“Quanto manca ancora all’alba?”. È la domanda fondamentale degli apocalittici (cf. Is 21,1-12 il “Canto della sentinella”), che scrutano il compimento del tempo con la vittoria definitiva del bene sul male.
Dell’apocalittica biblica sono state proposte tre radici o “culle” ideali: la profezia (Rowley), la sapienza (von Rad), la profezia che si è aperta alla sapienza che ha dato origine alla figlia illegittima, l’apocalittica (von Osten-Sacken). È «qualcosa che nasce dai desideri di speranza di profeti, ma più viene alimentata dai progetti cosmici della sapienza d’Israele» (p. 17). Ravasi condivide questa ultima opinione.
Le tesi fondamentali dell’apocalittica, un’ideologia/fede e un genere letterario che si spande a macchia di leopardo nei testi biblici (qui saranno esaminati solo quelli appartenenti all’Antico Testamento), sono:
a) il pessimismo nei confronti del presente;
b) il dualismo;
c) il futuro (l’apocalittica celebra soprattutto un grande, lontano mirabile orizzonte).
Il sogno apocalittico è posto alla fine dei tempi, mentre la profezia lo inserisce con speranza nella storia. Il genere letterario apocalittico – non sempre facile da decifrare – si serve di simbolismi numerici, cromatici, zoologici, mineralogici ecc.
L’apocalittica ha dei disvalori, come la rinuncia alla ragione, al presente, alla propria famiglia, agli impegni concreti (cf. Testimoni di Geova, che non sono cristiani!).
Essa è, inoltre, tendenzialmente gnostica, una sedicente conoscenza superiore, non legata alla materia e alla morte, non vincolata al finito e alla storia (mentre i cristiani sottolineano con forza, giustamente, il rigore dell’incarnazione, una fede che suppone un’esistenza storica già segnata dalla presenza divina).
D’altra parte, l’apocalittica dona all’uomo un tocco di visione utopica che nutre la speranza, relativizzando il presente. L’ideale è raggiungere un equilibrio fra i due aspetti dell’apocalittica, come scriveva Bonhoeffer: «Penso che dobbiamo amare tanto Dio nella nostra vita e in ciò che egli ci concede di bene, e avere tanta fiducia in lui che quando giunge il momento, ma solo allora, si possa andare a lui con amore, fiducia e gioia… Ma per dirla franca – aggiunge sempre il teologo ucciso dai nazisti nel 1945 nel campo di concentramento di Flossenburg –, che un uomo tra le braccia di sua moglie debba bramare l’aldilà è, a essere indulgenti, mancanza di gusto, e comunque non volontà di Dio» (cit. a p. 29).
Dopo un’esplorazione iniziale del pianeta apocalittica (pp. 5- 30), Ravasi esamina e commenta in un secondo capitolo (pp. 31-56) le apocalissi di Isaia (la Grande apocalisse, Is 24–27; la “Piccola apocalisse”, Is 34–35), mentre nel terzo (pp. 57-90) analizza le visioni del Primo Zaccaria (Zc 1–8, con le otto grandi visioni), i testi del Secondo Zaccaria (Zc 9–14) per concludere con l’esame del libretto di Gioele.
Il c. 4 (pp. 91-120) si sofferma sul libro di Daniele, con gli atti dei “martiri” elaborati letterariamente con una struttura concentrica (Dn 2–7), avendo come centro di tutto il racconto i cc. 4–5, che descrivono il giudizio di Dio. Con Dn 7 si apre il passaggio alla parte più strettamente ed esplicitamente apocalittica, soprattutto a livello letterario e simbolico.
La liturgia celebra un tempo liturgico che rende presente il passato, celebra il presente e anticipa il futuro. L’apocalittica è incentrata invece esplicitamente sull’evento apocalittico.
Dn 8–12 sviluppa principalmente quattro temi:
1) La fine;
2) La mistica aritmetica o aritmetica mistica, che tenta di offrire quasi una previsione cronologica della fine;
3) Lo scontro fra due regni, due città: si attende lo scontro fra la città del male, satanica, e la città del bene, la città di Dio. È lo scontro tra i regni di questo mondo e il regno di Dio. Nel nuovo ordine inaugurato da Dio stesso, l’Altissimo è chiamato variamente: regno celeste, regno del Dio altissimo, regno del Dio del cielo, regno del Dio di tutta la terra, regno del principe dei principi, regno del capo della milizia celeste.
4) Il nuovo mondo. È quello descritto nel celebre c. 7 del libro di Daniele, con un quadro negativo (vv. 2-8) – un quadro “bestiale” destinato alla distruzione e al giudizio – e un quadro positivo, luminoso vv. 9-14), incentrato su due attori: l’Antico dei giorni” e il “Figlio dell’uomo”.
È innegabile che l’apocalittica ha un suo versante positivo di incoraggiamento nella crisi e di relativizzazione del presente, proponendo la dimensione dell’attesa della meta ultima.
La visione cristiana raggiunge l’equilibrio quando vive la storia come grembo in cui si realizza il disegno di Dio che culmina con l’escatologia, rappresentata anche col linguaggio e le idee dell’apocalittica.
Nel presente si nasconde e fiorisce il futuro e l’eterno. Scrive ancora Bonhoeffer: «Soltanto quando si ama a tal punto la vita e la terra da pensare che con la loro fine tutto è perduto, si può credere alla risurrezione dei morti o a un mondo nuovo» (cit. a p. 151).
Gianfranco Ravasi, Quanto manca all’alba? La Bibbia e il pensiero apocalittico, Collana «Lapislazzuli», EDB, Bologna 2017, pp. 160, € 15,00. 9788810559147