Ancora qui in Italia non abbiamo visto il film di Christopher Nolan di cui tutti parlano, eppure questa del 2023 è l’estate della bomba atomica e di Robert Oppenheimer.
Recensioni, analisi, commenti, contrapposizioni con Barbie, rifuggono i nessi con l’attualità. Quasi nessuno evoca il rischio concreto della catastrofe atomica in Ucraina, il cupio dissolvi di Vladimir Putin che potrebbe annichilire ciò che non riesce a conquistare. E pochi sono anche i paralleli, pur legittimi in teoria, con l’ascesa dell’intelligenza artificiale come nuova tecnologia dal potenziale dirompente.
E allora perché Oppenheimer? Cosa c’è nella storia del «prometeo americano» – come da titolo del libro cui il film si ispira – che rende impossibile ignorare le tre ore di Nolan?
Progetto Manhattan
Una possibile risposta sta in un libro uscito in Italia in una collana così di nicchia che sfugge alla visibilità in libreria e sui giornali, nonostante l’autore ben celebre: Manhattan Project, di Stefano Massini, uscito proprio quest’anno per la collana teatro di Einaudi.
Con lo stile che lo ha lanciato in Lehman Trilogy, un po’ monologo un po’ poema epico, Massini racconta il progetto Manhattan come una storia di valigie: valigie piene di ricordi europei traumatici di ebrei ungheresi geniali e in fuga, valigie che Albert Einstein ha disfatto da tempo quando si è insediato a Princeton e che invece Leó Szilárd tiene sempre pronta, come se potesse o dovesse tornare presto.
I fisici del progetto Manhattan lavorano alla bomba atomica per cercare di capire «il dentro del dentro», sia inteso come atomo, sia in senso psicoanalitico, individuale e collettivo. Vogliono risolvere le proprie equazioni esistenziali, essere accettati in un mondo che non è nuovo, ma l’unico che è rimasto loro dopo il collasso della civiltà europea.
Il grande scrittore austriaco Stefan Zweig ha reagito alla fine del «mondo di ieri» con una overdose di barbiturici in Brasile, se l’Europa muore non si può continuare a vivere. I fisici a Los Alamos scelgono di diventare «morte, distruttore di mondi», secondo la celebre sintesi di Oppenheimer.
Massini costruisce un dialogo tra Oppenheimer e la sua fidanzata Jean Tatlock, psichiatra comunista, che salda la ricerca scientifica e quella individuale:
«C’è il collasso della funzione d’onda. Ha a che fare col punto di vista di chi osserva: tu fai sempre parte di ciò che guardi»
«Quindi non vedi chi sei, ma solo la tua idea di chi sei»
Ecco, forse è questo che ci rende impossibile ignorare la storia di Oppenheimer in questa estate del 2023: il progetto Manhattan, nella versione di Nolan o di Massini, dimostra che non possiamo davvero sapere chi siamo, ma soltanto scegliere quale idea abbiamo di noi stessi.
Il vero orrore
Oppenheimer, che guidava il gigantesco tentativo di produrre una bomba costosa come costruire una seconda Manhattan, voleva soltanto che si arrivasse al risultato, e per questo fin da subito ha consigliato di chiamare l’arma «gadget», che crea meno ostacoli mentali e tormenti rispetto a «bomb».
Qualcuno dei fisici di Los Alamos voleva davvero sterminare migliaia di giapponesi tra atroci sofferenze, a Hiroshima e Nagasaki? No, ma si sono tutti trovati nella condizione di fare qualcosa che pensavano giusto in un momento estremo: come ricordano i personaggi di Massini, l’omicidio in tempo di pace è un crimine, in guerra è eroismo.
Il progetto rischia di fallire più volte. Oppenheimer è molto più capace del suo omologo tedesco Werner Heisenberg – protagonista di un altro spettacolo teatrale di enorme successo, Copenhagen (lo trovate su RaiPlay) – e l’urgenza di fermare il disastro europeo spinge a realizzare l’impossibile. Ma poi succedono due cose.
Il 12 aprile 1945 muore il presidente Franklin Delano Roosevelt. Si insedia al suo posto il vice presidente Harry Truman, ex senatore del remoto Missouri, che del progetto Manhattan non conosceva neppure l’obiettivo. Il 7 maggio 1945 la Germania si arrende, dopo il suicidio di Adolf Hitler.
Che fare, dunque, della più terrificante arma mai costruita dall’umanità? Una bella biografia di Enrico Fermi pubblicata qualche anno fa Raffaello Cortina editore (di Gino Segrè e Bettina Hoerlin) racconta cosa è successo e nei dettagli della burocrazia, nelle sciatterie della comunicazione, nell’assenza di riflessione c’è forse il vero orrore della bomba, molto più che nell’incolpevole atomo.
Tra potere e responsabilità
A metà giugno del 1945 Oppenheimer Fermi, e altri due fisici del progetto, Lawrence e Compton, firmano un rapporto sull’uso della bomba, nel quale sostengono che «non possiamo avanzare alcuna dimostrazione tecnica che porti verosimilmente alla fine della guerra; non vediamo alcuna alternativa accettabile all’uso militare diretto».
Bisogna fare una strage per dimostrare che la missione del progetto Manhattan è compiuta, che i soldi dei contribuenti americani e dei finanziatori privati non sono stati sprecati.
Gli scienziati scrivono anche «è vero che siamo tra i pochi cittadini che negli ultimi anni hanno avuto occasione di svolgere una riflessione approfondita su questi problemi», eppure «non abbiamo alcuna pretesa di particolare competenza nella risoluzione dei problemi politici, sociali e militari che sono presentati dall’avvento dell’energia atomica».
E allora perché, senza competenza particolare, consigliano la strage nucleare?
Forse sta proprio in questa tensione tra tecnica ed etica, tra potere e responsabilità quella forza attrattiva della vicenda Oppenheimer che ci attira, è un abisso narrativo che ci risucchia per averlo troppo fissato.
Tecnici e politici
In un’epoca di grandi problemi che soltanto la tecnica disponibile a pochissimi può risolvere, chi ha la conoscenza rifugge la responsabilità di decidere, e chi ha la responsabilità di decidere rivendica la propria ignoranza come se fosse un merito, o almeno un alibi per delegare ad altri il peso della decisione.
I decreti sul Covid li facevano i governi, ma sulla base di quanto riferivano – spesso in maniera confusa – scienziati interessati a proteggere la propria reputazione e fedina penale. I politici vorrebbero opporsi all’inflazione, ma la scelta ultima spetta a banchieri centrali non eletti, bersaglio perfetto per ogni critica.
L’intelligenza artificiale è troppo complessa da regolare, perché chi capisce davvero le reti neurali profonde e la tecnologia transformer? Soltanto quelli che l’hanno inventata – Sam Altman e gli altri – che però rivendicano il diritto di delegare alla politica le regole. In un processo virtualmente infinito di scaricabarile.
Poi c’è l’emergenza climatica, un progetto Manhattan a rovescio: qui la minoranza che padroneggia le conoscenze è del tutto impotente, chi ha chiara la gravità della catastrofe in atto non trova neppure le parole giuste per raccontarla, figurarsi per fermarla.
Forse un altro presidente accolto senza grandi aspettative e con molta diffidenza – Joe Biden come Harry Truman – verrà ricordato come quello che ha preso la consapevolezza scientifica e l’ha tradotta in scelte drastiche con effetti di lungo periodo, ha riportato gli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sul clima disdettato da Donald Trump e ha lanciato il più grande piano di investimenti per la transizione ecologica che costerà tra i 380 e i mille miliardi.
E forse, un giorno, saremo grati a qualche costruttore anonimo di pannelli solari in Georgia o Texas molto più che al «distruttore di mondi» Oppenheimer.
- Pubblicato sul blog Appunti il 21 agosto 2023