Un rinnovato dibattito sulla questione antropologica si impone in un momento storico dominato per un lato dalla questione ecologica, per l’altro da quella della condizione animale (fra le quali esiste peraltro uno stretto legame). Progredire sul ripensamento di queste tematiche ha come presupposto urgente che si ridefinisca lo statuto dell’uomo: solo in questo modo potrà essere articolato un discorso filosofico solido su tali argomenti, al di là delle ecologie fondamentaliste e degli animalismi estremi.
Dato che la visione prometeica dell’uomo come del tutto altro dal creato è complice del dominio occidentale sulla natura; dato però anche che l’uomo è l’unico vivente che possa porsi, in senso filosofico, etico e politico, un problema come quello dell’ecologia, si tratta di pensare un’antropologia che fondi una differenza dell’umano tale da non comportare subito una relazione violenta e dominatrice verso il resto del mondo: se non è un logos sovrapposto a un corpo meramente meccanico a costituire tale differenza, in che cosa veramente l’uomo si distingue dall’animale?
Ecco una domanda che torna prepotentemente di attualità.
Bisogna dire che vi sono altri motivi a spingere in primo piano la questione dello statuto dell’uomo; gli amplissimi contributi che negli ultimi trent’anni sono venuti dalle scienze biologiche, comportamentali, cognitive si sono prodotti appunto in una specie di sonno antropologico[1] della filosofia: mentre i filosofi discettavano sulla morte del soggetto e dell’uomo, si produceva una gran quantità di nuovi dati e nuove ricerche sulle origini dell’uomo, sulla sua struttura cerebrale, sul linguaggio degli animali ecc.[2] che attendono di essere inquadrate da un’adeguata discussione filosofica; nel frattempo, sembra prevalere un ritorno a un positivismo rozzo e di antichissimo stampo.
Infine, questa nuova urgenza di interrogarsi su che cos’è veramente l’uomo risulta anche da esigenze politiche: nel momento in cui le società occidentali, ma anche tutto il mondo attraversano la crisi economica più grave da molti decenni, un dibattito su questioni di fondo, come quella che verte su cosa sia veramente il nocciolo della vita, e in particolare quello della vita umana, ridiventa fondamentale per discutere sui limiti dell’economia capitalistica che ci domina: possono l’utile, lo strumentale, il meccanico dare integralmente conto della vita? Anche solo di quella animale? E, a fortiori, di quella umana?
Che tutte queste questioni, che sono al centro della ricerca del gruppo di Officine filosofiche, possano essere illuminate dal confronto con il pensiero di Silvano Petrosino il lettore non avrà difficoltà a comprenderlo: l’attenzione alla questione del soggetto, la singolare associazione di un interesse altrettanto profondo per Levinas che per Derrida, la centralità che hanno, nel suo percorso, figure come quelle di Lacan e Blanchot, che della questione della soggettività hanno fatto l’asse del loro lavoro, l’importanza che per Petrosino hanno la questione politica e il problema dell’economia capitalistica, tutto ciò ne fanno per noi un interlocutore ideale. Tanto più che tutto questo si raccoglie, nel filosofo milanese, intorno alla ripresa e al rilancio della questione antropologica: di una riflessione sullo statuto specifico (speciale e unico, credo si possa dire nel caso di Petrosino) dell’uomo; questa riflessione ha a sua volta il suo fulcro in una tematica della passività, contrapposta alla febbre produttivistica e attivistica del capitalismo, che per il nostro gruppo ha un significato particolare.
Ma ora, non resta che lasciare il giudizio al lettore: aggiungerò solo che, per me e per il mio gruppo, il fatto che Petrosino sia un esponente di rilievo dell’intellettualità cattolica italiana e che, quindi, l’insieme delle questioni di cui ho parlato siano da lui viste da un’angolatura differente dalla nostra, talvolta anche collidente, non può che accrescere l’interesse del dialogo che abbiamo intessuto e che continuiamo a intessere con lui.
Il testo fa parte dell’Introduzione al volume M. Iofrida – S. Petrosino, Contro il post-umano. Ripensare l’uomo, ripensare l’animale, EDB, Bologna 2017, pp. 136, .
[1] Naturalmente, in un senso del tutto opposto a quello che fu dato a questa espressione da Michel Foucault.
[2] Per una messa a punto recentissima su queste questioni si veda L’ « Almanacco della scienza », dal titolo Chi siamo, che è uscito come numero 6 del 2016 di « Micromega ».