Nella notte fra il 7 e l’8 settembre 2014 venivano uccise in Burundi tre missionarie saveriane, Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian. A due anni di distanza un libro dell’Editrice Missionaria, curato da suor Teresina Caffi, ne ripercorre la vita e la spiritualità.
Avevano tra i 75 e gli 83 anni di età le tre religiose accomunate dalla medesima sorte e i cui corpi, per espressa volontà di una di loro, riposano nel cimitero di Bukavu. Non si conoscono ancora i motivi del massacro e neppure se esso sia da collegarsi alle aspre tensioni che attraversano il Paese africano, ma siamo certi che «la loro è la testimonianza di donne che hanno dato tutto quello che avevano, che sono rimaste, che non sono scappate e che lo hanno fatto semplicemente per amore» come scrive nella prefazione mons. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna (buon conoscitore dell’Africa per i suoi viaggi con la Comunità di Sant’Egidio).
«Non hanno avuto scelta nella morte, ma la scelta l’avevano fatta prima – spiega Giordana Bertacchini, superiora generale delle suore saveriane – quella della vita data per la missione per amore di Gesù e della gente, della presenza in contesti difficili, dello stile indifeso che le ha rese più vulnerabili».
Diverse erano le loro provenienze e mansioni: due di loro provenivano dal Veneto, Bernardetta, impegnata nella formazione degli adulti e già in Congo, era di Ospedaletto Euganeo (PD), Olga, catechista, era originaria di Sant’Urbano di Montecchio (VI), mentre lombarda era Lucia, ostetrica, (già missionaria in Brasile e poi in Congo) nativa di Desio in Brianza. Le accomunava però la medesima esperienza di famiglie numerose e vocazioni giovanili. E in più quella scelta per la missione in Africa dove erano volute tornare, dopo un breve rientro in Italia, nonostante l’avanzare degli anni. Perché là era ormai la loro casa, la loro vita, la loro gioia. Perché là condividevano l’esistenza e la fatica di tanti, incuranti di quello che Olga definiva il «pericolo», fatto di incursioni nei villaggi, violenze e rapimenti. E la comunità di Kamenge le considerava ormai parte della sua gente.
«Percorrevano il quartiere – ricorda padre Gabriele Ferrari, superiore generale del ramo maschile – mentre la porta della loro casa era sempre aperta. In modo semplice e discreto entravano in contatto con le povertà visibili e più ancora con quelle nascoste, avvicinavano i poveri. La gente le amava, perché sentiva che quelle sorelle erano vicine a loro nei momenti difficili, conoscevano la loro sofferenza e insieme ne condividevano la vita». «Una presenza gioiosa, accogliente, fraterna per chi frequentava la loro casetta nel cortile della parrocchia di Kamenge» annota suor Giordana.
«Che cosa ci faccio qui in Burundi? Sono qui perché al Signore piace che io sia qui» rispondeva Olga in un ritiro spirituale 2 mesi prima di morire.
Tre vite donate sino alla fine, a detta di quanti le hanno conosciute, finché le forze lo consentivano, come accaduto a molti religiosi caduti in terra di missione (il vescovo Zuppi ricorda i quaranta seminaristi, fra i 14 e i 20 anni uccisi a Buta nel 1997) perché «il loro amore è stato più forte della paura».
Il libro contiene materiale inedito delle tre suore (lettere private, diari personali, biglietti e riflessioni spirituali), che testimonia la ferrea volontà di restare, di spendersi per quel popolo «tanto provato dalla sofferenza e dallo sfruttamento, dalle malattie, dalla miseria e dalla morte violenta».
Sono scritti semplici, intessuti di quotidianità reale e soprattutto dettati da una grande fede.
«La certezza che il Signore c’è mi dà pace e serenità. Ad un certo punto, lui farà. La pioggia non cade inutilmente senza dar frutto, ricorda Isaia. Fiducia, speranza e pace, al di là dei risultati. Sento la gioia di essere qui, di godere delle piccole cose … e la necessità di aggrapparmi sempre più all’essenziale, a Cristo. È lui che ci sostiene, la certezza che lui ci accompagna» scrive Olga.
Lucia non teme per la sua vita, ma confessa «Ho più paura del mio limite. Da un po’ di tempo sto chiedendo un dono al Signore: vorrei tanto imparare ad amare, ad entrare nella mentalità del povero, perché sento che mi cambierebbe molto. Mi sento come il seme piantato nella terra: è al buio, solo, bagnato, freddo, circondato di umidità…». E ancora «Tocchiamo con mano che veramente la nostra vita è nelle sue mani. La gente è molto provata, ma ogni mattina si alza con coraggio nuovo e una speranza rinnovata. In questo imparo molto da loro».
In un articolo su un periodico missionario, Bernadetta, nel 2001, scrive così a proposito della sua scelta di tornare in Africa: «Torno per la mia gente. Desidero essere lì per farmi vicina nel corpo e nello spirito. Per essere solidale e condividere; per esprimere la bontà e la misericordia di Dio; per aiutare i fratelli a crescere nel perdono, nell’accoglienza reciproca, nella fraternità e nella speranza. Parto con fiducia perché so che dietro ogni partenza missionaria ci sono persone che ci accompagnano e fanno missione con noi. È bello, sulle orme di Gesù, spendere la vita per collaborare a costruire insieme pace e fraternità».
Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian, «Va’ e dona la vita!», a cura di Teresina Caffi (prefazione di Matteo Zuppi), EMI, Bologna 2016, pp. 256, € 13,00.