Non solo mimose. È un libro che appare come un dono per tutte le donne l’ultimo pubblicato dallo psicologo analista Francesco Stoppa (nato a Ferrara 1955), al lavoro presso il Dipartimento di salute mentale di Pordenone, membro della Scuola di psicoanalisi dei Forum del Campo lacaniano e docente all’Istituto ICLeS di Mestre.
Originale la prospettiva del lavoro e così pure l’attacco del testo che prende le mosse con una rievocazione dal 1459, quando, probabilmente in occasione della morte della madre, Piero della Francesca rientrava a Monterchi dove dipingerà la celeberrima Madonna del Parto nella chiesa di Santa Maria di Momentana, una delle poche testimonianze della gravidanza della Vergine. Se nei secoli è apparso più che delicato quel sipario che si apre per l’azione dei due angeli, quasi invito a contemplare il mistero, nei mesi di gestazione si tratta di un mistero che accomuna ogni donna in attesa di veder tradursi in vita concreta quella prima nascosta.
È da questo interrogativo che lo psicologo giunge ad affermare che «Noi siamo, esistiamo, e diamo posto agli altri perché veniamo a mancare a noi stessi. Fortunatamente non ci bastiamo». È la consapevolezza della nostra relatività e della più generale precarietà di tutto ciò che esiste a darci la certezza del nostro esistere e, pensando alla creazione della donna come ci viene raccontata nel libro della Genesi «c’è quasi da sospettare che ci fosse bisogno di alleggerire il creato, arieggiare un ambiente che rischiava di diventare asfittico».
È stata la donna nell’Eden a spingere il maschio fuori dallo stordimento inducendolo ad interrogarsi sulla propria natura ed è ancora oggi la donna a far intendere al mondo l’importanza della mancanza, in quanto «a far funzionare il tutto è proprio la casella assente, il sale dell’esperienza umana». L’essere della mancanza rappresenta così un principio dinamico, alla base di ciò che ci fa agire, parlare, sognare, desiderare.
«Era doveroso dare il giusto rilievo al valore civile dell’alterità introdotta dalle donne nell’ordine del mondo» conclude Stoppa continuando il suo omaggio alla figura femminile. Nonostante la costola perduta l’uomo non ne esce menomato, tutt’altro: «Il Dio della Genesi che ha pensato di affiancargli la donna, non è un sadico e così il prezzo che questi si ritrova a pagare è felicemente compensato. La causa del danno è anche il rimedio, il medicamento. Il danno si è rivelato un dono».
La presenza femminile nel mondo diventa così insostituibile perché in grado di riequilibrare le sorti dell’umano offrendo all’uomo ciò che gli mancava: ecco allora la ricerca, mai conclusa, per individuare lo specifico femminile superando le resistenze di un certo femminismo di rivendicazione e gli stereotipi dei luoghi comuni. Nella celebre opera del pittore austriaco Gustav Klimt, «Adamo ed Eva» (raffigurata in copertina) per Stoppa è racchiusa la raffigurazione poetica più alta: la donna è colei che sa illuminare la strada e ha il potere di dischiudere gli occhi dell’uomo sul mondo fornendogli, attraverso il «dono della sostanza, la capacità di accogliere l’inatteso, di tracciare solchi da percorrere e aprire spazi di incontro», una “diversità” che si oppone all’autoreferenzialità maschile. «La nostra consolazione e la nostra vera forza risiedono in quella costola in meno che abbiamo felicemente perduto con l’arrivo della donna nel mondo» scrive Stoppa.
La costola perduta di Adamo è stata nei secoli in grado di fornire all’uomo un surplus di vita. Ma non tutti se ne sono accorti.
Francesco Stoppa, La costola perduta. Le risorse del femminile e la costruzione dell’umano, Vita e Pensiero, Milano 2017, pp. 200, € 16,00.