeli. In mezzo, ci sta un lungo periodo di predicazione ecclesiale che applica la parabola originaria di Gesù alle varie situazioni nuove vissute dalle comunità.
Ogni evangelista, inoltre, ha un proprio progetto autoriale ben preciso, con una declinazione teologica ed ecclesiale propria, che fornisce alle parabole nuovi contesti che spesso ampliano la logica interna contenuta nella parabola originale, talvolta allontanandosene per sottolineare temi diversi.
Questo avviene tramite la composizione di “cappelli” introduttivi che raggruppano una serie di parabole o l’elaborazione di una applicazione ecclesiale che attualizza la parabola, piegandola all’interesse redazionale ed ecclesiale dell’evangelista.
L’applicazione ecclesiale può raggiungere un alto grado di allegorizzazione che deforma, in parte, la logica interna della parabola originaria.
Parabole e allegorie
La parabola si basa sul confronto tra una storia con una sua logica stringente e l’elemento a cui vuole rimandare, in particolare il Regno di Dio. Il paragone non viene mai fatto con un elemento singolo, ma si applica all’insieme della storia e della sua logica. Il Regno e la logica che in esso vige non è, ad esempio, il granello di senape o un tesoro nascosto, ma è simile a tutto ciò che avviene attorno a questo elemento.
Nella parabola ci sono spesso degli elementi paradossali e strani rispetto all’esperienza quotidiana dell’ascoltatore. Sono questi, in modo particolare, a rimandare l’ascoltatore a un mistero più grande di cui Gesù intende parlare (parabola deriva da paraballō, “gettare di fianco/lateralmente”, “paragonare”). Elementi strani e paradossali, allegorici, vanno decodificati e applicati alla logica interna del Regno.
Ma la parabola non deve mai essere trasformata in un’allegoria, in cui ad ogni elemento corrisponde in modo preciso un elemento riguardante il Regno di Dio (o il Padre).
La spiegazione/attualizzazione circa i terreni coltivati decodifica, ad esempio, in modo allegorico completo, i vari elementi della parabola, che però viene sviata dal suo intento originario, privata della sua verve interna che deve rimanere sempre fresca e nuova per chi la ascolta e non un noioso elenco di corrispondenze allegoriche che, una volta esplicitate, rendono morta la parabola, incapace di dire alcunché di nuovo all’ascoltatore e, men che meno, interpellarlo per una presa di posizione personale di fronte alla proposta di Gesù (del Regno, di Dio Padre…) che porti a una novità di vita corrispondente alla novità che l’avvento del Regno porta con sé.
L’ascoltatore è interrogato dalla logica stringente che vige nel racconto parabolico e spesso viene invitato personalmente a pronunciarsi su di essa – e lo può fare solo in una certa direzione – per poi assecondarla nella vita (pena l’incoerenza esistenziale e spirituale).
Metodologie di studio
Focant apre il suo volume illustrando la parabola del Buon Samaritano (Lc 10,30-37) alla luce di quattro interpretazioni possibili attuate nella storia della ricerca: l’interpretazione allegorica (cara ai padri della Chiesa), quella elaborata dall’esegesi storico-critica, quelle emergenti dall’analisi semiotica e dall’analisi psicoanalitica.
Secondo l’analisi storico-critica – qui Focant propone i suggerimenti di J. Lambrecht – il messaggio e l’intenzione di Gesù erano quelli di dare un esempio di vera bontà particolarmente sorprendente, provocando il suo uditorio ebraico.
Viene presentato come esempio non i rappresentanti del sacerdozio, ma un laico, un Samaritano. La misericordia fa parte del messaggio sul Regno: Dio regna là dove gli uomini si comportano con misericordia come il Samaritano. La lezione implicita è di seguire l’esempio del Samaritano, anche se Gesù non l’ha espresso esplicitamente (per Lambrecht il v. 37 non fa parte del contesto originario della parabola).
Secondo Lambrecht, il testo è una parabola apologetica utilizzata in un contesto di opposizione come una forma di autodifesa. Gesù appare come il profeta messo sotto accusa, l’inviato di Dio che si schiera a favore del ferito e condanna, con la sua stessa condotta, l’ipocrisia dei rappresentanti del tempio.
La parabola, infine, è un evento di parola che ha un potere operativo. Non richiede un semplice consenso intellettuale, ma una decisione: una scelta di vita e una conseguente azione (cosa ancora più chiara se si considera il v. 37 facente parte della parabola e del suo epilogo).
Luca elabora la parabola incastonandola in un dialogo con un giurista. Il dialogo è organizzato in funzione della parabola che deve introdurre. A differenza di Mc 12,28-34, è il giurista e non Gesù a dare la risposta. «Di conseguenza, la parabola perde il carattere apologetico e d’insegnamento che aveva all’origine; diventa un racconto esemplare che tratta non più della misericordia in generale, ma dell’amore del prossimo, in dipendenza della questione del v. 29. Da quel momento in poi, è tutto l’insieme della pericope che riceve una specifica accentuazione lucana sul “fare” (vv. 25.28.37) L’insistenza si muove verso un’esortazione all’azione per ricevere in eredità la vita eterna. Ciò che Luca vuole sottolineare è l’opposizione tra la teoria e la pratica. Questo ha comportato, senza che se ne rendesse conto, uno slittamento di senso del termine “prossimo”, sul quale sembra inverosimile a Lambrecht che “Luca abbia giocato consapevolmente e volontariamente”» (p. 18).
L’analisi storico-critica è attenta all’importanza della trasmissione nelle comunità primitive e all’elaborazione letteraria da parte dell’evangelista. Fa leggere il testo con attenzione, ma spesso non è in grado – secondo Focant – di far scoprire la logica del testo così come lo leggiamo oggi nella sua versione finale. Su questo punto – secondo l’autore – l’analisi narrativa e l’analisi semiotica gli appaiono senza dubbio più efficaci. L’analisi narrativa fa vedere lo spostamento del significato del termine “prossimo” e soprattutto fa notare la sottolineatura dell’andare e fare lo stesso. A Luca preme molto l’importanza del “fare”. Resta aperta la questione: quale sarà la reazione del giurista?
Parabole, metafore, allegorie
Nel secondo capitolo Focant espone alcune riflessioni teoriche sulla parabola, che in parte abbiamo già anticipato, analizzando brevemente la presenza di questo strumento letterario nell’AT, nel mondo greco-romano e in quello del giudaismo rabbinico. Il materiale non è molto e rivela interessi assai diversi da quelli intesi da Gesù.
Jülicher lavora su 53 parabole, C.H. Dodd su 32, J. Jeremias su 41 (di fatto 39, secondo la lista alla fine dell’opera), J. Lambrecht su 42, R.A. Culpepper su 49; D. Marguerat ne nomina 43 e D.O. Via 20. J.P. Meier considera parabole di Gesù solo quattro esemplari. Le parabole rappresentano il 35% dell’insegnamento di Gesù.
Focant analizza 32 parabole: tre appartengono alla triplice tradizione (Mt-Lc-Mc) e sei alla duplice tradizione (Mt-Lc = Q); quelle proprie di una singola tradizione (P) sono: una di Marco, otto di Matteo e quattrodici di Luca.
L’autore illustra la questione della storicità delle parabole, della differenza fra parabola, paragone, metafora e allegoria. Illustrato il motivo e l’originalità di Gesù nel raccontare le parabole, Focant analizza le prospettive proprie di ciascun evangelista nell’utilizzo di questo materiale.
Marco ha una teoria sull’insegnamento delle parabole e distingue i due tempi: quelli della loro enunciazione e quello dell’annuncio aperto e non più enigmatico a partire dall’annuncio della passione. L’atteggiamento di chiusura da parte dei recettori non permette loro di comprendere le parabole.
Matteo presenta tre caratteristiche. Si riferisce molto più di Marco alle Scritture. Attraverso le parabole, egli legge la storia della salvezza sotto l’orizzonte del fallimento di Israele che culmina nel rifiuto di Gesù e nella distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. Questo giustifica l’apertura dell’annuncio ai pagani. Matteo infine dà maggior spazio all’etica vista sotto la prospettiva della Legge.
Il particolare dell’abito delle nozze mancante ricorda che l’invito al Regno è gratuito, ma che anche i discepoli di Gesù possono essere rinnegati se la loro fede non viene tradotta in azione.
Luca non si serve delle parabole per suggerire una lettura allegorica della storia della salvezza. Le parabole hanno valore esemplare e illustrano valori cristiani importanti. Il contesto delle sue parabole è quello della vita ordinaria. Esse sono situate in un particolare scrigno narrativo, ben radicate nella storia del Maestro quale elemento essenziale del suo messaggio, del suo programma di cambiamento. «Esse non sono però contrassegnate da una particolare attenzione cristologica e non presentano uno sviluppo cristologico più o meno esplicito» (p. 55).
Proposte interpretative
Nella sua analisi, Focant riporta il testo delle parabole in una traduzione personale. Vari termini sono tradotti in modo diverso da quelli della CEI2008 (ad esempio la “sfacciataggine” – e non l’“invadenza” – dell’amico importuno) e, talvolta, la titolatura stessa delle parabole viene modificata. Lc 15,11-32 viene titolato “Il figlio perduto e ritrovato”, in riferimento al contesto che parla di ciò che è perduto e ritrovato. “L’amico importuno” diventa “L’amico di mezzanotte”, in quanto nella parabola sono importanti tutti e due i personaggi. Lc 17,7-10 porta il titolo de “Il semplice servitore”.
Con i suoi “cappelli” introduttivi Luca dà alle parabole una piega interpretativa che sottolinea i valori importanti della preghiera, della vigilanza ecc., mentre, nella versione originaria, venivano accentuati i valori del Regno, della sua logica, della sua potenza fecondante ecc.
Non sempre è facile individuare l’inizio e la fine delle parabole. Il “padrone” che loda l’astuzia dell’amministratore infedele fa parte della parabola nella sua parte intradiegetica (Lc 16,1-8a), invece la conclusione sull’astuzia dei figli di questo mondo e l’esortazione a farsi degli amici con l’aiuto di Mammona rimanda alla sottolineatura di un tema caro a Luca, quella della ricchezza e della sua pericolosità per i discepoli di Gesù.
Mi pare utile elencare le parabole esaminate da Focant (che ha solo brevi note a piè di pagina) secondo la classificazione tematica da lui adottata nel suo lavoro.
A proposito del regno di Dio, vengono assegnate le parabole di Mc 4: i terreni seminati, il mistero del Regno e il parlare in parabole, l’interpretazione della parabola dei terreni seminati; i paragoni della lampada e della misura; la terra che da sé produce frutto (così anche a p. 230; a p. 58 l’autore, però, pone il titolo “Il grano che cresce da solo”); il granello di senape.
Le parabole complementari di Mt 13 sono: il lievito, la zizzania in mezzo al grano e la sua spiegazione (parabola propria di Matteo, con l’interpretazione totalmente allegorizzante); il tesoro nascosto e la perla di gran valore; la rete.
A proposito dell’accoglienza di Israele, è il tema che raggruppa le parabole del figlio che dice di sì e quello che dice di no; i vignaioli assassini (analizzata da Focant secondo le varie prospettive degli evangelisti, con l’analisi della parabola nel Vangelo di Tommaso) e la parabola del voltafaccia degli invitati al banchetto (anche in questo caso secondo le varie prospettive degli evangelisti e di EvTh).
La misericordia divina e la gioia del ritrovamento è il tema comune delle parabole lucane del fico improduttivo, quella della pecora perduta e ritrovata, quella della dramma perduta e ritrovata e, infine, quella del figlio perduto e ritrovato. Quest’ultimo titolo non mi convince pienamente, vista la centralità della figura paterna e la presenza di due figli. Viene ben alluso l’amore “eccessivo” di Dio padre, rivelato da Gesù attraverso lo strumento narrativo della parabola.
Quando la comune idea di giustizia viene sconvolta, è la tematica sotto la quale Focant raccoglie la parabola degli operai pagati con lo stesso salario e quella dei talenti (Mt) o delle mine (Lc). Qui appare chiaramente anche il particolare interesse ecclesiale di Matteo, con il conferimento di beni diversi, corrispondenti alle capacità individuali dei vari servitori. La paura blocca il terzo servo, travolto da una concezione errata del suo padrone.
Fare le scelte giuste di vita è il campo semantico che – secondo l’autore – accomuna le parabole del costruire sulla roccia, quella del debitore spietato (titolo modificato rispetto al più comune “servo” spietato) e quella dei due debitori (che va rapportata al contesto al quale dà l’insegnamento che il perdono e l’amore vanno insieme secondo il pensiero di Gesù e della Bibbia e che l’amore mostrato significa un perdono già accordato per una fiducia precedente della donna peccatrice).
Altre parabole che possono essere classificate sotto questo tema sono quella della costruzione della torre e del re che va in guerra, quella dell’amico di mezzanotte (titolo azzeccato, che valorizza entrambi i protagonisti, due amici che rappresentano l’umanità e il Padre accogliente) e quella del giudice ingiusto e la vedova. A tal proposito, va ricordato qui che non tutti gli elementi che possono rimandare al Regno o al Padre presenti nella parabola sono da intendere in modo allegorico stretto. Il Padre non assomiglia in modo totale al giudice ingiusto!
Chiudono la lista delle parabole di questo gruppo quella del semplice servitore (non ci sono servi “inutili”, ma solo servi senza pretese/semplici servi che hanno fatto solo il proprio dovere) e quella del fariseo e del pubblicano. In quest’ultima parabola originariamente si loda il comportamento del pubblicano che ammette il proprio peccato e viene giustificato da Dio rispetto al fariseo rappresentante degli interlocutori privilegiati di Gesù che se ne va non giustificato da Dio in quanto si autoglorifica e disprezza il suo prossimo. Nel contesto di Luca la parabola viene associata al tema della preghiera continua e senza scoraggiamenti e a quello dell’umiltà in vista di essere esaltati da Dio.
Sotto il titolo Del buon uso delle ricchezze, Focant raggruppa le parabole del ricco insensato, quella dell’amministrare astuto (abbiamo già notato il tema della ricchezza quale tema caro a Luca per la sua pericolosità per i discepoli di Gesù) e quella del ricco e Lazzaro. Qui non si sottolinea tanto il rovesciamento dei destini del ricco (di cui non viene detto alcunché circa la sua moralità) e del povero (di cui non si dice che abbia compiuto nulla di negativo a livello morale). Questo era un tema ben conosciuto nell’antichità. Si ammonisce, invece, circa il buon uso delle ricchezze confrontato con il giudizio nell’aldilà e la sufficienza delle Scritture rispetto alla richiesta di segni eclatanti per poter credere e cambiare vita.
Vegliare, non lasciarsi sorprendere è un tema che raggruppa le parabole del servitore fedele o infedele e quella delle dieci ragazze. Al di là della difficoltà di comprensione dei particolari dello svolgimento dell’accoglienza dello sposo, viene sottolineata la necessità di farsi trovare pronti, con una riserva di vita evangelica che risulti decisiva per essere accolti nel momento dello sposalizio/giudizio ultimo.
In Matteo, unico redattore di questa parabola, lo scenario sponsale assume i contorni del giudizio finale (“la porta fu chiusa”), uno dei temi possibili della parabola originaria. Questo spiegherebbe la severità del comportamento dello sposo verso le ragazze sprovvedute. Ci sono molti elementi allegorici. «La logica non è tanto quella di una storia di nozze quanto quella di un’allegoria dell’attesa della parusia» (p. 210). Se, nella parabola della zizzania – propria di Matteo –, la parabola era ben distinta dalla spiegazione completamente allegorizzante, qui l’allegoria è intrecciata nella parabola e difficilmente distinguibile.
Per Focant risulta difficile decidere se una tale allegoria possa risalire a Gesù o se bisogna vedervi una creazione post-pasquale, sotto l’effetto del ritardo della parusia.
Lo studioso ricorda come Matteo usi sei volte l’espressione «Ci sarà il pianto e lo stridore dei denti» e argutamente suppone in Matteo una «particolare propensione per una pastorale della paura che si ritrova di meno negli altri evangelisti» (p. 216).
Destinatari
A proposito di Matteo (ma anche degli altri evangelisti), si deve ricordare che se, nel contesto originario, Gesù si rivolge spesso ai farisei, agli scribi e ai sommi sacerdoti, mentre nella redazione evangelica i destinatari ultimi sono i discepoli di Gesù e – in quella matteana – in modo particolare i responsabili delle comunità. Le pecore possono smarrirsi, l’importante è che non si perdano e i pastori devono andare a cercarle finché non le ritrovino. Una grande responsabilità.
Nella comunità deve poi regnare il perdono reciproco, pena la perdita del perdono concesso da parte del Padre. Un tratto strano della parabola del debitore spietato (un re che ritratta il condono del debito già effettuato e condanna a una pena infinita il debitore spietato) si spiega alla luce del perdono infinito offerto dal Padre gratuitamente agli uomini, che però devono far proseguire il torrente del perdono verso i propri fratelli, pena la perdita dell’immenso dono gratuito ricevuto dal Padre.
Focant chiude il suo volume con l’indice delle parabole e le rispettive pagine in cui sono state esaminate (pp. 217-218), l’indice dei passi biblici (pp. 219-222), quello delle fonti antiche (pp. 223-224) e una bibliografia selezionata (pp. 225-227).
Il volume è un’opera preziosa, scritta in modo molto semplice e avvincente, utile per un orientamento ermeneutico sicuro per approcciarsi alle parabole evangeliche nel loro probabile contesto originario e nel significato assunto nella redazione evangelica finale.
Focant dichiara di aver evitato (per amore di brevità) lo sforzo dell’attualizzazione. Questo spetta al lettore, per «continuare a testimoniare la novità di Dio e la novità della vita che ne deriva» (p. 216).
Camille Focant, Le parabole evangeliche. La novità di Dio per una novità di vita (Biblioteca biblica 37), Queriniana, Brescia 2023 (or. Paris 2020), pp. 240, € 32,00.