Nell’anno in cui ricorre il 60° anniversario dell’incontro tra Jules Isaac e Giovanni XXIII, incontro che diede inizio al percorso che portò all’approvazione del documento conciliare Nostra aetate, dobbiamo ancora tornare a domandarci chi sia responsabile della morte di Yeshua/Gesù? Sì, dobbiamo, perché neppure dopo la Shoah l’antisemitismo è scomparso dal mondo, e perché proprio Isaac ha mostrato il legame tra antisemitismo e antigiudaismo.
Tredici autori e autrici, operanti negli Stati Uniti, affrontano il problema delle radici cristiane dell’antisemitismo con la competenza degli specialisti e la semplicità necessaria a un libro destinato a un largo pubblico.
Come scriveva con grande chiarezza Barbara Fabbrini, «Gesù fu condannato per lesa maestà, la pena della crocifissione era proprio quella comminata per tale reato. […] Ci troviamo di fronte a un processo romano, ad una condanna romana e ad una esecuzione della pena di morte ad opera dell’autorità romana, che era la sola ad avere il sommo potere di mettere a morte nella provincia procuratoria di Giudea».[1] Ma, al di là della ricostruzione di quello che avvenne alla vigilia di Pesah dell’anno 30, delle corresponsabilità delle autorità templari e del comportamento di coloro che erano presenti nel cortile del Pretorio, è proprio sugli ebrei, anche di coloro che si trovavano altrove, in Galilea, o ad Alessandria, o a Roma, o di coloro che ancora non erano nati, che è caduta per secoli l’accusa di “deicidio”. E se, dopo il Concilio, tale accusa non è più formulabile, rimarrebbe però pur sempre la colpa di «aver rifiutato Gesù».
Padre Etienne Emmanuel Vetö, che dirige il Centro Cardinal Bea per gli Studi Giudaici della Pontificia Università Gregoriana, capovolge la prospettiva: «In effetti, prima di porre la domanda su chi abbia rifiutato e ucciso Gesù, è necessario chiedersi chi lo abbia accolto. […] Chi dunque ha accolto Gesù? Sono degli ebrei che hanno accolto Gesù. Sono Maria e Giuseppe, Giovanni Battista, Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, gli altri apostoli, tutti i primi discepoli, Anania e Paolo e le migliaia di membri della prima comunità giudeocristiana. Non seguono Gesù con l’intenzione di abbandonare la fede dei loro padri ma, al contrario, con la convinzione di essere in piena fedeltà all’Alleanza e alle promesse fatte a Israele» (pp. 20-21).
Segue l’introduzione di Rav Abraham Skorka, amico di papa Francesco sin dai tempi in cui questi era arcivescovo di Buenos Aires, il quale presenta diversi esempi della confusione prodotta dalla diffusione di un messaggio contraddittorio di amore e odio.
Il curatore del libro, Jon M. Sweeney, è un cattolico che ha sposato una rabbina, e vive quindi la dimensione interreligiosa già nell’intimità della sua vita familiare: «Esiste una profonda e orribile storia di antisemitismo che si è insinuata nella Chiesa cristiana. […] Sentirete parlare di grandi figure storiche, di teologi e di maestri della fede che inserirono nei loro insegnamenti e nelle loro predicazioni la diffamazione del popolo ebraico, caratterizzando addirittura gli ebrei come malvagi o umanamente inferiori, quasi la tradizione cristiana si basasse su idee del genere» (p. 41).
Suor Mary C. Boys, che insegna all’Union Theological Seminary di New York, parla della necessità di un nuovo punto di vista per la lettura delle Scritture, che possa dare «un senso più profondo alla nostra stessa identità cristiana e aprire nuove possibilità per creare un dialogo con gli ebrei» (p. 69). I lettori del NT devono essere consapevoli che «le controversie del tardo I secolo e degli inizi del II secolo finirono con l’entrare nelle ricostruzioni di ciò che Gesù aveva detto e fatto. L’acceso linguaggio di questi testi riflette le convenzioni retoriche tipiche dell’antichità, in cui la denigrazione dell’altro era una forma d’arte. Ciò che le successive generazioni non riuscirono a comprendere, in ogni caso, è che si trattava di contrasti intra-familiari, non di controversie tra “cristiani” contrapposti a “ebrei”» (p. 74).
Massimo Faggioli, docente della Villanova University di Philadelphia, ripercorre le tappe del cammino che hanno portato dall’“insegnamento del disprezzo” alla svolta conciliare. «Nostra aetate è il più breve dei sedici documenti finali del Vaticano II. Tuttavia la lunghezza è inversamente proporzionale alla sua enorme importanza nello sviluppo della dottrina ecclesiale» (p. 145). E ancora: «Lo speciale rapporto di alterità tra ebraismo e cristianesimo fu riscoperto dal Vaticano II e rimane uno dei mandati più importanti per la nostra generazione riguardo ai rapporti tra ebraismo e cristianesimo» (p. 147).
Rabbi Sandy Eisenberg Sasso, della Indiana University, si interroga sul modo in cui il rapporto tra ebraismo e cristianesimo viene in genere presentato ai bambini: «Il Nuovo Testamento è spesso letto e predicato in opposizione all’ebraismo. Gesù viene identificato con il perdono e l’amore, mentre i farisei e i maestri rabbinici che diedero forma alle basi dell’ebraismo, due millenni fa, sono identificati con la stretta aderenza alla giustizia e alle regole. Si tratta di un’errata rappresentazione dell’ebraismo che è fonte di bigottismo» (p. 177).
Gli altri contributi sono di Walter Brueggemann, «Israele è il mio figlio primogenito» (Es 4,22). Il pronunciamento di YHWH riguardo agli antichi israeliti; Nicholas King, Il Nuovo Testamento fu interamente scritto da ebrei; Richard C. Lux, Il supersessionismo ovvero la teoria della sostituzione; tre testi di Sweeney sulla liturgia della settimana santa; Robert Ellsberg, Il primo comandamento; Wes Howard-Brook, Perché dobbiamo tradurre ioudaioi “Judeans”; Richard J. Sklba, Differenze tra i primi seguaci di Gesù: il monito di Paolo ai Tessalonicesi; Greg Garrett, «Per paura degli ebrei»: l’antisemitismo ai tempi di Giovanni e ai nostri.
La postfazione è affidata a Amy-Jill Levine, della quale è appena apparso in italiano Le parabole di Gesù. I racconti enigmatici di un rabbi controverso (Effatà editrice).
L’odio più lungo è un odio che ancora continua. Deve essere affrontato e combattuto con coraggio e determinazione, per essere trasformato in rispetto e amicizia.
J.M. Sweeney (a cura), Gesù non fu ucciso dagli ebrei. Le radici cristiane dell’antisemitismo, prefazione di E.E. Vetö, introduzione di A. Skorka, Edizioni Terra Santa, Milano 2020, pp. 208, € 15,00.
[1] In Aa. Vv., La diffusione del Cristianesimo nei primi secoli, Itaca, Castel Bolognese 1997, pp. 40-41.
Nel Vangelo è scritto a chiare lettere che Pilato sapeva che Gesù gli era stato consegnato per invidia e che cercò (vedi Barabba) un modo per liberarlo. Dire che la sua morte non fu dovuta ad una parte degli ebrei dell’epoca (in maggioranza sacerdoti) è semplicemente falso.
È un buon libro, la lettura potrebbe farle cambiare opinione.