È in uscita per Marsilio il volume Oltre Auschwitz. Europa orientale, l’Olocausto rimosso di Frediano Sessi. Giordano Cavallari ha posto all’autore del volume alcune domande sul tema del cosiddetto «Olocausto rimosso», quello consumato nell’Europa dell’Est.
- Caro Frediano, partiamo dal titolo: “Oltre Auschwitz”: questo “oltre” che cosa evoca?
L’oltre non ha un significato cronologico, perché lo sterminio nei campi dell’est della Polonia è iniziato, semmai, prima, tra la fine del 1941 e i primi mesi del 1942. Evidenzia, piuttosto, il fatto storico troppo spesso dimenticato che lo sterminio è cominciato là, all’Est, e che là il numero degli ebrei morti ha superato persino quelli assassinati ad Auschwitz.
- Veniamo al sottotitolo: “l’Olocausto rimosso”. In che senso è “rimosso”?
È stato rimosso di fatto: i tedeschi quando decisero di liquidare i centri di sterminio di Chelmno, Belzec, Sobibor e Treblinka fecero in modo di radere al suolo tutti gli edifici e gli impianti di quei lager, edificando, al loro posto, fattorie immerse in un bosco fitto di abeti e betulle. Disseppellirono i cadaveri e li cremarono in pire all’aperto.
La cancellazione fisica dei luoghi e, in parte, dei corpi, ha favorito la cancellazione parziale della memoria degli ebrei assassinati, anche perché con caratteristiche molto diverse dai loro confratelli dell’Europa dell’Ovest: parlavano una lingua incomprensibile ai più (yiddish), abitavano in villaggi che potevano essere paragonati a quelli medievali, in case di legno senza acqua corrente e senza servizi igienici, erano chiusi nelle proprie comunità e, per la maggior parte, molto poveri. Nessuno li voleva e pochi li avrebbero ricordati. Neppure nel processo di Norimberga si parlò dell’Operazione Reinhardt, nome in codice che fa da riferimento, se escludiamo Chelmno, ai tre campi di sterminio citati.
- Qual è stato il disegno del Terzo Reich, precedente la guerra, sugli ebrei?
Il partito nazista vinse le elezioni politiche e, nel 1933, ottenne il cancellierato, affidato a Hitler, anche a partire dall’idea xenofoba e razzista che la Germania avesse perso la Prima guerra mondiale e fosse stata umiliata dalle nazioni europee perché tra la sua popolazione e nel suo esercito c’erano uomini e donne estranei alla razza ariana. Queste persone, dunque, avrebbero sempre contrastato la rinascita di una Grande Germania. Erano i «nemici interni», come venivano chiamati.
I nazisti individuarono assai presto, quindi, i loro nemici interni al popolo e alla razza: i disabili e i malati cronici, indegni di essere definiti tedeschi, con gli oppositori politici al disegno del Reich millenario; gli ebrei e tutte quelle popolazioni di razza inferiore, denominate «schegge di popolo».
I disabili vennero considerati «bocche inutili da sfamare» e «pietosamente» uccisi in quelle che i nazisti chiamavano cliniche della salute (Operazione T4 Eutanasia); gli oppositori politici vennero rinchiusi in lager rieducativi e punitivi di cui Dachau fu il primo; gli ebrei vennero dapprima esclusi dalla vita sociale e, in seguito, costretti ad andarsene dai territori del Reich.
Per fare grande la Germania, bisognava però dare seguito a un vasto progetto demografico: espellere gli ebrei e le razze inferiori dai confini del Reich e riportare all’interno dei confini della Germania tutti quei tedeschi che vivevano al di fuori, in altri Paesi.
Per fare questo occorreva guadagnare un «nuovo spazio vitale», nuovi territori. La guerra contro la Polonia, guerra razziale di conquista, servì a ciò, così come la guerra contro l’URSS. In particolare, la soluzione territoriale del problema ebraico – con lo spostamento al di fuori dei confini del Reich – si sarebbe potuta attuare nei territori conquistati più a est dell’URSS. Ma poiché la guerra contro i sovietici non si è risolta in guerra lampo, ed era difficile prevedere quando le truppe tedesche sarebbero giunte a Mosca, già dall’estate del 1941 tutti gli ebrei che si ritrovavano sulla strada degli invasori, venivano uccisi a mezzo di fucilate, per essere sepolti in enormi fosse comuni di migliaia di cadaveri.
La fucilazione all’aperto causava, evidentemente, disagio e imbarazzo agli stessi ufficiali e soldati del Reich. Così Himmler, a metà agosto del 1941, cercò un metodo di eliminazione più sopportabile per gli esecutori.
Il progetto era sempre una Germania e un’Europa libere dagli ebrei e quindi di razza ariana: un progetto ormai esteso a tutta l’Europa occupata e sostenuto da una vera e propria ideologia. L’Europa ariana era pensata quale unica strada per proteggere e sviluppare la comunità del popolo tedesco. Era, dunque, ritenuto del tutto morale e giusto eliminare coloro che avrebbero impedito la realizzazione di un tale progetto.
Le camere a gas furono, quindi, scelte per nascondere agli occhi degli stessi esecutori la morte delle loro vittime.
- Chelmo, Treblinka, Sobibor, Belzec: quando e come sono state individuate queste località?
Chelmno fu il primo centro, sperimentale, utile per liberarsi dagli ebrei inadatti al lavoro del ghetto di Lodz, nel Warthegau, un territorio della Polonia già conquistata, annesso al Reich: un piccolo villaggio immerso nel verde dei boschi. Proprio in una foresta poco lontana, le prime vittime «sperimentali» vennero assassinate con i camion a gas e sepolte, in un primo tempo, in enormi fosse comuni.
Poi, anche Belzec, Sobibor e Treblinka, furono individuati quali villaggi lontani dai grandi centri e nascosti in foreste molto fitte ove l’operazione poteva essere messa in atto in gran segreto. Oggi questi siti si trovano entro i confini dell’attuale Polonia. Per molti anni sono stati abbandonati a sé stessi.
- Quale tipo di campo è stato realizzato in quei siti?
A differenza di Auschwitz – regione concentrazionaria con tre campi principali e più di quaranta sottocampi di lavoro, ove gli ebrei venivano selezionati per lavorare come schiavi, prima di andare alla morte – Chelmno, Belzec, Sobibor e Treblinka furono «semplicemente» luoghi di uccisione di massa.
All’arrivo ad Auschwitz, gli ebrei avevano una pur piccola possibilità di sopravvivenza. Nei centri di sterminio dell’Est, no: non c’erano fabbriche, fattorie agricole o industrie belliche per sfruttare il loro lavoro. Perciò, una volta scesi dal treno, gli ebrei deportati in questi campi andavano immediatamente al gas.
Si trattava di campi deputati allo sterminio del popolo ebraico. Non c’era alcun altro scopo, se non strettamente funzionale allo stesso scopo: perciò solo una piccolissima parte – tra gli ebrei più giovani – veniva selezionata per lavorare, temporaneamente, al servizio dei tedeschi nei campi: gli Arbeitsjuden.
- Cosa resta oggi di questi campi?
Da una ventina d’anni, sono stati allestiti musei e sono stati attivati – in particolare a Sobibor e a Belzec – scavi archeologici per arrivare a definire quali fossero le varie parti e le funzioni. A Belzec e a Treblinka, le scelte fatte per la monumentalizzazione dei luoghi, in realtà hanno coperto con strati di cemento e di altri materiali le aree dei centri di sterminio. Ora sarà difficile tornare indietro. Ma a Treblinka si stanno utilizzando oggi nuove tecnologie archeologiche non invasive per scoprire le aree degli impianti a gas, delle fosse comuni e altro ancora. A Sobibor il nuovo progetto di monumentalizzazione del sito risulta più rispettoso di quel che è rimasto del centro di sterminio.
Nel mio libro, la storia della memoria e dei monumenti si lega, necessariamente, alla storia della Polonia: alla sua ammissione di colpa, almeno di parte delle popolazioni dei luoghi in cui hanno collaborato alla cattura degli ebrei e, dopo la guerra, alla ricerca di oro e preziosi tra ciò che era rimasto. Come ha scritto lo storico polacco Jan Gross, i polacchi hanno preferito, per molto tempo il «raccolto dell’oro» alla memoria.
- La sorte degli ebrei dell’Europa occidentale è stata, in qualche modo, diversa da quelli dell’Europa dell’Est?
Hitler aveva espresso l’intenzione di procedere alla deportazione degli ebrei dell’Ovest dell’Europa, residenti nei paesi occupati e nel grande Reich, solo una volta conquistata l’URSS. L’intenzione originaria era di utilizzarli come schiavi nel lavoro in quelle aree gelide e desertiche, dove si sarebbero estinti da soli. Mentre degli ebrei orientali, il Führer ebbe spesso a dire che «erano la cosa più orribile che si potesse immaginare». La differenza di visione, almeno in origine, fu sostanziale.
Dopo l’estate del 1941, quando Hitler si rese conto che gli spazi vitali a Est non sarebbero stati conquistati tanto facilmente, autorizzò la deportazione degli ebrei residenti nei paesi dell’Europa dell’Ovest nei territori conquistati della Polonia, quelli incorporati e quelli che erano parte del Governatorato generale, e indusse la decisione di procedere allo sterminio degli ebrei già presenti in Polonia e rinchiusi nei ghetti. Si cominciò lo sterminio, appunto, a Chelmno a partire dagli ebrei considerati inadatti o inabili al lavoro del ghetto di Lodz.
Per gli ebrei dell’Europa dell’Ovest, Auschwitz era la stazione finale di arrivo. Per gli ebrei dell’Est, l’ultimo viaggio era verso i centri di sterminio. Senza dimenticare che fu nei territori dell’URSS che i tedeschi delle squadre d’assalto (Einsatzgruppen) fecero cadere il tabù dell’uccisone di massa di uomini donne e bambini. Nelle uccisioni all’aperto, vennero assassinati più di 1.500.000 ebrei.
- Come venivano rastrellati e deportati verso quei campi gli ebrei dell’Est Europa?
I tedeschi, per rassicurarli, raccontavano loro che sarebbero andati a stare meglio, accettando di lavorare per il Reich. Finita la guerra, avrebbero fatto ritorno nelle loro case. Perciò, alla partenza, venivano raccomandati di chiudere bene le loro case e di portare con sé le chiavi. Nel corso degli scavi archeologici, furono trovate migliaia di chiavi di casa. L’imbroglio è tragicamente riuscito.
- Quali numeri descrivono le proporzioni di questa parte della tragedia?
Non si saprà mai il numero esatto dei morti di questa parte della tragedia. Gli storici convergono sull’ipotesi di un numero generale che va da un milione e mezzo di ebrei a un milione e novecento mila. I calcoli non sono agevoli e sono ancorati a fonti diverse. Comunque nessuno scende sotto la cifra di 1.500.000 ebrei. Impressionante il tempo di realizzazione. Per esempio, a Treblinka, in 13 mesi, vennero assassinati fino a 750.000 ebrei; a Belzec in 10 mesi ne morirono 550.000.
- Quanti e quali testimoni?
Lo sterminio fu pressoché totale. A Chelmno si contano tre testimoni, a Belzec due. A Sobibor e a Treblinka, dove ci furono le rivolte degli ebrei impiegati nei lavori di servizio (Arbeitsjuden), i superstiti furono rispettivamente 67 e 47. Solo quattro hanno scritto della loro esperienza a Sobibor e solo sette a Treblinka. Se escludiamo le testimonianze processuali, non ci sono altre testimonianze. I libri scritti in memoria dell’esperienza vissuta in questi centri di sterminio sono solo 15. Il silenzio anche dei molti sopravvissuti di Auschwitz – che vide 960.000 ebrei morti, su 1.100.000 deportati – è la cifra della sofferenza. Scrissero e testimoniarono, soprattutto gli intellettuali o chi aveva familiarità con la scrittura.
- Quali sono le fonti storiche su cui hai potuto lavorare per questo libro?
Le poche testimonianze che ho citato, alle quali si aggiungono i testimoni polacchi che lavoravano nei pressi dei centri di sterminio, i documenti delle inchieste del dopoguerra delle Commissioni polacche, gli atti dei processi che si sono susseguiti nel corso degli anni e i pochi documenti tedeschi, oltre a una bibliografia in lingua tedesca e polacca utile soprattutto a capire i tratti della vita quotidiana al tempo dell’occupazione tedesca. Infine, materiali bibliografici e d’archivio per ricostruire molti dei profili biografici dei nazisti implicati nello sterminio.
- È molto importante una parola anche sui carnefici.
Il mio lavoro di ricerca, anche quello che ho svolto per Auschwitz – nel libro edito da Marsilio Auschwtiz. Storia e memorie, 2020 (cf. qui su SettimanaNews) – dimostra che i nazisti implicati nei crimini più efferati non erano affatto uomini comuni o uomini banali. Erano uomini addestrati, moralmente e legalmente preparati a uccidere, con l’idea di difendere la comunità del popolo tedesco, al fine di realizzare l’utopia di un’Europa ariana deputata a salvare il mondo. Nessun tedesco li avrebbe considerati criminali. Per loro uccidere i nemici del Reich e della comunità tedesca era il più alto atto morale; la guerra era un conflitto per difendere la Germania.
Consiglio di leggere le pagine che dedico alla classificazione dei diversi tipi di carnefici. Si arriva alla conclusione che per tutti il crimine commesso fu una scelta razionale e di «fede» nell’utopia di un nuovo mondo ariano. Questo è il dato più terribile.
- La storia “oltre Auschwitz”, cosa ci dice del comportamento della popolazione civile polacca?
Lo sterminio e le deportazioni furono possibili anche perché i tedeschi ebbero, in tutti i paesi occupati, molti collaboratori e furono avvantaggiati dall’indifferenza della maggior parte della popolazione. Tadeusz Obreski, un ebreo che si era nascosto nella zona ariana di Varsavia scrisse: «Il governo polacco è rimasto in silenzio di fronte allo sterminio […], gli conveniva come conviene a tutta la comunità polacca. Ecco da dove viene il principale crimine del governo e di tutta la società: l’ostilità contro gli ebrei e la totale indifferenza. Questo è un dato di fatto di cui la storia futura parlerà».
Da una ventina d’anni, gli storici della nuova scuola polacca di storia della Shoah sono arrivati alla conclusione che furono assai più numerosi i polacchi che fecero del male agli ebrei di quanti li aiutarono. «Nessuna parola magica», scrive lo storico polacco Jacek Leociak, «nessuna indignazione o protesta, nessun’accusa può cambiare questa constatazione storica, basata sui fatti».
- A cosa ci giova indagare, studiare, conoscere questo passato, specie in questi nostri tempi?
Il primo anello della catena che ha condotto allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti, ha preso avvio dalla convinzione che il nemico dell’ariano fosse incarnato dai «razzialmente impuri» e, di conseguenza, da «stranieri» alla comunità di popolo.
Questo sentimento nei confronti del diverso, dello straniero, denuncia chiaramente la presenza, nelle pieghe della società, del governo tedesco e dell’ideologia nazista, della xenofobia. Fu questo il primo anello di una catena il cui sviluppo non fu mai pensato e programmato in anticipo. Tutto accadde come conseguenza degli atti e dei provvedimenti che erano stati attuati in precedenza.
Dalla xenofobia – intesa come paura dello straniero e dell’altro – al razzismo, dal razzismo alla segregazione e alla deportazione, dalla deportazione allo sterminio. Oggi la xenofobia diffusa anche nella nostra società è un serio segnale di fumo che avvisa un incendio che potrebbe diventare incontrollabile.
Questa storia ci insegna che occorre fermare subito la xenofobia sociale e predisporsi con la cultura dell’accettazione, del dialogo e dell’accoglienza.
Anche noi cristiani dovremmo chiederci da dove venisse tanto odio verso gli ebrei e quanto ha contribuito l’antisemitismo religioso a originare l’orrore della Shoah. La gioia con cui vedo molti di noi decidere senza pietà chi è buono e chi no è la base di ogni orrore possibile futuro.