«La misericordia non è una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, e rende tangibile il Vangelo».
Così twittava il 28 novembre 2016 papa Francesco[1] che, nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia – Misericordiæ vultus – dell’11 aprile 2015 aveva definito la misericordia come la manifestazione per antonomasia dell’onnipotenza di Dio (MV n. 6), la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi (MV n. 9), l’architrave che sorregge la vita della Chiesa la cui credibilità passa attraverso l’amore misericordioso e compassionevole (MV n. 10) professato e vissuto come il centro della rivelazione di Gesù Cristo (MV n. 25), il cuore pulsante del Vangelo che esige di essere riproposto con nuovo entusiasmo e con una rinnovata azione pastorale (MV n. 12).
Il criterio misericordia è il titolo del nuovo coinvolgente saggio di Giovanni Ferretti,[2] professore emerito di filosofia teoretica presso l’università di Macerata e di teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (Milano e Torino), presbitero della Chiesa torinese.
Dire oggi il messaggio cristiano in modo convincente l’impresa continua
Un libro che, in stretta e coerente continuazione con i precedenti,[3] risponde ad un’esigenza di straordinaria rilevanza avvertita oggi nelle comunità cristiane: tradurre il messaggio evangelico nel linguaggio e nella sensibilità che ci caratterizzano quali persone che vivono nella cultura secolarizzata contemporanea e non accontentarsi di una semplice riproposizione della forma storica di cristianesimo entrata irrimediabilmente in crisi, che utilizza formule stereotipe incapaci di nutrire la mente e far ardere il cuore.
Un libro che, come i precedenti, si fa apprezzare non solo per i contenuti, ma anche per il linguaggio utilizzato: meno intellettualistico e più di tipo fenomenologico ed esistenziale; meno assertivo e autoritario e più propositivo e dialogico; meno magisteriale e dogmatico e più critico-riflessivo e maieutico.
Un linguaggio ai confini tra teologia e filosofia che l’autore, appartenente a quella schiera di studiosi capaci di ravvivare la questione di Dio nel nostro tempo e di rendere desiderabile la proposta cristiana di vita, ha avuto modo di affinare nel corso dell’intera sua vita trascorsa nella comunità cristiana ecclesiale e nella cultura laica universitaria.[4]
Un testo unitario e coerente
Il criterio misericordia – Sfide per la teologia e la prassi della Chiesa raccoglie in quattro capitoli altrettanti saggi di Giovanni Ferretti – già editi, ma di difficile reperibilità –, che sono stati così sapientemente rimaneggiati e organicamente collegati, da risultare un testo unitario e coerente, assolutamente leggibile anche da parte di chi frequenta solo occasionalmente testi filosofici o teologici, pur richiedendo, com’è ovvio, una lettura attenta e non sbrigativa.
Obiettivo della pubblicazione dichiarato dall’autore: dare un contributo a quel «grande compito» di nuova interpretazione del messaggio evangelico («evangelizzazione nuova») che la Chiesa ha la missione di portare al mondo, presentandolo come comprensibile, desiderabile e amabile alle donne e agli uomini di oggi, cioè come effettivo lieto annuncio nel contesto attuale della storia umana.
Intento perseguito riportando, come sollecita a fare il magistero di papa Francesco, al centro dell’annuncio cristiano l’amore misericordioso del Dio rivelatoci da Gesù di Nazaret, che è il «cuore del Vangelo»[5] e «la più grande di tutte le virtù»,[6] elevandolo a criterio ermeneutico non solo della Parola di Dio presente nelle Scritture ma anche del senso di tutte le verità e norme di vita cristiane.
Un’operazione teologico-pastorale, questa, che risponde ad una sentita esigenza della contemporaneità e ha un preciso radicamento nella lettera e nello spirito del Vangelo, ma che non è né semplice né esente da aspetti problematici. Essa, infatti, da un lato, comporta l’esame e la soluzione, alla luce del principio della gerarchia delle verità della fede,[7] di rilevanti problemi teorici e pratici che ne condizionano l’effettiva riuscita, dall’altro, implica il confronto serrato con tutta una serie di sfide che la cultura moderna e postmoderna pone alla fede cristiana.
Alcune sfide rivolte alla fede cristiana
Quattro di queste sfide di particolare rilievo sono prese in esame nel primo capitolo.
La prima consiste nel liberare, alla luce del criterio della misericordia, la concezione della rivelazione e della Bibbia da ogni residuo di fondamentalismo. «Non la lettera fisica della Bibbia è quindi propriamente parola di Dio, ma è parola di Dio quella che, mediata o echeggiata simbolicamente dal testo biblico, risuona nell’accoglienza di fede che l’uomo vi presta, interpretandola o traducendola in linguaggio umano a lui rivolto, secondo le categorie culturali e la coscienza etico-critica che storicamente gli sono proprie» (p. 32).
La seconda nel ripensare, nel senso di superare, la concezione arcaico-sacrale di Dio potenzialmente violento ben presente non solo nell’Antico Testamento e di cui non poche tracce si trovano nello stesso Nuovo Testamento e ancor più nella storia del cristianesimo nonché nella sua teologia e nella sua prassi. «Gesù ha inteso disambiguare la figura arcaico-sacrale di Dio, eliminandone la faccia numinosa tremenda e violenta e mettendone in piena luce l’esclusiva faccia di amore, di benevolenza e di misericordia» (p. 36).
La terza nel ripensare il rapporto tra rivelazione e morale, al fine di superare la visione esclusivamente eteronoma della morale cristiana e poter valutare con misericordia la congruenza delle norme presenti di fatto nella lettera della Scrittura e della Tradizione ecclesiale, in ordine al fiorire effettivo dell’essere umano nella concretezza della sua esperienza di vita. «Accogliendo la provocazione moderna, possiamo prendere maggiormente sul serio che Dio detta all’uomo le sue leggi non dall’esterno ma dall’interno della sua coscienza morale, così come questa va formandosi nel lavorio della ragione tesa ad interpretare il dinamismo dei propri desideri più profondi, l’appello al Bene, l’intero orizzonte del dover-essere etico della giustizia e della fraternità; in dialogo con gli altri e in autenticità verso se stessi» (p. 42).
La quarta sfida consiste nel ripensare il rapporto tra misericordia, giustizia e verità, al fine di non contrapporle tra di loro, ma di intenderle nel loro intimo intreccio, fino all’identificazione. «Intendendole in questo senso, nel loro reciproco intrecciarsi e interpretarsi, possiamo in qualche modo comprendere come amore di misericordia, giustizia e verità siano in Dio la stessa cosa, e sentirci sollecitati a coglierne e viverne la logica comune» (p. 54).
Unità della verità e molteplicità delle sue interpretazioni
Nel secondo capitolo, Giovanni Ferretti si sofferma su alcuni elementi di ermeneutica teologica rinvenibili nel magistero di papa Francesco e cerca di verificare come essi possano, a livello teoretico, essere sistematizzati, chiarificati e unificati nella filosofia ermeneutica di Luigi Pareyson (1918-1991), il filosofo italiano che ha elaborato la migliore teoria ermeneutica d’ispirazione cristiana.
Nella Evangelii gaudium papa Francesco scrive che una formulazione perfettamente ortodossa può, a motivo dei cambiamenti culturali attuali, trasmettere una falsa idea di Dio e un ideale umano che non è veramente cristiano.[8] Con questa affermazione, che Ferretti ritiene inedita a livello di magistero ecclesiastico, Francesco dimostra di avere piena coscienza che «la verità di Dio con cui il cristiano è in rapporto non può essere fissata una volta per tutte in una formula oggettiva universalmente valida, dovendo tener conto, per la sua effettiva comunicabilità, della recettività storicamente ed esistenzialmente condizionata e variabile delle persone» (p. 63). Le quali non vanno giudicate a partire esclusivamente dal riferimento a leggi morali oggettive universali – pur in se stesse valide – senza tener conto, con misericordia, della coscienza e della situazione concreta in cui si trovano, nonché del bene che è loro concretamente possibile operare.
L’espressione della verità teologica è multiforme. Rinnovarne le forme di espressione è necessario per trasmettere agli uomini e alle donne della contemporaneità il messaggio evangelico nel suo immutabile significato.[9] La misericordia è necessaria non solo per interpretare correttamente in favore dell’umano il senso oggettivo della parola di Dio, ma anche per bene interpretare le molteplici e diverse letture della parola di Dio che si hanno in un contesto sociale ed ecclesiale caratterizzato dall’espandersi del pluralismo. Contesto nel quale la misericordia – che è più attenta a ciò che unisce che a ciò che divide – contribuisce a creare e a consolidare l’armonia della «diversità riconciliata».[10]
Questa teoria operante in papa Francesco e teorizzata da Luigi Pareyson è in grado di liberare dal dogmatismo e dal relativismo. Libera dal dogmatismo il quale, in forza del principio dell’unità e della perennità della verità, ritiene che anche la sua formulazione debba essere unica e perenne. Libera dal relativismo il quale, in considerazione del fatto che le formulazioni della verità sono molte e mutevoli nel tempo, ritiene che anche la verità sia molteplice e storicamente mutevole. Da un lato, dunque, la teoria riconosce la legittimità di diverse interpretazioni della verità cristiana, dall’altro, non fa perdere la fiducia nella possibilità di rapportarsi, sia pure in termini plurali, con la verità eterna di Dio rivelatasi in Cristo.
Discernimento misericordioso dei «segni dei tempi»
Il criterio della misericordia va utilizzato anche per interpretare la cultura in cui viviamo, ovvero il mondo in cui essa vuole incarnarsi come fermento di vita per gli uomini e le donne della nostra generazione. L’amore misericordioso, infatti, è in grado di aiutarci «a leggere più a fondo e con maggiore verità il mondo contemporaneo, non limitandoci a rilevare e condannare gli aspetti negativi in esso presenti, ma anche e soprattutto a scorgere e ad apprezzare gli aspetti o germi positivi, di maturazione e promozione umana, che lo fermentano» (p. 96).
Nel capitolo terzo detto criterio è proposto tramite il discernimento di tre «segni dei tempi»[11] rilevabili nel mondo d’oggi: il fenomeno della secolarizzazione; il fenomeno della post-modernità; il fenomeno della povertà nel mondo globalizzato.
La secolarizzazione sfida a ripensare l’idea di Dio svincolandola da incrostazioni culturali pre-moderne e mettendone in luce il volto che Gesù di Nazaret ci ha manifestato con le sue parole e la sua prassi di vita. Nella consapevolezza che oggi la fede «non si trasmette più semplicemente per tradizione, famigliare o sociale, quasi per osmosi ambientale di qualcosa di ovvio per tutti, ma è sempre più oggetto di scelta consapevole e criticamente avvertita, di fronte ad un pluralismo crescente di credenze e non credenze» (pp. 120-121).
La post-modernità sfida a confrontarsi con l’inesauribilità dell’amore di Dio, amante della vita (Sap 11,26),[12] capace di inventare sempre nuove forme per comunicarsi a tutti. «La molteplicità delle culture e anche le diverse interpretazioni del divino che offrono le varie religioni, non dovrebbero, di conseguenza, essere viste soltanto come qualcosa di negativo, ma come espressione dell’amore universale di Dio in Cristo, che a tutti parla in vari modi, secondo le loro capacità di comprensione, e che ama tutte le creature umane, comprese le loro espressioni religiose» (pp. 128-129).
La presa di coscienza del fenomeno della povertà nel mondo globalizzato dell’economia finanziaria costituisce forse la sfida più importante e decisiva con la quale chi annuncia il Vangelo deve confrontarsi. Questa sfida ci invita «a riflettere in forma nuova sulla natura dell’apporto del Vangelo alla salvezza integrale dell’uomo – di tutto l’uomo e di tutti gli uomini – fin da questa vita terrena e ad operare di conseguenza» (p. 143).[13]
Grazia, intelligenza e libertà: ripensare con misericordia lo statuto dell’atto di fede
Nel quarto e ultimo capitolo Ferretti motiva l’esigenza di ripensare lo statuto dell’atto di fede, con le sue tre componenti di dono/grazia, intelligenza e libertà.
Provocati dallo spirito critico moderno, oggi i cristiani devono cercare di svincolare la fede da almeno tre equivoci: dall’idea che essa sia autoritaria e dogmatica per natura; dalla convinzione che essa possa riguardare solo chi l’ha ricevuta per grazia o per destino ovvero per tradizione; dall’opinione secondo cui la fede sarebbe una questione di «gusto» non argomentabile con ragioni oggettivamente convincenti o non accessibile a tutti.
La prassi ecclesiale concreta e la riflessione teologica hanno il compito impegnativo e urgente di mettere in luce come la fede cristiana, se ben intesa secondo lo spirito del Vangelo, sia in realtà una libera e amorosa accoglienza della verità salvifico-messianica di Gesù Cristo che l’intelligenza spirituale del credente vede trasparire nella sua persona e nella sua vita, sullo sfondo delle Scritture e in intima consonanza con quei desideri profondi dell’essere umano che l’accoglienza dell’annuncio evangelico può suscitare e risvegliare.
La fede cristiana, messa sotto il segno della misericordia quale attributo fondamentale del Dio di Gesù Cristo, è un’esperienza di vita – che ha un indubbio primato rispetto ai dogmi e alle appartenenze religiose – offerta alla libertà di tutti e pienamente rispettosa della dignità di ogni persona.
Al termine di una riuscita educazione alla fede – il cui obiettivo è quello di affascinare piuttosto che di indottrinare – ogni cristiano dovrebbe poter dire: io credo non perché me lo hai detto tu o perché me l’ha detto l’autorità della Chiesa, ma perché sono in grado di vedere con i miei stessi occhi – gli occhi del cuore e dell’esperienza personale – la verità di Dio che si riflette nel volto di Cristo, illuminando e dando senso alla mia stessa esperienza di vita (p. 160).
[1] Richiamando implicitamente quanto scritto nella lettera apostolica Misericordia et misera del 20 novembre 2016, a conclusione del Giubileo straordinario della misericordia: «La misericordia non può essere una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo. Tutto si rivela nella misericordia; tutto si risolve nell’amore misericordioso del Padre» (MM n. 1).
[2] Giovanni Ferretti, Il criterio misericordia – Sfide per la teologia e la prassi della Chiesa, Queriniana, Brescia 2017.
[3] Giovanni Ferretti, Essere cristiani oggi – Il “nostro” cristianesimo nel mondo secolare, Elledici, Leumann TO 2011 (seconda edizione, 2017); Giovanni Ferretti, Il Grande compito – Tradurre la fede nello spazio pubblico secolare, Cittadella Editrice, Assisi 2013; Giovanni Ferretti, Spiritualità cristiana nel mondo moderno – Per un superamento della mentalità sacrificale, Cittadella Editrice, Assisi 2016. Essere prete oggi. Meditazioni sull’identità del prete, Elledici, Torino, 2017 (seconda edizione).
[4] Non a caso Essere cristiani oggi – Il “nostro” cristianesimo nel mondo secolare è dedicato dall’autore «ai tanti cristiani laici incontrati nella mia vita».
[5] Papa Francesco, Evangelii gaudium n. 36.
[6] Papa Francesco, Evangelii gaudium n. 37.
[7] Riproposto dal concilio ecumenico Vaticano II soprattutto in chiave ecumenica (cf. il decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio n. 11) e ripreso da papa Francesco in prospettiva generale (cf. Evangelii gaudium n. 36: «Questo vale tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale»).
[8] Evangelii gaudium n. 41.
[9] Nell’intervista ad Antonio Spadaro, pubblicata ne La Civiltà cattolica 164 del 2013, Francesco ha affermato: «Le forme di espressione della verità possono essere multiformi, e questo anzi è necessario per la trasmissione del messaggio evangelico nel suo significato immutabile».
[10] Evangelii gaudium n. 230.
[11] Intendendosi per tali tutto ciò che, nella storia umana, provoca la fede a ripensarsi e a riformularsi nel linguaggio e nella testimonianza di vita ed è di stimolo alla Chiesa per svolgere nel modo migliore la sua missione in sintonia con l’evento del Gesù storico e con l’azione dello Spirito del Risorto (pp.106-108).
[12] «Una vita che Dio vuole anzitutto che si viva, non che si sacrifichi, come purtroppo predicato a lungo nella storia cristiana sulla base di una mentalità sacrificale di tipo più gnostico o platonico che non autenticamente cristiano» (p.132).
[13] Al riguardo, Ferretti invita a prendere atto che il magistero di papa Francesco «sta operando un importante spostamento nella considerazione delle sfide del mondo moderno contemporaneo: dal primato della sfida della ragione illuministica moderna e post-moderna, che ha impegnato la Chiesa per più di due secoli, al primato della sfida della povertà e della disumanità dilagante nel mondo» (p. 142).
Giovanni Ferretti, Il criterio misericordia – Sfide per la teologia e la prassi della Chiesa, Queriniana, Brescia 2017, pp. 192, € 13,50.