Una voce pura, sensibile, ingenua, poetica che descrive il mondo.
Il mondo di La mafia uccide solo d’estate è Palermo, nel 1979. La città del sindaco Ciancimino, del capo della squadra mobile Boris Giuliano, dell’edilizia selvaggia, della mafia che “non esiste”, ma permea tutto e innerva il quotidiano.
Gli occhi che la osservano sono quelli di Salvatore, 10 anni il figlio più piccolo di una normale famiglia palermitana, i Giammarresi. Il padre, Lorenzo, un onesto impiegato all’anagrafe di Palermo; la madre Pia, un’insegnante precaria tentata da qualche “compromesso” per stabilizzare la sua situazione; la figlia maggiore, Anna, bella e ribelle, suggestionata da idee comuniste che respira dal suo amore impossibile e rivoluzionario.
Intorno a loro una serie di personaggi notevoli: lo zio Massimo, un forestale che non ha mai lavorato con la presunzione di sapere come va il mondo, fino a quando non entra in contatto con la mafia e si scontra con una realtà diversa da quella immaginata; la sua bellissima e ingenua fidanzata Patrizia; fra’ Giacinto, il losco e colluso padre spirituale della famiglia; infine l’angelica Alice l’amore disperato del piccolo Salvatore, il motore narrativo di una storia che ha il merito di parlare in modo non banale di un argomento – la lotta alla mafia – trattato spesso e anche bene.
La serie televisiva prende le mosse dall’omonimo film di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, uscito nelle sale nel 2013 e premiato da pubblico e critica.
Gli stessi autori – Michele Astori oltre a Pif – hanno dato vita alle dodici puntate andate in onda su Raiuno tra novembre e dicembre dello scorso anno, ora visibili su Raiplay e disponibili in DVD.
Una menzione è dovuta al cast, bene assortito e credibile, diretto da Luca Ribuoli: Claudio Gioè e Anna Foglietta i genitori, Angela Curri la figlia e lo straordinario Eduardo Buscetta nella parte del piccolo Salvatore alter ego di Pif. Ma anche Francesco Scianna, che interpreta lo zio maneggione, e Nino Frassica, che dà vita a un indimenticabile fra’ Giacinto.
La finzione s’intreccia con la realtà, un “verosimile” archetipico del romanzo storico in cui anche i personaggi immaginari incontrano quelli realmente esistiti. Così, per esempio, vediamo Boris Giuliano che diventa amico e punto di riferimento di Salvatore per le sue vicende sentimentali e anche un Ciancimino senza scrupoli che “urbanizza” Palermo.
La scrittura ironica e leggera, grottesca a volte, racconta bene quel momento in cui la pericolosità della mafia non veniva percepita nella sua portata, o volutamente ignorata. Eppure “Cosa nostra” agisce nell’ombra e tange la vita di tutti i cittadini che, magari, vogliono solo starne alla larga. Lo vedrà bene Lorenzo nella sua difficile ricerca di casa. Una presenza silenziosa e soffocante che condiziona la vita di tutti.
Fino a quando può capitare che interpelli direttamente, come accade alla famiglia Giammarresi quando Lorenzo assiste al delitto del vicebrigadiere Filadelfio Liparo, nella squadra di Boris Giuliano, e incrocia la macchina del killer.
Il dilemma si affaccia minaccioso: testimoniare o no? È la voce narrante di Salvatore, con uno straniamento quasi dostoevskjiano a commentare: «Mio papà aveva visto qualcosa: era un testimone; la cosa peggiore che ti poteva capitare a Palermo dopo la morte». Situazioni strane che partoriscono interrogativi tormentosi per tutti, anche per il piccolo Giammaresi che, perdutamente innamorato di Alice, è afflitto da una domanda che non lo fa dormire: siccome la mafia non esiste è per le femmine che si muore?
Lorenzo, dopo molti tentennamenti, dice quello che sa ed è costretto a lasciare Palermo con tutta la famiglia.
Ma quello che sottolinea la serie, che all’ironia della scrittura affianca un profondo rispetto per i valori che animano l’antimafia, è che non occorre essere Falcone o Borsellino per opporsi alla mafia, ma tutte “le persone normali” possono farlo.
È proprio questo sembra dire con forza la scena finale, quando tutta la famiglia Giammarresi, scende dalla nave che doveva portarli lontano e corre felice verso quella Palermo che doveva lasciare.