Una guida ai miracoli di Gesù

di:

prodigi

Dopo un volume dedicato alle parabole di Gesù, la sessantottenne biblista ebrea Amy-Jill Levine, docente di Nuovo Testamento e Studi ebraici all’Hartford Seminary, dedica la sua nuova fatica ad alcuni segni e prodigi di Gesù riportati nei Vangeli sinottici e nel vangelo di Giovanni.

Ella inquadra il fenomeno come non strano nel mondo ebraico ed ellenistico del I secolo d.C., che conosceva eventi similari attribuiti a Apollonio di Tiana, ad Hanina Ben Dosa… Servendosi dei richiami intertestuali, si possono trovare eventi simili raccontati anche nei testi dell’AT, anche se non della stessa portata, attribuiti a profeti e a uomini di Dio: moltiplicazione di pani, guarigioni di malati gravi, risurrezione di morti, guarigioni di lebbrosi…

Levine dà credito ai racconti evangelici e sembra credere personalmente ai prodigi, anche se preferisce abbordare i testi non con taglio propriamente esegetico-teologico, ma narrativo-esperienziale. Con linguaggio spigliato e accattivante, ella riscostruisce il contesto degli eventi prodigiosi, portando particolare attenzione ai protagonisti, in modo speciale alle figure femminili.

La sua lettura esistenziale porta a sottolineare come l’appropriarsi di questi testi faccia rinascere un modo nuovo di vedere le cose e quindi a uscire trasformati dalla loro lettura attenta e simpatetica.

Anche a chi non crede al soprannaturale, il testo suggerisce una molteplicità di spunti di riflessione per una trasformazione del proprio modo di vivere e di pensare.

Dopo la traduzione personale dei testi e un commento alle parole e ai verbi più significativi – con qualche aggancio al retroterra ebraico e al mondo giudaico rabbinico –, l’autrice sottolinea costantemente gli elementi di attualizzazione più diversi, che intendono attrarre l’attenzione del lettore. Sembra di essere presenti a una delle sue lezioni, con esempi terra terra e persino autobiografici.

copertina

Mc 2,1-12 “Prendi la tua barella e cammina”

I testi analizzati sono sei.

La studiosa inizia il suo lavoro con il racconto della guarigione del paralitico e del perdono dei suoi peccati. Questo le offre lo spunto per sottolineare l’importanza dei caregiver, del bisogno di un’azione drastica, di come il luogo può avere una funzione simbolica, del valore di un linguaggio familiare, della dissociazione tra peccato e disabilità (realtà sottolineata varie volte nel libro). Discute, inoltre, sul significato del perdono e della blasfemia.

Un’attualizzazione sottolinea la necessità che tutti possano avere accesso alle cure mediche.

Mc 4,35-41 Gesù placa la tempesta

Questo miracolo porta l’autrice a riflettere anche sulla necessità di prestare attenzione alla natura, sulla vita e morte in mare, sui legami di Gesù con Giona, sulla descrizione a volte negativa che Marco fa dei discepoli, sull’incoraggiamento non solo a invocare l’aiuto divino ma anche a lamentarsi, con forza, quando non arriva. Si riflette sulla fede come credenza e fiducia, su Gesù come modello di comportamento di affidamento a Dio e sull’ecologia.

Lc 9,10-17 Gesù sfama i cinquemila (o più)

Questo prodigio induce a riflettere sulla centralità del pane. Si richiamano gli antecedenti veterotestamentari della manna e dei pani di Eliseo moltiplicati per cento persone, ma si attualizza accennando alla sostenibilità e all’insicurezza alimentare, all’ospitalità, all’importanza dei pasti, al significato di Betsaida come “casa della pesca”, al rapporto tra guarigione e insegnamento, ai molteplici significati simbolici della natura selvaggia, all’apprensione viscerale per le pance vuote, alle reminiscenza della produzione del cibo (e quindi dei ruoli di genere) e dell’anticipazione del banchetto messianico.

Mt 9,18-26 La donna emorragica e la ragazza morta

Pur accennando al fenomeno dei “racconti intercalati” – tipici dell’evangelista Marco –, Levine preferisce analizzare il prodigio della donna emorragica e della ragazza morta riportato nel Vangelo di Matteo (una scelta che non mi pare pienamente felice). La studiosa non manca di far notare come Matteo tralasci o modifiche vari elemini presenti nel Vangelo di Marco, per concentrarsi sulla figura di Gesù.

Levine sottolinea con forza l’audacia della donna, il cui timore finale non va confuso con la vergogna, che lei non mostra affatto. Sia nel capo della sinagoga sia nella donna emorragica si sottolinea la fede-fiducia in Gesù, anche di fronte alla morte già avvenuta. In vari miracoli si annota la fede del protagonista prima dell’evento; nel Vangelo di Giovanni è invece l’evento prodigioso (“segno”) a suscitare la fede…

Un discorso delicato è quello dell’impurità, a cui l’autrice dedica alcuni paragrafi. Essa riguardava soprattutto la vita dei sacerdoti e la possibilità di entrare nel tempio, ma non la vita quotidiana, dove gli ebrei erano a continuo contatto con gente impura, come i pagani.

Levine sottolinea l’importanza del corpo delle donne, nel dare la morte e la vita. Marco sottolinea maggiormente il fenomeno letterario dei “racconti intercalati”, nei quali il racconto interno riceve significato ulteriore da quello esterno e dona a sua volta ad esso una ulteriore luce interpretativa.

I dodici anni menzionati collegano il destino della ragazza e della donna ammalata cronica. Sono entrambe guarite e risuscitate da Gesù, simboleggiando l’Israele che deve andare incontro al suo sposo e alla generazione della vita e all’Israele più antico che corre il rischio di perdere inutilmente il sangue, che è vita, senza incontrare Gesù.

Gesù nota la fede-fiducia dell’emorroissa e le dona non solo la guarigione ma anche la salvezza. Levine sottolinea come la salvezza nei vangeli non rimandi alla vita eterna, ma alla pienezza della vita terrena.

La studiosa non manca di ricordare il dibattito sulla questione del genere, del ceto sociale (il capo da una parte e una povera donna malata dall’altra), dell’influenza economica, dell’appartenenza familiare (il linguaggio impiegato dal capo-papà), dal significato del seguire (Gesù che segue…), della funzione della suspense nella narrazione, della difesa della sanità, di uno straordinario atto di coraggio, di una separazione tra problemi fisici (o persino problemi “femminili”) e vergogna, di Gesù che restituisce a due persone non solo la vita, ma anche la purezza rituale.

Mc 8,22-26 Un miracolo in due fasi

L’evangelista Marco è l’unico a riportare il curioso miracolo della guarigione del cieco di Betsaida, unico miracolo raccontato come attuato in due fasi. Il contesto narrativo fa comprendere che il prodigio anticipa la professione di fede in due fasi che Pietro farà alla domanda di Gesù nella scena successiva: “Ma voi, chi dite che o sia?”.

Levine accenna ai legami intertestuali con la storia di Tobia, con altre storie tratte da testi deuterocanonici dell’AT e al Timeo di Platone, nonché alla problematicità del nostro uso comune di “cieco” per indicare la mancanza di discernimento spirituale (Levine lo etichetta come uso dispregiativo da evitare), dell’incentrarsi di Marco non sui miracoli ma sulla sofferenza, nonché al ruolo dei fautori delle cure sanitarie sino al bisogno del nostro personaggio, ora credente, di cambiare vita (“non entrare nel villaggio”).

Il racconto evidenzia come anche il lettore può essere posto in grado di “scorgere” le cose con occhi nuovi.

Gv 11,1-44 La risurrezione di Lazzaro

Questo è un “segno” attuato da Gesù che viene raccontato in modo molto esteso e offre una miriade di spunti interpretativi. Levine accenna al fatto di prendere sul serio la morte.

Senza trascurare il dato teologico di Gesù che vince la morte, anticipando la propria morte e risurrezione, con la propria sensibilità femminile, Levine si concentra volutamente su Lazzaro (silente) e le sue sorelle. L’autrice sottolinea la vera e profonda umanità di Gesù, vero uomo, che arriva a piangere davanti a tutti.

Vengono sottolineati gli elementi della fatica emotiva di vivere con un parente gravemente malato e poi con il confronto con la morte del proprio caro. Si evidenzia il fatto di come la malattia e la morte possano unire e, al contempo, dividere le famiglie. (L’autrice ipotizza possibili screzi tra Marta e Maria, poi ricomposti in questo momento, in cui entrambe manifestano pienezza di fede-fiducia in Gesù, il Messia capace di ottenere dal Padre la vittoria sulla morte).

Levine sottolinea, inoltre, la capacità di esprimere nella preghiera anche la delusione e persino la rabbia, per terminare la riflessione sulla domanda di cosa diventiamo dopo aver fatto esperienza della morte: chi siamo quando emergiamo dal sepolcro?

L’autrice annota come non ci sia mai un solo – “giusto” – modo di leggere un testo. Ciascun incontro con le stesse parole può far nascere idee nuove – inaspettate –, far emergere nuovi spunti che sfidano le vecchie visioni. Ciascuna persona e oggi gruppo troverà nei testi elementi nuovi. «I miracoli potrebbero essere tutt’attorno a noi, a seconda delle nostre prospettive».

E noi?

A Levine sta a cuore sottolineare come la salvezza ricordata nei Vangeli sia liberazione da schiavitù, vita piena. I miracoli richiamano alla necessità di sporcarsi le mani, farsi caregiver, non abdicare alle proprie responsabilità nel mentre si prega Dio.

I miracoli ci dicono che Gesù fa quello che fa Dio, ma anche che Gesù è un modello per ciò che possiamo fare noi: possiamo assistere chi sta soffrendo, accorgersi di loro, sederci con loro, assicurarci che i luoghi che noi frequentiamo siano accessibili anche a loro (così che i loro caregiver non ci danneggino il tetto, annota Levine con la sua solita ironia) e così chiamarli “sorella” e “fratello” o “figlia” o “bambino”, dato che anche loro sono membri della famiglia umana. «Quando agiamo così, ci stiamo impegnando in atti di salvezza» (p. 200).

Molto importante per l’autrice è dissociare la disabilità o i contesti di pericolo da un senso di irresponsabilità personale. Non ci sono colpe dietro ciò che succede ai personaggi coinvolti nelle storie di miracoli. Non va ricercata una responsabilità personale particolare per chi annega in mare, come il nonno dell’autrice…

Dubbio e fede possono coesistere nella vita degli uomini e delle donne protagonisti di storie di miracoli. Nessuno ha una fede perfetta, siamo umani – ricorda la studiosa –. La lettura dei testi ci toglie di dosso il peso – e la colpa – del non riuscire a reggere le verità “teologiche” della fede nel momento della disperazione.

Levine congeda il lettore con una domanda. Se sentiamo che qualcosa è un miracolo, allora il test di validità dovrebbe essere la domanda “E quindi?”. Il credere a un miracolo, o il credere ai miracoli, come cambia le nostre vite? Come cambia la vostra idea della natura, del corpo umano o di Gesù. Cosa accende in voi?

Libro interessante, scritto in modo semplice e attraente, ha un taglio tutto proprio nell’accostare i testi, che non deve deludere ma “accendere” chi è abituato ad altri approcci.

A p. 113 r. 2 dall’alto leggi Mc 5,21-43; a p. 129 r. 9 dal fondo leggi Mc e non Mt (quindi Mc 5,29).

Amy-Jill Levine, Segni e prodigi. Una guida ai miracoli di Gesù (Itinerari biblici), Queriniana, Brescia 2024, pp. 209, € 23,00.

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