Trovandosi per caso in una chiesa di Budapest durante la celebrazione di un matrimonio, un giovane studente sentiva continuamente ripetere una parola dall’officiante durante l’omelia. Pur non capendo l’ungherese chiese al suo accompagnatore se si trattasse della parola «amore». Ricevutane conferma, si ripromise che, se mai fosse diventato prete, lui questa parola l’avrebbe utilizzata con la più grande parsimonia possibile.
Quello studente, effettivamente divenuto prete in clandestinità nell’allora Cecoslovacchia, si chiamava Thomáš Halík, oggi uno dei più originali teologi e intellettuali mitteleuropei. Vincitore del premio Templeton nel 2014, i suoi libri progressivamente vengono tradotti anche in italiano. Voglio che tu sia è un libro dedicato all’amore, ma con la parsimonia, la discrezione che il giovane studente di allora si era ripromessa. E più precisamente al legame fra l’amore e Dio, nella persuasione che «solo nella profondità dell’esperienza umana dell’amore si può rivelare ancora una volta un nuovo e più profondo significato della parola Dio» (p. X). Infatti, chiedersi: «Dio esiste?» e: «L’amore ha un senso?» costituiscono, a ben vedere, la stessa domanda formulata in modo diverso (cf. p. 23).
Dio non è tirato in ballo per una facile e immediata conclusione degli interrogativi sull’amore. È profondo convincimento del teologo ceco che Dio venga a noi più come domanda che come risposta (cf. p. 9) e che con lui occorra avere pazienza, come sostiene in uno dei suoi libri più celebri, tradotto in varie lingue. Pazienza nel non ridurlo frettolosamente alla nostra misura; pazienza nell’attendere la sua seconda parola. La seconda parola è quella che Dio pronuncia per interpretare la prima, che da sola sarebbe incomprensibile e condurrebbe al rifiuto di Dio. Abramo, quando gli viene chiesto di sacrificare il figlio, deve attendere la seconda parola che ferma la sua mano pronta a uccidere Isacco. Allo stesso modo, la parola dell’abbandono pronunciata dal Crocifisso («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»), può essere compresa solo alla luce della seconda parola, quella della vita risorta: il venerdì santo e la pasqua di risurrezione sono insieme la rivelazione di Dio. Se l’uomo non ha la pazienza di attendere la seconda parola di Dio è del tutto naturale che lo rifiuti.
Tutto il testo di Halík è teso, sulla scia di una rinnovata teologia negativa, a definire i limiti di un linguaggio che presume di definire Dio, non rendendosi conto che – come sosteneva Jung – gli uomini possono sapere su Dio più o meno quello che sa un bruco sul British Museum (cf. p. 159). Al mistero di Dio è necessario accostarsi con il sacro timore che ne preserva l’alterità e la trascendenza. La modernità, con la sua serrata critica al religioso e alle proiezioni “umane, troppo umane” sul divino, dovrebbe insegnare alla teologia a diffidare di un Dio troppo vicino, di un Dio che dà risposte facili, immediate, ai nostri interrogativi. Non stupisce allora che Nietzsche sia uno dei compagni di strada di Halík nella lotta contro il dio banale, il «bonaccione celeste», da cui occorre congedarsi in modo definitivo. Dio dimora in un luogo più profondo di quello che siamo abituati a pensare (cf. p. 48). Per cogliere questo luogo è necessario uscire dalla contrapposizione soggetto/oggetto, dall’idea che io sia di fronte a Dio. In realtà Dio è colui nel quale vediamo noi stessi e il mondo; Dio è afferrabile solo nell’esperienza dell’amore kenotico, di quell’amore che ci fa uscire da noi stessi. In tal senso, «Dio è la profondità in cui ci addentriamo quando trascendiamo noi stessi nell’amore» (p. 106).
I due fuochi indagati nel testo corrispondono alle questioni più radicali e insieme più banalizzate da certa letteratura teologica: l’amore verso Dio e l’amore verso i nemici. «Dio avviene laddove amiamo» (p. 38) e questo significa che l’amore non è questione di sentimento soggettivo o di tolleranza sociale, ma è il luogo in cui Dio si dà a incontrare. Per questo l’amore del nemico è il paradosso nel quale troviamo la vera essenza dell’amore, cioè la sovrana libertà del decentramento da sé per accogliere e servire l’altro. È l’unica cosa che davvero conta, perché qui, appunto, Dio avviene, si fa incontrare. Del resto Gesù – «il grande relativizzatore» (p. 203) – non ha mai relativizzato l’esigenza dell’amore, che è incondizionata, assoluta.
Proprio nell’analisi di questo luogo, così specificamente cristiano, la proposta di Thomáš Halík diventa anche diagnosi della situazione spirituale della nostra epoca. È un’epoca, la nostra, caratterizzata più di ogni altra cosa da un narcisismo diffuso, da una ipertrofia dell’ego che piega l’altro, e quindi anche Dio, al sé immediato, al sé commerciale. L’uomo occidentale ha un sé così ipertrofico che non c’è spazio per l’altro né per Dio. Per questo la domanda che davvero conta oggi non è se Dio c’è o non c’è. Qui si rimane a livello dell’opinione, della differenza fra opposte concezioni. La domanda autentica è questa: «Voglio che Dio sia o voglio che non sia?» (p. 80). Qui non siamo più a livello della convinzione, ma a quello – infinitamente più profondo – del consenso esistenziale. È appunto qui che si situa la questione dell’amore, la cui definizione è compendiata nella frase, attribuita ad Agostino, che dà il titolo all’opera di Halík: Amo, volo ut sis.
Lasciamo l’ultima parola all’autore, che così conclude: «Se dovessi ora sintetizzare in una breve summa il principale messaggio di questo libro, direi questo: l’amore è così “troppo umano”, così profondamente umano, che non può essere solo umano. L’amore demolisce tutte le affermazioni positivistiche che lo definiscono come “nient’altro che”! È troppo forte per essere soltanto una delle umane emozioni. L’amore è così profondamente umano che più di ogni altra cosa testimonia di quelle profondità in cui l’uomo è più di un uomo, in cui l’uomo trascende se stesso. […] Nell’amore siamo davvero noi stessi. Nell’amore siamo più umani, estremamente più umani. Eppure, proprio nel momento in cui siamo più profondamente umani, più pienamente umani, umani fino all’orlo, fin troppo umani, ci viene mostrato e offerto quel che è più che umano» (p. 204; 208).
Thomáš Halík, Voglio che tu sia. L’amore dell’altro e il Dio cristiano, Vita e Pensiero, Milano 2017, pp. 224, € 16,00.