Nel Vangelo di Marco, il grido non appare un semplice elemento letterario di minor valore, ma un vero e proprio motivo narrativo che unisce la narrazione marciana con un filo rosso molto significativo.
Il quarantacinquenne presbitero ed esegeta trentino, direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose “Romano Guardini” di Trento, dove è docente di esegesi del Nuovo Testamento e di Greco biblico, analizza l’impiego marciano dei verbi krazō, anakrazō e boaō, tenendo presente il fatto che variano i soggetti del grido e la sua connotazione principale.
I primi due verbi ricorrono in bocca agli spiriti impuri come grido di protesta (Mc 1,21-28; 3,7-12; 5,1-20; 9,14-29), che si articola ancora maggiormente con grido di domanda, di riconoscimento, di supplica, di silenzio.
Il grido di paura connota l’atteggiamento dei discepoli che non riconoscono Gesù mentre cammina sulle acque nella notte (6,45-52).
Il grido è connotato dal dolore nella gola del padre che chiede la guarigione del figlio (9,14-29) e dalla duplice supplica di Bartimeo (10,46-52) che chiede a Gesù prima la misericordia, che non il recupero della vista.
Il grido si trova, infine, varie volte in bocca alla folla, come espressione di gioia (ancorché fondata su presupposti non del tutto veri, Mc 11,1-11) e di rabbia di fronte a Gesù, di cui chiede la crocifissione (15,1-15).
L’analisi del verbo boaō racchiude la novità più importante di questo saggio, che ripresenta la tesi di dottorato in teologia biblica difesa da Zeni il 10 giugno 2009 con il relatore prof. don Massimo Grilli (che firma la prefazione delle pp. 11-13).
La prima ricorrenza del verbo si ha in Mc 1,3 e le ultime due in Mc 15, 34.37.
Zeni analizza il “peritesto” del racconto marciano (Mc 1,1-3) e, contro la maggioranza degli interpreti e seguendo le orme di alcuni padri e degli esegeti contemporanei Katz, Rocca e Bourquin, attribuisce un soggetto cristologico al grido che si alza nel deserto annunciando il vangelo.
Zeni traduce e interpreta così il peritesto di Mc 1,1-3: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo [figlio di Dio], come è scritto nel profeta Isaia: “Ecco mando [= Dio] il mio messaggero [= Cristo] davanti a te [popolo di Israele], il quale [= Cristo] preparerà la tua [= del popolo di Israele] via; voce di uno che grida [= Cristo] nel deserto: Preparate [= soggetto indeterminato, Israele] la via del Signore [= Dio], raddrizzate i suoi [= di Dio] sentieri”».
Nel deserto esistenziale, più che geografico, Gesù Cristo annuncia la buona notizia/il vangelo dell’arrivo di Dio, davanti al quale vanno preparate e raddrizzate le strade che gli appartengono e che percorrerà per arrivare agli uomini.
Secondo Zeni, il grido Gesù in croce (Mc 15,34) non va interpretato frettolosamente alla luce del Sal 22 (casomai l’inverso). Anche se ci sono somiglianze letterarie e contestuali, le prospettive teologiche sono diverse (ad es., Gesù non chiede salvezza, come il salmista).
Il grido di Gesù esprime vero dolore, angoscia, un senso di abbandono e solitudine radicale, che non vanno minimamente attenuati. Dalla presenza del Padre durante la vita pubblica, Gesù sente il trapasso doloroso a una sua assenza che lo lascia desolato. Un grido di dolore cocente, ma non disperato. Non tanto perché, citando il salmo 22, Gesù citerebbe implicitamente anche il suo finale positivo (la fiducia nel ritorno all’annuncio pubblico della Parola; per Gesù: il non abbandono alla morte, la risurrezione), quanto perché il suo grido è un grido di fede, fede nella presenza, pur nell’assenza. Il paradosso della croce sta nel fatto che «Dio è presente, ma Gesù è solo» (p. 241).
Col suo grido di abbandono, secondo Zeni, Gesù non domanda tanto la motivazione della sua situazione, ma con eis ti (“verso che cosa, a quale scopo”) – diverso dalla semplice congiunzione causale ti –, chiede il senso, la finalità dell’evento che sta sperimentato, esito finale che compie in modo tragicamente paradossale la sua vita di obbedienza confidente nel Padre.
Alla luce del percorso di studio del suo mentore Grilli, anche Zeni medita sulla drammaticità della croce, vero centro nervoso del vangelo marciano.
Il grido cristologico che sale dal deserto esistenziale (più che geografico) all’inizio della narrazione evangelica (Mc 1,3) trova il suo culmine di compiutezza (non di conclusione) nel grido sulla croce, connotando l’intera vita pubblica di Gesù col segno della croce, segno paradossale della rivelazione di Dio (e di Gesù) nella potenza debole del rifiutato, del negletto, del crocifisso, dell’emarginato.
Il grido inarticolato di Mc 15,37 è, infine, solamente il prolungamento dello stesso grido di derelizione in cui Gesù si trova, grido che esprime il suo sentimento di essere abbandonato, che non viene superato neanche dopo il grido di 15,34. A p. 237 nota 106, Zeni cita Vanhoye (che però andrebbe citato correttamente così: VANHOYE, “Il racconto della Passione”): «L’umanità di Gesù subisce una specie di “esecrazione”, nel senso etimologico del termine, che si oppone a “consacrazione”. È il mistero del parossismo della prova, che condiziona la perfezione del dono».
Il grido di Gesù è linguisticamente espressivo del suo sentimento interno, e il fatto di non citare il Padre ma “Dio” non depone necessariamente a favore del fatto che Gesù abbia perso la fede o la fiducia nel Padre. La prova della desolazione è all’interno della fede, non una sua smentita.
Il senso della situazione di Gesù troverà espressione narrativa immediatamente dopo, nei due segni della lacerazione del velo del tempio (Mc 15,38: insieme negativamente, il crollo di un certo tipo di culto, positivamente rivelazione dell’accesso pieno a Dio per tutti) e della professione di fede del centurione al cospetto dell’insieme degli eventi della morte di Gesù e di ciò che la circonda (Mc 15,39; centurione certamente pagano, ma non necessariamente – secondo me – “romano”: poteva far parte delle truppe ausiliarie reclutate sul posto).
Zeni analizza il motivo narrativo del grido nel suo risvolto antropologico di espressione di dolore, paura, sconforto, appello a una presenza, e a quello teologico di fiducia, di preghiera a Dio e di rivelazione di Dio, presente nell’assenza, di modo che ogni uomo desolato che gridi possa trovare in Gesù un modello di espressione tragicamente addolorata ma nello stesso tempo credente.
Un buon gruppo di biblisti addottorati negli ultimi anni sotto la guida del prof. Grilli alla Gregoriana hanno impostato la loro ricerca accademica secondo le linee guida dell’esegesi pragmatica. Essa è attenta non solo al contenuto comunicativo del testo (senso locutorio), ma alla forza impattante di provocazione nei confronti del lettore, affinché modifichi la sua situazione e il suo atteggiamento, rispondendo al testo con un cambiamento di vita e di criteri valutativi (senso pragmatico). La pragmatica si domanda: “Cosa intende provocare la Parola nel lettore che la ascolta? A che cosa vuol portare?”. Sono domande che rendono molto interessante questa branca dell’esegesi odierna, a cui porta onore e forza anche il lavoro del nostro conterraneo don Stefano Zeni.
Il volume ha un carattere scientifico, ma per nulla astruso. Il dettato di Zeni è estremamente chiaro e conseguente, molto accessibile a chi ha un minimo di preparazione biblica.
Dopo la prefazione (pp. 11-13) di Massimo Grilli, il lavoro comprende un’introduzione (pp. 15-26) che spiega il motivo dello studio del grido, sei capitoli di analisi delle varie ricorrenze dei verbi krazō, anakrazō e boaō (pp. 27-244) e una conclusione circa la simbolica antropologica e teologica del grido (pp. 245-252). Le varie pericopi sono studiate dapprima a livello di analisi sintattica, poi a quello dell’analisi semantica e, infine, a quello dell’analisi pragmatica.
Chiudono il volume l’ampia bibliografia (pp. 253-294) e l’utile indice dei nomi (pp. 285-290).
Opera innovativa, che studia un motivo narrativo ritenuto a torto minore, ma che si rivela prezioso elemento euristico ed ermeneutico per una comprensione del prezioso, e a volte sottostimato, Vangelo di Marco.
Un grido “pragmatico”, un grido che vuole cambiare.
Stefano Zeni, La simbolica del grido nel Vangelo di Marco. Aspetti antropologici e teologici. Prefazione di Massimo Grilli (Epifania della Parola – Nuova serie – Sotto la direzione di Massimo Grilli e Alfio Filippi 16), EDB, Bologna 2019, pp. 296, € 28,00, ISBN 978-88-10-40312-9.