La stanza accanto

di:

stanza accanto

Per dichiarazione dello stesso Almodòvar, La stanza accanto, premiato a Venezia e finalmente nelle sale dal 5 dicembre, nasce come un’opera a tesi, a sostegno della richiesta di legalizzazione dell’eutanasia in tutti i paesi in cui ancora non lo è.

Ma essendo Almodòvar un grande, la tesi sostenuta danneggia poco o nulla la qualità del film e chi non è d’accordo con la richiesta farebbe meglio ad argomentare nel merito piuttosto che trovare a tutti i costi nell’opera difetti di carattere artistico ovvero denunciare complotti ideologici, che siano mirati a creare un’opinione pubblica favorevole all’introduzione dell’eutanasia oppure, al contrario, siano volti ad accarezzare l’opinione mainstream delle élite borghesi intellettuali (cosa di cui Almodòvar è l’ultimo ad aver bisogno).

Meglio ancora sarebbe esser capaci di produrre qualcosa di altrettanto bello e convincente a sostegno della tesi opposta, ma sui motivi per cui ciò non accade bisognerebbe aprire un discorso complesso.

Argomenti «di paglia»

Le (poche) ragioni di debolezza presenti nel film a motivo dell’intento dichiarato di promuovere la legalizzazione dell’eutanasia attengono principalmente alla fallacia argomentativa detta straw man argument (argomento fantoccio), che consiste nell’espediente retorico di alterare le argomentazioni dell’avversario, accentuandone alcuni aspetti e occultandone altri fino a farne una caricatura, a volte grottesca, allo scopo di meglio combatterle.

Martha, malata terminale di cancro, dopo il fallimento delle cure oncologiche ha deciso di rinunciare alla terapia sperimentale che non le dà speranza di miglioramento e danneggia ulteriormente la qualità della sua vita e ha acquistato tramite il dark web una pillola mortale allo scopo di por fine alla sua vita nel momento in cui sentirà di non poter più sopportare il proprio decadimento fisico e mentale.

Ora, non serve certo accedere al dark web per darsi la morte, specie quando si è in condizioni di grande precarietà fisica e si hanno a disposizione tutti i farmaci sedativi del caso. L’insistenza del regista su questa fantomatica pillola potrebbe anche obbedire all’intento artistico di accentuare l’atto esplicito del suicidio, ma pare più evidente l’accento sull’illegalità dell’acquisto, sui rischi connessi all’acquisto stesso e sul fatto che non tutti possono permetterselo. Insomma, un’evidente forzatura.

stanza accanto

Ancora, e più sottilmente: Martha comunica alla clinica che si prenderà una piccola vacanza per riprendersi prima di affrontare la terapia sperimentale, mentre è già decisa, invece, a darsi la morte. Nella realtà dei fatti, nessuno può costringere un malato a una cura, che sia di pratica comune o sperimentale, e Martha non avrebbe nessun bisogno di mentire ai medici o a chicchessia. Insistere sull’accanimento della cura e sull’irregolarità (o illegittimità) del suo rifiuto, insomma, è funzionale a sostenere la tesi della libertà di decidere della propria vita.

Da ultimo, il poliziotto che indaga sulle circostanze della morte di Martha interroga insistentemente Ingrid, l’amica che si trovava con lei, minacciando di incriminarla se solo fosse stata al corrente delle intenzioni dell’amica e ripetendo più volte che il suicidio «è un reato».

Ora, sappiamo tutti che il suicidio, tentato o riuscito, non è reato, come non lo è conoscere le intenzioni suicide di qualcuno senza impedirle, mentre è reato l’istigazione al suicidio o la collaborazione attiva ad esso, circostanze che non riguardano però Ingrid. Per giunta, il poliziotto è presentato come un «fanatico religioso», facile bersaglio critico, quindi. Anche questi sono argomenti «di paglia».

L’esperienza reale

Fallacie, certo, ma è appena il caso di ricordare che di fallacie argomentative è per lo più infarcito anche il discorso di chi sostiene il dovere di portare ogni vita fino alla sua «naturale conclusione» rifiutandosi di discutere che cosa significhi oggigiorno una naturale conclusione.

Nemmeno si può negare che i fanatici, di solito «religiosi», esistano davvero, se ricordiamo che l’ambulanza che trasportava la povera Eluana Englaro, nel febbraio del 2009, nella casa di cura di Udine, dove per decreto della Corte di Cassazione le venne semplicemente sospesa l’alimentazione forzata dopo 17 anni di coma vegetativo, venne assalita da un gruppo di esaltati «pro vita», mentre contemporaneamente il Presidente della Repubblica negava la firma a un decreto d’urgenza del Senato volto a sospendere proprio quella sentenza di Cassazione.

E anche senza clamori mediatici, sappiamo di chi, ancora recentemente, ha fatto morire tra dolori atroci il proprio fratello pur di non concedergli la morfina che ne avrebbe accelerato la morte.

D’altra parte, volentieri ricordiamo anche, fra i tanti, il caro amico che, ormai in fase terminale, ha interrotto le cure, ha rifiutato l’alimentazione e se n’è andato, senza tanti proclami, accompagnato solo dalla morfina e dalle persone care.

Insomma, se accettassimo di considerare il morire, il morire di malattia, un processo, almeno dal punto di vista esistenziale se non clinico, un processo che comunque chiama in causa la libertà umana, ne guadagneremmo se non altro di superare la polarizzazione tra due fazioni che finisce per avere la meglio nel discorso pubblico senza avere attinenza con l’esperienza reale.

Coraggioso e poetico

Possiamo perdonare ad Almodòvar l’esplicito éndorsement e le fallacie che abbiamo indicato, perché il suo film è comunque coraggioso e vero nel presentare la realtà esistenziale di chi si prepara a morire, di un «vero poetico» che ci fa entrare nell’intimità complessa delle due protagoniste di fronte alla morte e che tramite la bellezza artistica dell’espressione (azioni, immagini, parole, suoni) ci consola e ci riconcilia con la durezza dell’argomento.

stanza accanto

Con grande delicatezza il racconto filmico evita di insistere sugli orrori del decadimento fisico o sull’atrocità del dolore (che pure sarebbero funzionali all’argomentazione dialettica) e si gioca invece sull’amore alla vita e sull’amicizia, che soli rendono accettabile il morire.

Martha infatti (Tilda Swinton) non vuole morire in clinica e non vuole morire da sola. Dopo un momento di profonda e umanissima disperazione, cerca dunque un’amica che condivida con lei le ultime giornate e l’accompagni fino alla fine. Questo è per lei tanto importante che insiste con diverse amiche fino a trovare disponibile solo Ingrid (Julianne Moore), che pure ha dichiarato di non accettare la morte e di averne orrore, ma che in nome dell’amicizia non vuole negarsi.

La co-protagonista è infatti Ingrid, a ricordarci che la morte è vissuta anche da chi sopravvive, non solo da chi muore. E infatti la narrazione non si conclude con la morte di Martha, ma con una sorta di passaggio di consegne molto significativo, che Ingrid definisce «un’eredità» dell’amica: Ingrid riallaccia il rapporto con Michelle, la figlia di Martha che aveva drasticamente interrotto i contatti con la madre, riconciliandola almeno con la sua memoria.

L’amore, potere salvifico e trasgressivo

I temi che da sempre intrecciano il discorso sulla morte entrano nella conversazione e nei gesti delle due donne: il corpo, di cui il sesso è solo un accidente, un ricordo divertente; il tempo, reso prezioso dall’urgenza della fine, la natura, che è antidoto a ogni artificio e a cui l’arte è solo seconda, e soprattutto l’amore, l’amore di amicizia in questo caso, unico viatico veramente necessario.

Bellissimo e struggente il corpo di Martha, prosciugato dalla malattia, rivestito di pesanti colorati abiti-tenda, eppure espressivo di un’interiorità a sua volta prosciugata di ogni fronzolo, alla fine addirittura luminosa.

Il tempo è centellinato nelle conversazioni notturne e quasi si vorrebbe rubarlo al sonno: «Si è fatto giorno, e sei ancora viva…». Il canto degli uccelli proveniente dal bosco maestoso davanti a casa è l’unica musica che Martha gradisce, ormai impossibilitata a leggere, a ricordare, a concentrarsi su quadri e musica.

stanza accanto

E poi l’amore, l’amore che si può, perché tanto se ne è perduto per strada nella vita, a incominciare da quello della figlia; l’amore di amicizia consapevolmente richiesto da Martha e soffertamente offerto da Ingrid.

Il potere salvifico dell’amore, che ci salva la vita anche nella morte, era il vero tema anche del tanto frainteso film Parla con lei, in cui pure, come qui, non c’era spazio per sentimentali svenevolezze: Benigno veniva condannato per violenza sessuale e si dava la morte in carcere per il dolore; Ingrid vomita nel lavandino al pensiero di trovare l’amica morta e deve difendersi dalle accuse della polizia. Perché l’amore è una forza disturbante e trasgressiva.

Più d’uno ha trovato «poco Almodòvar» in quest’ultimo film di Almodòvar, in cui della vitalità scoppiettante degli altri film rimangono quasi solo i colori. Magistrale però è qui la poetica dei colori, che raggiunge l’apice nella scena in cui Martha si prepara all’ultimo atto: sceglie una bella giornata di sole, indossa un bellissimo tailleur di un giallo luminoso, insieme caldo e sgargiante, color del sole, si dipinge le labbra di rosso vermiglio e si sdraia al sole, sulla veranda. Senza parole, un inno alla vita.

Print Friendly, PDF & Email

Un commento

  1. Fabrizio Mastrofini 20 dicembre 2024

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto