Harry Potter: l’umanità oltre la morte

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Ho accettato la provocazione del giovane autore dell’opera Harry Potter: una lettura teologica, Cittadella, 2021 (pp. 208) che mi ha chiesto una recensione per Settimana News, sotto la condizione che avessi potuto accostare la sua lettura di HP ad altri immaginari, così che ne venisse fuori un viaggio attraverso differenti istanze letterarie e cinematografiche, non tanto per perdersi nell’evocazione di un mare magnum (in modo sincretistico), quanto per confrontarci (urgentemente) con l’uomo moderno (postmoderno? neomoderno?) che sembra incapace di smettere di sognare come Bastiano, che, nella Storia Infinita, senza accorgersene, leggendo sta diventando protagonista di ciò che legge.

Siamo di fronte alla potenza del simbolo e delle parole, che, attraverso la fantasia di Bracalante, sono divenuti titoli dei paragrafi del suo libro, corrispondenti agli oggetti magici e agli incantesimi che accompagnano le vicende del maghetto e dei suoi compagni nella saga letteraria e nella sua trasposizione cinematografica.

Bracalante, nella prima parte della sua opera, intesa come iniziale raccolta di frammenti di rivelazione cristiana sparsi nei sette libri della Rowling, analizza intere vicende di Harry Potter collegandole (e cucendole ad hoc) con tantissima altra letteratura in modo da descrivere, in maniera molto profonda, l’interiore dell’umano che deve fare i conti con le sue insicurezze interiori, con l’amicizia, con l’amore e con la libertà. In tutte queste situazioni scopriamo che l’umano presenta risorse insondabili, così che l’immaginario e il reale si ispirano a vicenda.

Lo specchio

L’enigmatico oggetto, presente in tantissimo fantasy, viene utilizzato nella saga come ponte tra la realtà che è (e che non mi piace) e quella che poteva essere (il desiderio sempre aperto… ma non esaudibile). Bracalante ci ricorda le istruzioni poste sul subdolo strumento, quasi portale tra due mondi, e come anche Harry, ancora inesperto e pauroso nei confronti di una vita segnata dall’essere orfano di genitori, cada nella trappola dell’evasione: «L’incisione sullo specchio è peculiare perché letta al contrario dice: “Mostro non il tuo viso ma le tue brame”. Non a caso, infatti, Harry vedrà nello specchio i genitori che non ha mai conosciuto, ossia il desiderio di felicità più forte che ha nel cuore, il bisogno della famiglia. […] Dopo il primo incontro con lo Specchio, Harry cade in una sorte di dipendenza».

specchio

Sarà l’aiuto e la guida del maestro a riequilibrare il giusto rapporto tra quello che è stato e quello che potrà essere, senza deviare per immaginari troppo pericolosi, che nella realtà sono veri e propri vicoli ciechi: «Pertanto, nel corso della terza notte, Silente si farà trovare nella stanza dello Specchio per ricordare al maghetto che il suo più grande desiderio, il ritorno dei suoi genitori, è inattuabile e rimanere seduti a contemplare ciò che poteva essere e non è stato è gravemente dannoso. Silente, nella sua saggezza, educherà Harry ad avere uno sguardo di speranza sul proprio vissuto, ad andare oltre il dolore e la nostalgia, a non rimanere con gli occhi fissi su legami impossibili per vivere veramente» (pag. 17).

Quindi, se, da una parte, non si può eludere la lettura interiore, dovendo rientrare in sé stessi, dall’altra, è necessario nuovamente ri-uscire verso la realtà, accettarla e diventare protagonisti della propria storia. Un paragone va al personaggio Atreiu della Storia infinita. Come Harry anche Atreiu è rimasto orfano. I suoi genitori sono stati uccisi da un Bufalo di Porpora. Come bambino è stato accudito ed educato da tutti gli uomini e le donne della sua tribù (i Pelleverde) tanto che il suo nome significa «Figlio di Tutti». Ancora come Harry ha una missione che non si è scelto: l’Infanta Imperatrice, affidandogli l’amuleto Auryn, gli chiede di partire alla ricerca di una cura per la sua malattia, ricerca da cui dipende il destino di tutto il suo regno, Fantàsia.

specchio

Atreiu, (qui ci riferiamo a come la storia è declinata nel film) dopo aver attraversato le Paludi della Tristezza e aver affrontato il mostruoso Ygramul, con l’aiuto del Drago della Fortuna arriva all’Oracolo Meridionale. Qui, in corrispondenza della seconda delle tre porte per cui deve passare Atreiu, ritroviamo uno specchio magico, collegamento tra il reale e l’immaginario. In esso è riflesso non il volto di Atreiu ma il volto di Bastiano, il protagonista che sta leggendo il libro. Qui Bastiano comincia ad apprendere che per salvare l’Infanta Imperatrice è necessario che un figlio dell’uomo (ossia un essere umano, non un abitante di Fantàsia) le dia un nuovo nome, essendo partecipe nella storia stessa. Alla fine del film Bastiano ritornerà trasformato dalla sua avventura nell’immaginario.

L’amore della madre, il sacrificio dell’amante

Suggestiva è la metafora delle piante naturali che viene messa in campo per descrivere i due tipi di amore che proteggono, in modo differente, Harry dalle avversità della vita. Dopo aver ricordato che l’asfodelo «è una pianta della famiglia delle liliacee molto simile al giglio», il cui significato potrebbe essere espresso con l’interpretazione «la valle di ciò che non è stato ridotto in cenere», e che poi l’artemisia «è il simbolo della felicità, ma da essa si estrae l’assenzio dalla natura amara», è così che Bracalante ricorda le due diverse applicazioni a Lily Evans (la madre di Harry, Lily in inglese significa giglio) e Severus Piton (innamorato di Lily, anche se questa è sposata con James Potter, padre di Harry):

«Si potrebbe, dunque, dire che Lily è l’asfodelo, l’amore che non muore e resiste al fuoco. Un amore [però!] versato nell’artemisia: il pensiero felice che, dopo la sua morte, ha prodotto l’assenzio amaro [l’amore che Piton non potrà mai vedere corrisposto per via della morte di Lily]. L’insieme di queste piante produce “quel distillato della morte” utilizzato metaforicamente da Piton per far “dormire” la parte buona di sé al fine di proteggere Harry» (pag. 66).

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Bracalante rimane (con buona ragione) affascinato da queste due figure che esplicitano su due fronti (forse opposti) la potenza dell’amore, che dona sé stesso per l’altro, senza riserve, fino alla morte: da una parte, questa donazione è esplicita, pronta, immediata nella forma del sacrificio della madre di Harry che si frappone tra il figlio e il malvagio Voldemort, trasformando la sua vita (e il punto di tale trasformazione è la morte) nella «magia» di una presenza (anche senza corporeità) che accompagna Harry nel suo vivere attraverso la percezione continua di un «oltre» dove la madre lo attende. Sacrificandosi, Lily darà al figlio il potere di fronteggiare Voldemort con un potere ben diverso da quello del signore oscuro che non può essere nominato. Come quello della madre, il potere di Harry sarà di una libera donazione, così che rimanga vero che l’amore può mettere fine al male senza piegarvisi.

Più lunga è invece la via di Piton che attraverso la giusta comprensione dell’esperienza d’amore provato per Lily, riesce ad accettarsi e a vivere la sfida dell’agire verso il bene proprio e altrui, nonostante i piani e i desideri umani possano fallire. L’«esserci» per Piton diventa una «lunga conversione» all’altro, un uscire dalla sua solitudine passando da un atteggiamento passivo e ostico, al rivedere e ricambiare lo stesso amore sperimentato con Lily anche verso Harry, negli occhi del quale rispecchiarsi nuovamente come nei tempi felici avveniva negli occhi della madre. Il simbolo dell’amarezza che si converte in gioia è colto in quello che Bracalante definisce «il tabernacolo delle lacrime» attraverso cui Harry conoscerà che la verità su Piton è molto diversa da quel che appare.

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La bachetta, la pietra e il mantello

Quel segno-ferita della storia che aveva contrassegnato l’esistenza di Harry fin da piccolo, facendolo sentire vittima di un destino non scelto, diventa il segno-speranza per il futuro che indica, a tutti, colui che può fermare il male innominabile, colui che guarda in faccia la morte senza averne paura. Sarà infatti Harry ad essere padrone della morte in una maniera paradossale: senza nessun incantesimo, praticamente disarmato, rifiutandone i doni!

Con le vicende di Harry si comprende appieno il significato della storia che fa da apripista al libro sui doni della morte, in cui tre magici fratelli cercano di prendersi gioco della cupa signora attraverso le loro arti magiche, senza riuscirci, infatti «la Morte era astuta. Finse di congratularsi con i tre fratelli per la loro magia e disse che ciascuno di loro meritava un premio per essere stato tanto abile da sfuggirle».

La morte, che conosceva le loro brame più nascoste (quanto bellicoso fosse il fratello maggiore, quanto arrogante il fratello di mezzo) non conosceva però la saggezza del terzo, il più giovane. Il primo fratello fu sconfitto dalla bacchetta di sambuco, estratta dal legno più potente, che aveva chiesto per vincere i suoi nemici. Il secondo fratello, che aveva preteso di far risorgere i morti per arroganza verso la morte stessa, con la pietra della risurrezione non ottenne altro che risvegliare il “fantasma” (e non la vita) della sua diletta, tanto che alla fine arrivò all’inutile pazzia di voler morire per poter finalmente stare con lei dopo la morte. Solo l’ultimo fratello si contentò di non avere a che fare con la morte, e dunque riuscì a mantenere al sicuro il dono che già possedeva (quello della vita!) nascondendolo col mantello dell’invisibilità, lo stesso che “permette” alla morte di arrivare in maniera furtiva e inaspettata. La sua saggezza fu quella di presentarsi spontaneamente alla morte, rinunciando alla propria invisibilità, quando arriva la fine naturale di ogni uomo, così che poté salutare «la Morte come una vecchia amica e andò lieto con lei, da pari a pari, congedandosi da questa vita» (pag. 69).

voldemort

Con Harry abbiamo un passo ulteriore. Lui si mostra superiore alla morte facendo diventare la saggezza sapienza del cuore. Egli comprende che, per affrontare la fine non serve l’astuzia, non serve la contrattazione, non serve nemmeno la magia, ma basta lasciarsi guidare dal più profondo degli istinti, quello che ci contraddistingue come umani, che ci porta a realizzarci quando diamo tutto quello che abbiamo, anche la vita:

«Harry, infine, è il vero padrone della morte perché è arrivato a capire che avere una ragione per morire vuol dire avere una ragione per vivere e perché si rende conto che non vuole chiedere più il sacrificio di nessuno ma preferisce sacrificarsi per tutti: precisamente qui si colloca il passaggio dal mondo infantile a quello adulto perché “crescere è anche morire” […] Prima di giungere a questo genere di coraggio, tuttavia, è fondamentale attraversare la morte con tutti gli interrogativi radicali, tragici che l’Esser-Ci porta con sé. In questo senso, Harry ha attraversato il Getzemani della solitudine, del soffocamento del cuore, della paura e dell’angoscia» (pag 79).

Persino la morte può tornare sui suoi passi

Nella seconda parte della fatica di Bracalante la lettura passa a un profilo di teodicea, in cui il problema del male viene indagato nei dettagli per rinvenire, in negativo, quella sapienza della vita che non viene accolta dai vari esponenti che scelgono, per così dire, la via oscura dell’esistenza. La raccolta compiuta nella prima parte è propedeutica perché ci ha fatto già conoscere e ritrovare i personaggi, e la loro particolare caratterizzazione, sia positiva che negativa. Si tratta adesso di leggere i fatti, i sistemi, le aggregazioni con cui a più largo raggio la Rowling immagina e confeziona il suo romanzo-mondo e mostrare come il male si può annidare a diversi livelli, e concretizzarsi anche a livello di strutture di peccato.

Un’interessante riflessione, a mo’ di esempio per invogliare il lettore a cimentarsi con le pagine di Bracalante, ci viene dall’analisi degli horcrux, l’incantesimo che il cattivo della saga utilizza su sé stesso ancora una volta per ingannare la morte. Un Horcrux è un oggetto che contiene un frammento dell’anima di Voldemort. Anche se questi venisse colpito mortalmente, la parte di anima contenuta nell’Horcrux rimane indenne dagli attacchi, e questa sola parte garantisce che «tutto il resto» possa essere ripristinato più tardi grazie all’aiuto di particolari sostanze, incantesimi o pozioni. Ma c’è un alto prezzo da pagare per poter realizzare tale oscura magia: per creare degli Horcrux, l’anima di Voldemort si era già precedentemente scissa, e questo si attua quando nel mondo di Harry Potter si commette il gesto più malvagio, cioè l’omicidio.

horcrux

La profonda cattiveria del personaggio in esame è ben riassunta nell’episodio dell’unicorno quando il centauro nella Foresta Proibita commenta con Harry il gesto sacrilego del Signore Oscuro: «Uccidere un unicorno è una cosa mostruosa […]. Soltanto uno che non ha niente da perdere e tutto da guadagnare commetterebbe un delitto del genere. Il sangue dell’unicorno ti mantiene in vita anche se sei a un passo dalla morte; ma il prezzo da pagare è tremendo. Poiché hai ucciso una cosa pura e indifesa per salvarti, dall’istante che il suo sangue tocca le tue labbra non vivrai che una vita a metà, una vita maledetta» (pag 143).

Bracalante continua la riflessione, deducendo gli esiti di una vita prettamente egoista, vissuta a scapito di quella degli altri, dove vivere significa essere separati, dove che «io ci sia» implica l’annullamento dell’altro. «Gli Horcrux altro non sono che il mostruoso paradosso che, per vivere nel futuro, devi far morire nel presente. E colui che teme la morte è in realtà già morto sia perché in lui non c’è amore sia perché la sua anima è a brandelli» (pag 143).

L’ossimoro «vivere – solo per sé stessi», ci fa comprendere come la vita, per essere tale, deve diventare libertà per l’altro. È quanto ritroviamo nelle Cronache di Narnia, quando il Leone Aslan, superando in «conoscenza magica» la strega di Narnia, si lascia sopraffare dal male, lasciandosi legare e sacrificare sulla Tavola di pietra. La motivazione incidentale è pagare il riscatto del traditore Edmund che altrimenti per legge apparterebbe alla strega.

leone aslan

Ma attenzione ecco ciò che il male non conosce (con le parole di Aslan risorto come giusto dalla morte, utilizzate nella trasposizione cinematografica): «Se la strega conoscesse il vero significato del sacrificio, avrebbe dato una diversa interpretazione della grande magia. Se un innocente che si offre volontario viene immolato al posto di un traditore, la tavola di pietra si spezza e così persino la morte torna sui suoi passi!».

Solo l’amore ha questo potere di reversibilità nei confronti dell’ultimo nemico da sconfiggere, la morte.

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