Lo studio può essere vissuto come un’attività spirituale? Tanti di noi hanno studiato e non pochi continuano a studiare anche per lavoro. C’è da restare tristi se quest’attività che, per alcuni, prende una bella fetta della propria quotidianità e, quindi, della propria vita è vissuta a margine della spiritualità. Per questo è urgente focalizzare l’attenzione sulla dimensione spirituale dello studio.
Nel presentare il volumetto di Angelo Tumminelli, Lo studio. Un esercizio spirituale, Mons. Claudio Maria Celli è positivo nell’affermare che «anche l’attività di studio può essere vista come un luogo nel quale edificare una vita spirituale vera e pregna dell’amore di Dio».
Il libro riecheggia uno dei capisaldi di Villa Nazareth, dove l’a. ha svolto l’attività di tutor degli studenti non residenti, ovvero la «diaconia della cultura» ispirata all’episodio del diacono Filippo e l’Etiope (cfr. At 8,26-40).
La propensione allo studio e l’amore per la cultura costituiscono un “talento” che ci riporta alla parabola dei talenti del vangelo di Matteo (Mt 25,14-30). Davanti a questo talento, bello ma impegnativo, possiamo trovarci scoraggiati e impauriti. Il libro offre spunti per aiutare “il servo impaurito” affinché non seppellisca il suo talento.
L’a. presenta lo studio come una disciplina della relazione con se stessi, con gli altri e con Dio. Nonostante la sua dimensione inevitabilmente ritirata, lo studio non porta all’isolamento perché è un atto di comunione e di comunicazione con gli altri.
Lo studio non riguarda solo la testa, ma tutta la persona. «Si intrecciano e condizionano lo studio la sfera emotiva, le relazioni con gli altri, le difficoltà economiche e le fatiche quotidiane, i successi affettivi o le sconfitte». In altre parole, lo studio non è un compartimento stagno o un vaso non comunicante della vita, ma è parte integrante e interattiva della vita della persona.
Lo studio è un’attività spirituale perché «attraverso lo studio, Dio insegna anzitutto a saper accogliere il proprio limite, la propria finitudine, ma suggerisce anche che questa finitudine può diventare la nostra possibilità di incontrarlo e amarlo». Così, la disciplina dello studio si traduce nella disponibilità a «lasciarsi comprendere dal mistero dell’essere che attraversa la totalità; lasciarsi comprendere significa sintonizzarsi con l’inafferrabilità delle cose, lasciarsi abitare da esse come un ospite che accoglie l’invitato».
Studiare è in definitiva non arrivare a comprendere le cose, ma ad essere avvolti e compresi. È passare dalla cosa al volto. È poter dire “tu”, è accogliere l’alterità – delle cose e, in definitiva, delle persone – nella sua espressione e comunicazione. Scrive Buber in Io e tu: «Chi dice tu non ha alcun qualcosa per oggetto. Poiché dove è qualcosa, è un altro qualcosa; ogni esso confina con un altro esso; l’esso è tale, solo in quanto confina con un altro. Ma dove si dice tu, non c’è alcun qualcosa. Il tu non confina. Chi dice tu non ha alcun qualcosa, non ha nulla. Ma sta nella relazione».
La non comprensibilità del mondo non è un limite, ma un invito a superare il nostro limite dell’io, un invito all’incontro. Comprendendo ci comprendiamo.
L’attenzione relazionale e l’umiltà nello studio preservano dalle tentazioni dello studio che possono incarnarsi in varie forme: fare dello studio il proprio idolo, assolutizzandolo; diventare vittima del perfezionismo e fanatici dello specialismo; oppure, sul lato opposto, de-cadere nella superficialità, nel sapere sommario che rifugge dalla considerazione della complessità dei fenomeni.
Oltre a queste tentazioni nello studio. Ci sono le tentazioni che portano fuori dallo studio, come la decisione di abbandonare gli studi o, in forma minore ma non meno grave, cedere alle varie distrazioni.
L’antidoto a questi vizi e pericoli sono «le virtù» dello studio. La prima fra le quali è «l’apertura del cuore» che consiste «nella disponibilità all’ascolto ovvero nella capacità di saper accogliere in modo intelligente gli argomenti affrontati durante lo studio. […] Attraverso questa virtù lo studente si scopre visitato dalla forza dell’oggetto indagato e assume un atteggiamento di radicale apertura al mondo nel darsi delle sue continue novità esistenziali e conoscitive. La virtù dell’apertura del cuore si pratica attraverso l’ascolto silenzioso e l’approfondimento dello studio, richiedendo grande pazienza e forza d’animo».
Il capitolo delle virtù approfondisce altre virtù: la perseveranza, la pazienza, l’accoglienza del limite, la preghiera e la condivisione. Il capitolo quarto, invece, si sofferma sull’integrazione dello studio nella vita toccando vari argomenti tra cui: il tempo e lo spazio dello studio; l’alternanza tra studio e riposo; lo studio e le relazioni; studiare e amare; studio e professione; e, in fine, studio e vocazione.
Angelo Tumminelli, Lo studio. Un esercizio spirituale, EDB, Bologna 2018, pp. 128, 8,00 euro. La recensione è ripresa dal blog Briciole di teologia (28 maggio 2019).