Allettato dalle sue rapide ristampe e da un encomio pur rapido come quello di Enzo Bianchi su Tuttolibri, decisi di riascoltare l’ascoltatissmo Vito Mancuso, dopo aver già letto e recensito su Settimana n. 3/2008 il suo L’anima e il suo destino (Raffaello Cortina, 2007). E mi devo quasi ripetere. Da lui come uomo di grande e vasta cultura si può imparare davvero molto e condividerne molti messaggi. Tutti no, anzi mi rimangono parecchie domande e perplessità (e non solo a me).
In questo volume l’autore ribadisce la necessità di trovare – come affermava anche il card. Martini ad ambedue carissimo – persone che innanzitutto pensino, ragionino, riflettano, cerchino in libertà di mente e cuore. Ma bisogna pensare che cosa voglia dire, appunto, pensare. Molta parte del volume è dedicata a questo, con un fiume di parole, di citazioni, di riflessioni che, almeno in parte, riescono a condurre il lettore a tale meta. Più precisamente, su una via simile a quella del grande Teilhard de Chardin, a condurlo a (ri)scoprire il complesso della realtà della natura e in particolare di quella umana. E quindi condurlo a un pensiero, a una visione ottimistica e affascinante, che vedrebbe prevalere nella realtà o natura il positivo, il logos (identificato, frettolosamente, con quello di Gv 1,1, non con quello fatto carne di Gv 1,14) sul caos, la luce sulle tenebre, la vita sulla morte…
Con e in essa mente e cuore dell’uomo possono scoprire una ricca sapienza per la vita e addirittura qualche «dio». Non certo, mi sembra, il Dio così… illogico del Crocifisso: su questo aspetto del tutto unico e singolare del Dio cristiano Mancuso proprio sfugge, al più lo collocherebbe al “vertice” temporaneo di una rivelazione ancora e sempre in evoluzione (p. 129). Solo da quest’ultima potremo imparare e dire che «Dio è un padre amorevole che si prende cura con giustizia di tutti i suoi figli» (ivi).
In verità qui trovo una stranezza illogica: donde deduce Vito Mancuso questa pur bella idea di Dio, tanto più se la rivelazione più vera è ancora da attendersi?
Altra domanda, in parte e dietro le quinte riconosciuta anche da lui: siamo proprio certi che, nell’evoluzione della natura e della storia, prevarrà il logos sul caos, la vita sulla morte, il bene sul male? Già il povero Giobbe ne ebbe qualche dubbio e dovette uscire dai suoi pensieri per averne qualche risposta; i primi discepoli di Gesù non erano così ottimisti e speranzosi fin quando non ebbero la scoperta della vittoria, nel Crocifisso risorto, del logos sul caos; sant’Agostino pensò a lungo sulla natura e sui drammi dell’uomo, ma a un certo punto approdò a una via nuova e diversa: al Signore incarnato e pasquale.
Ripeto quindi la domanda critica già rivolta all’autore per L’anima e il suo destino: Dio o un «dio»? Il da lui citato tante volte Gesù, stava in bilico tra un dio generico-logico-naturale e un Dio Padre misterioso suo e nostro? Solo dopo aver risposto a questo problema potremo accettare, con Mancuso – e più ancora con Teilhard de Chardin e altri – una visione ottimistica o almeno speranzosa del cosmo e della storia umana.
Un’ultima osservazione: l’autore conosce una valanga di pensatori antichi e moderni (cf. specialmente il cap. I) e ne permette qualche conoscenza anche al lettore; ma a volte ho l’impressione che la loro presentazione sia troppo sbrigativa, lasciata a piccole e troppo semplificatorie frasi. Sono utili anch’esse, se si vuol procedere col pensiero e nella ricerca: sostanzialmente lo fa anche Mancuso nel resto del suo lavoro.
Vito Mancuso, Il bisogno di pensare, Garzanti, Milano 2017, pp. 192, € 16,00.