Docente associato di sacra Scrittura alla FTIM di Napoli e professore invitato all’UPS di Roma, Landi pubblica un sussidio di sostegno a chi ha partecipato al corso di esercizi spirituali organizzato presso il Santuario di Pompei (15-17/3/2017).
Nell’AT (pp. 9-20) il digiuno era praticato come segno di lutto e di penitenza, per invocare l’assistenza di Dio nelle difficoltà di vario tipo e come strumento che poteva facilitare l’incontro con Dio. I profeti stigmatizzano la pratica del digiuno unita all’ingiustizia sociale e alla violenza, proponendo un digiuno che si identifichi con una prassi di giustizia e di attenzione ai poveri e ai prigionieri. La privazione del cibo era inoltre vissuta come esperienza che favoriva il saziarsi della parola di Dio.
Il rapporto di Gesù col digiuno (pp. 21-62) è delicato. Egli non disdegna di frequentare pranzi in cui sono presenti persone malviste e impure ritualmente, ma apre la sua vita pubblica con un prolungato digiuno.
Landi analizza le tentazioni avanzate da Satana nel deserto all’inizio della vita pubblica di Gesù (pp. 21-43). Egli digiuna per resistere alla prova e rintuzza le tentazioni diaboliche con la parola di Dio vissuta in fedeltà alla volontà del Padre. La tentazione della parola, dell’abuso di potere messianico e politico sono respinti nella fedeltà a Dio che fa da contraltare alla disobbedienza della prima umanità e dell’infedeltà di Israele nel deserto.
L’insegnamento di Gesù sul digiuno (pp. 44-50) mostrano all’evidenza che egli non intende abrogarlo, ma condannare l’uso ipocrita che se ne fa. Si digiuna in modo esibizionistico solo per attirare l’attenzione delle persone, ma nell’intimo non ci si converte a Dio (e all’accoglienza del regno di Dio che Gesù inaugura). Gesù non proclama una religiosità intimista e individualista («nel segreto»), ma intende purificare le espressioni più alte della spiritualità biblico-giudaica, strappandole dalla sigurazione operata dalla mentalità del merito e dell’esibizionismo. Il digiuno deve favorire un percorso di purificazione e di crescita nella relazione filiale con Dio.
Il digiuno va compiuto in tempo opportuno (pp. 51-62), quale esito di un discernimento. Nella controversia di Mc 2,15-20, Gesù si paragona allo sposo che, anche secondo alcuni scritti giudaici, nel tempo messianico celebra le sue nozze. Egli è lo Sposo che inaugura il Regno, che va celebrato nella gioia e al quale i testimoni delle nozze e gli invitati alla festa partecipano mangiando. Non possono digiunare per tutto il tempo in cui lo Sposo è con loro. La salvezza escatologica è già inizialmente presente. «Gesù non vieta espressamente la pratica del digiuno, ritenendola inadeguata o superata, ma l’associa al tempo in cui egli, lo Sposo, sarà sottratto alla presenza dei suoi discepoli. Tuttavia, essa acquisterà un nuovo significato come memoria del Cristo crocifisso, ed espressione della solidarietà con la sua scelta di servo umile e fedele» (pp. 59-60).
Per la comunità cristiana il digiuno è ormai legato esclusivamente alla persona di Gesù. È una novità radicale rispetto al giudaismo, e i due esempi addotti da Gesù (vestito logoro e vino nuovo) la esemplificano. Egli avanza una provocazione: «la novità del vangelo non può essere accolta nelle rigide, e ormai logore espressioni di religiosità praticate dagli uomini» (pp. 61-62).
In conclusione (pp. 63-70) si può dire che il digiuno è considerato in relazione a Gesù, come libertà di rinuncia, aiuto per rimanere nella fedeltà a Dio e nella solidarietà con il popolo, specialmente con i più poveri. Nel tempo della Chiesa esso è ora collegato alla memoria della passione e all’attesa della gioia piena.
La bibliografia (pp. 71-78) offre i riscontri delle opere consultate e permette l’approfondimento di un tema interessante oggi, anche nel dialogo interreligioso, e che tocca in modo particolare il tempo di Quaresima e di Avvento.
Antonio Landi, Non di solo pane. Gesù e la prassi del digiuno (Bibbia e catechesi – Nuova serie s.n.), EDB, Bologna 2018, pp. 80, € 9,00. 9788810202296